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A Marano Vicentino parla don Albino Bizzotto, uomo della terra

Di Alessandro Pagano Dritto Giovedi 12 Settembre 2013 alle 00:34 | 0 commenti

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Nel parlare di don Albino Bizzotto (in piedi, nella foto di Martina Cornolò), che mercoledì 11 settembre ha riempito l’auditorium di via Guglielmo Marconi a Marano Vicentino, il richiamo alla nascita e alle origini è una costante. Origini che diventano ora la famiglia – padre, madre e sette figli – ora la terra di provenienza, quel Veneto contadino umile e povero che a sentirne parlare vengono in mente i libri e la Asiago di Mario Rigoni Stern, la terra dura da vangare.

Don Albino Bizzotto sta girando non per promuovere l'iniziativa che ha reso noto a molti il suo nome, il digiuno, ma per promuovere una causa, per parlare di ambiente. 

Quando il sindaco del paese Piera Moro, che è stata, racconta il religioso, tra le prime cariche istituzionale a fargli visita dopo la sua decisione di astenersi dal mangiare, lo introduce con la parola «profeta», don Bizzotto declina: «Nulla mi è più distante del nome profeta. Io penso solo che quando uno ha una certa origine, di fronte a certe cose non può stare fermo».

Sono, queste, le prime, semplici, parole di un discorso facile ma efficace, diretto, che prende in causa tutti come abitanti del pianeta e chiede se per caso, se la terra è davvero vita come diciamo, non sia il caso di pensare che forse stiamo commettendo – il termine è del relatore - un aborto.

Don Bizzotto, che recentemente ha espresso le sue perplessità anche in Regione chiamato a parlare agli stessi responsabili delle opere pubbliche che contesta, elenca numeri, cita fonti autorevoli, nelle sue mani passano fotocopie e plichi, appunti che sott’occhi guarda di tanto in tanto passeggiando di fronte al suo pubblico: il Veneto, dice per esempio, è la regione più cementizzata d’Italia, dalle sue belle alture naturali, dalle sue montagne e colline, capita di vedere un unico grande agglomerato di case fino all’orizzonte. Potenzialmente il Veneto sarebbe una delle regioni più ricche della penisola, offrendo più di sei ettari di territorio per abitante. Di fatto le colate di cemento hanno ridotto gli ettari a poco più di uno. Eppure, dice don Bizzotto, non ci si ferma, si continua con nuove opere pubbliche che non si sa quanti vantaggi diano alle persone che abitano quei territori e quanti invece ai privati che li costruiscono. Sotto tiro soprattutto la nuova pratica del project financing – qualcuno tra il pubblico mormora dell’ospedale di Santorso, ignaro di un cronista lì vicino -, colpevole di mettere al sicuro i privati e indebitare la Regione e la sua gente per gli anni futuri. Le nuove infrastrutture del Polesine - passaggi di gas - non avrebbero, secondo don Bizzotto, arricchito gli abitanti della zona, ma solo deturpato l’ambiente in cui questi vivono. E poi, dietro queste grandi opere, anche gli aspetti più biechi della finanza malata, dei subappalti che avrebbero già provocato la fuga di alcuni geometri dai lavori della Pedemontana; alcuni senatori, tra i quali la vicentina Laura Puppato, avrebbero chiesto di poter vedere il piano economico di quest’opera, che tuttavia non è ancora stato reso pubblico.

Il fatto è che la maggior parte di questi lavori – don Bizzotto espone un grafico e conta 31 nuovi lavori stradali in tutto il Veneto – sono già stati approvati e non c’è quindi più gran che da fare. Si può e si deve allora lavorare sulla coscienza dei cittadini, che devono conoscere quanto sta accadendo e opporre una resistenza viva, che si faccia sentire. Il plauso del religioso va soprattutto ai tanti comitati sorti nell’ambito delle specifiche situazioni: «I comitati sono le sentinelle che denunciano e tengono aperti i contatti con le comunità», dice.

Prima di andare via, per una riunione che lo attende in quel di Padova, don Bizzotto chiude con una frase significativa che lui dice ai bambini e ai ragazzi delle scuole che visita: «Imparate a coltivare un orto».

La terra, la vita, l’origine di tutto.    


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