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Maestri di vita? Per Matteo Marzotto "ai giovani nulla è dovuto, ognuno si costruisca il proprio futuro". A partire dalla BPVi e dal fondo Permira...

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Martedi 29 Agosto 2017 alle 11:03 | 0 commenti

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Recentemente è stata pubblicata un'intervista a Matteo Marzotto. Direi che rispecchia la mentalità imprenditoriale italiana (e non solo) di personaggi che si spacciano per "moderni" e, magari, "progressisti". Matteo Marzotto, un "vincente" (ma  solo per se stesso) che viene definito "bello, brillante e famoso" che ha avuto "fidanzate del calibro di Naomi Campbell" e che è stato compagno di scuola e che è amico fraterno di Gianluca Vacchi (nella foto con lui e Lapo Elkan), milioni di follower e più debiti con le banche tra cui la BPVi, di cui il giovane Marzotto è stato "consigliere" con Gianni Zonin. Matteo Marzotto, un vero e proprio "maître à penser" dei nostri tempi e di una società che bisogna trasformare dalle radici. Un commento? Lo lasciamo a Giorgio Langella, autore per noi di "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante". Il direttore

Qualche giorno fa, il 24 agosto per l'esattezza, è stata pubblicata su "www.linkiesta.it" un'intervista di Marco Fattorini a Matteo Marzotto (clicca qui per il testo completo, ndr). Il titolo riprende una frase dell'intervistato "Ai giovani nulla è dovuto, ognuno si costruisca il proprio futuro".

Un titolo già di per sé indicativo e, per molti versi, bizzarro. È difficile credere, infatti, che Matteo Marzotto si sia costruito il proprio futuro partendo da zero. Neppure "da poco". Ma si può tralasciare il titolo che, come spesso succede, potrebbe essere fuorviante e leggere tutta l'intervista per capire la mentalità dei "nostri" imprenditori.

Intanto viene evidenziato che Matteo Marzotto si muove tra Vicenza e Rimini con un'elicottero che guida personalmente e che ha parlato di giovani, formazione e lavoro al recente meeting di Comunione e Liberazione. Ma sono le risposte che il Marzotto dà all'intervistatore che chiariscono il suo pensiero.

Ci si può soffermare su due.

La prima è la risposta alla domanda: Perché non la convince lo slogan giovanile "ci hanno rubato il futuro"?. Matteo Marzotto afferma: "Perché qualcuno aveva regalato il futuro alle generazioni precedenti. Qualcuno che non ce l'aveva e se l'è costruito. Parliamo di generazioni che hanno vissuto guerre mondiali ed enormi discontinuità. Ogni generazione vive l'incertezza del futuro. Ma non c'è niente di dovuto, salvo l'affetto della famiglia. Riflettiamo sul grande numero di persone che non cercano lavoro e che non studiano. È una questione di sistema pensionistico per cui qualcuno tira la cinghia e qualcun altro si aggancia? È sgradevole da dire, ma ho la sensazione che si siano persi mordente, orgoglio e fame di riuscire. Talenti che gli italiani hanno sempre dimostrato di avere."

Si potrebbe chiedere a Matteo Marzotto se non ritiene che sia facile avere quelle opportunità di costruirsi il futuro che lui ha avuto se non si possiede in origine un cognome come il suo. E una ricchezza come quella della sua famiglia. Sarebbe bello se tutti potessero avere uguali condizioni iniziali. Così, però, non è. Nel sistema oggi trionfante è sempre più "normale" che chi nasce povero lo resti per sempre. Non tutti hanno famiglie che possano mantenerli tutti gli anni necessari "per fare esperienza". Lo si vada a chiedere a chi non riesce a studiare per problemi di povertà soggettiva e oggettiva o a quei giovani (e meno giovani) che, per lavorare, devono accettare condizioni di insicurezza e di precarietà assolutamente disastrose. Lo si vada a chiedere a quelle "partite iva per necessità" che lavorano spesso (quasi sempre) per meno di cinque euro lordi all'ora senza tutele né garanzie, costretti a farlo per "entrare nel mondo del lavoro". Forse questi lavoratori hanno perso mordente e orgoglio, ma (è bene rassicurare, su questo, il Matteo) la fame ce l'hanno e non in senso figurato. Infine, perché non ricordare quelle lavoratrici e quei lavoratori ai quali il futuro è stato veramente negato. I morti per infortunio nei luoghi di lavoro, gli invalidi, quelli che si sono ammalati, i morti per malattie professionali. Persone come chi lavorava alla Marlane Marzotto (guarda caso) di Praia a Mare, all'Eternit, all'ILLVA, alla Thyssenkrup (solo per citare alcuni esempi) che non hanno perso solo "mordente, orgoglio e fame di riuscire" ma ai quali è stata letteralmente rubata la vita.

La seconda è la risposta alla domanda: Restando sul suo territorio, lo scandalo delle banche venete che impressione le ha fatto? Le parole di Matteo Marzotto sono stupefacenti: "È stato un passaggio drammatico che deve servire a non creare aree di potere che si perpetuano per decenni. In questa vicenda non vedo nessun vincitore, ma solo degli sconfitti. Quello che abbiamo visto in Veneto ha dell'incredibile. Ed era un po' incredibile che questi istituti continuassero a crescere come volevano far credere, prestando denaro, con le azioni che crescevano, in uno scenario in cui il Paese si impoveriva fortemente. I campanelli d'allarme c'erano e la colpa non è di pochi. Ma situazioni del genere non si verificano solo in Veneto o in Italia. Nel mondo ci sono banchieri che, per uno strano sistema, prendono 100 milioni all'anno tra stipendio, benefit e premi. Questa, in modo diverso, è un'incoerenza e forse anche un'ingiustizia."

Qui sorge un dubbio. Ma il Matteo Marzotto che risponde è lo stesso che fu cooptato nel CdA della Banca Popolare di Vicenza a fine 2014? E se è proprio lui, come ha fatto a non accorgersi di quello che stava succedendo e di cosa era accaduto in precedenza? Non è, forse, che anche lui fosse coinvolto? Quello di cui ha perfettamente ragione è che "quello che abbiamo visto in Veneto ha dell'incredibile". Peccato che lui non ha visto anche se era in posizione privilegiata.

Infine un'ultima questione, che esula (forse) dai contenuti dell'intervista. Nella premessa si scrive della sua presidenza della maison Valentino, ma non c'è alcun accenno alla condanna in primo grado che Matteo Marzotto ha subito l'anno scorso (questo l'articolo ANSA del 17 febbraio 2016: Matteo e Diamante Marzotto sono stati condannati a 10 mesi con la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel processo milanese con al centro una presunta evasione fiscale scaturita dalla vendita del marchio Valentino Fashion Group al fondo Permira. Anche un terzo imputato, Massimo Caputi, è stato condannato a 10 mesi. Il giudice della seconda sezione penale di Milano ha disposto anche il dissequestro e la restituzione delle somme che erano state sequestrate agli imputati. Il processo vedeva al centro una presunta omessa dichiarazione dei redditi, relativa alla vendita del marchio Valentino Fashion Group da parte dei Marzotto e Donà Delle Rose, avvenuta nel 2008, al fondo Permira. Secondo l'accusa, con la vendita del brand sarebbe stata realizzata una plusvalenza di 200 milioni di euro, ottenuta in Lussemburgo (attraverso la società Icg) senza pagare tasse per circa 71 milioni di euro. "Faremo appello convinti della loro innocenza" hanno commentato gli avvocati.)

Forse non è importante, forse si ritiene che finirà tutto con un'assoluzione piena (o una raggiunta prescrizione) come di solito succede con le persone "di un certo livello". Del resto neppure nella sua biografia che si legge su Wikipedia c'è accenno a questo fatto. Ma non sarebbe stato, forse, più giusto darne notizia? Così, per la precisione.

Giorgio Langella


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