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La lettera di Michele: la periferia asfittica del Nord-Est, col trattino separatore, inghiotte la ‘meglio gioventù'

Di Rassegna Stampa Domenica 12 Febbraio 2017 alle 11:13 | 0 commenti

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L'ultima lettera di Michele (trentenne, grafico, stanco di respirare aria fritta e alimentarsi di falsesperanze) da quando è stata pubblicata dal Messaggero Veneto (la riportiamo in fondo*, ndr) ha guadagnato attenzioni, riflessioni, discussioni e inevitabili dubbi, retropensieri, sospetti. Tuttavia il "caso" si è imposto con una forza paradigmatica in grado di eccedere i confini locali e per di più capace di cristallizzare un contesto. La "meglio gioventù" spalle al muro, inghiottita dal baratro. Un dramma familiare, e non solo: la corrispondenza si moltiplica nei social. E la "notizia" originale tracima ben oltre il giornalismo ai tempi di Internet. Soprattutto perché, di fatto, squaderna la stessa lacrima degli irreversibili tramonti a Nord Est. Comunque, questo è il suicidio del quadrante che - fra Vicenza e Trieste, Venezia e Trento, Treviso e Udine - si era immaginato "regione europea", "modello di sviluppo 3.0" o perfino "variabile indipendente" da Roma Ladrona, precipitando invece dentro la Grande Crisi che ha desertificato - insieme ai capannoni all'ombra di ogni campanile - anche l'ideologia dell'intrapresa formato individuale.

La verità incontrovertibile a Nord Est combacia con un labirinto senza uscita. Non funziona più, da decenni, la mediazione sociale prima ancora che politica di "mamma Dc". È andato in tilt anche il project financing a senso unico dell'ologramma di Berlusconi & Galan. Nemmeno il lighismo ha retto, perché la lotta secessionista è virata nel governo dell'orticello. Restano, forse, la rabbia cieca e l'orgoglio tradito che alimentano i voti al M5S.

Lo conferma perfino Ilvo Diamanti nel "Rapporto della Fondazione Nordest 2017" aggiungendo un trattino: «Il Nord Est è tornato a essere Nord-Est. A Nord di Roma e a Est di Milano e Torino. In altri termini: una periferia». Simulacro in cartongesso. Con i centri commerciali come nuove zone industriali, gli studi professionali irretiti dalle cosche, le piazze rianimate solo dallo spritz, gli orizzonti ristretti da asfalto e cemento (nella foto esemplificati a Vicenza dai "loculi" di Borgo Berga, ndr) , "città metropolitane" e borghi che invecchiano non solo anagraficamente. Spicchio d'Italia inacidito. Aveva le banche, ma sono state divorate in Borsa o hanno spolpato il territorio di valori e fiducia. C'erano le zone industriali stile Petrolkimico o Ferriera, mentre oggi dominano la manifattura commerciale e i servizi a bassa intensità. Nutriva le ambizioni di Università, ospedali, laboratori culturali e produzioni immateriali, ma il "sistema integrato" è sempre minato da gelosie.

Così Nord-Est, già periferia d'Europa, esce anche dall'occhio di bue dell'Italia. Deve arrangiarsi nel buco nero che brucia capitali e lavori; inventarsi le Scarl usa e getta al posto delle holding; giocarsi il tutto per tutto con il business dei migranti o con l'aspide delle mafie; inginocchiarsi alla "sussidiarietà nazionale" per l'ultima briciola di finanziamenti Ue. È davvero arduo sopravvivere in questo gioco a somma zero. Tranne che per gli "eletti", sempre bravi a incassare le perdite altrui. Chi paga per l'inquinamento da Pfas (sostanze perfluoro alchiliche) nell'acqua bevuta da 250 mila veneti? Quando mai è affiorato oltre le Dolomiti lo scandalo di Südtiroler Elektrizitätsaktiengesellschaft in Alto Adige? Perché lo statuto speciale del Friuli sembra mettere al riparo anche dalla Commissione Antimafia? Forse, il suicidio di Michele rappresenta l'altra faccia della medaglia del harakiri politico-istituzionale. A Nord-Est si "governa" nei salotti riservati, fra lobby consolidate, sulla testa dei cittadini, perfino in barba alla magistratura, con la compiacenza mediatica.

Eppure, questa simbolica lettera d'addio ha costretto tutti a guardarsi allo specchio. Senza più archiviare l'urgenza di reagire. Lungo la tratta del virtuale "corridoio 5" infarcito di catastrofici binari morti. Magari con le parole di Wu Ming 1 come antidoto: «L'attuale forma di capitalismo italiano sa immaginare soltanto il consumo di suolo, la cementificazione, far girare le betoniere, il movimento terra, eccetera. Non c'è nessun'altra strada che venga percorsa tranne questa, che è sempre la più facile. Le Grandi Opere sono il perno del modello di capitalismo italiano di questi anni».

di Ernesto Milanesi, da Il Manifesto

 

La lettera di Michele

Ho vissuto (male) per trent'anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.

Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un'arte.

Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l'altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.

Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.

Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.

A quest'ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po' non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.

Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.

Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c'entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.

Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c'è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un'epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.

Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l'alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l'ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c'è davvero bisogno.

Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po'. Basta con le ipocrisie.

Non mi faccio ricattare dal fatto che è l'unico possibile, il modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all'individuo, non ai comodi degli altri.

Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.

Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.

Dentro di me non c'era caos. Dentro di me c'era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un'accusa di alto tradimento.

P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi. Ho resistito finché ho potuto.


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