Quotidiano | Categorie: Diritti umani, Fatti, Vita gay vicentina

Gay Pride a Tel Aviv visto da Vicenza: tra il sacro, il profano e "il Pinkwashing"

Di Paola Farina Domenica 11 Giugno 2017 alle 18:17 | 0 commenti

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Il direttore di VicenzaPiù mi ha chiesto se volevo scrivere sul Gay Pride di Tel Aviv 3 la mia intenzione era di accontentarlo con un confronto fra rabbini. Mi sono documentata un po' sul libro Levitico (che fa parte dell'Antico Testamento) e sulla Torah. Non sono una grande conoscitrice di testi sacri, ma ho capito subito che avevo bisogno di tempo per il mio intento, per mettere a confronto alcune scuole di ebraismo su un argomento sul quale ci sono state molte dispute, grandi dibattiti e non poche divisioni. Ci proverò in futuro, sia con Rabbini Italiani "tradizionali" (già a questa mia affermazione avranno qualcosa da ridire), sia con gli Haredim (se vorranno parlare con me, tra le mie amicizie ne ho qualcuno che mi sopporta e mi concede scambi di opinioni, ma non è poi così semplice...), sia con Riformisti e con i Lubavitch. Sarà forse, se ci riuscirò, l'unica volta in cui io mi asterrò dall'esprimere alcun commento personale.

Intanto, però, scrivo per la cronaca e con qualche riflessione del Gay Pride di Tel Aviv per non deludere nell'immediato il direttore e, soprattutto, i lettori di una città che, sia pure in un ambito non proprio storicamente e culturalmente favorevole, ha celebrato pochi anni fa il suo Pride dimostrando che anche l'elefantiaca Vicenza può essere "smossa" se qualcuno ha il coraggio di farlo: in questo caso la comunità vicentina di persone LGBTQIA.
Non c'è, comuqnue, location migliore che Israele per il Gay Pride (qui la photo gallery), proprio perché multietnico: lì si parlano molte lingue, ebraico e arabo in primis, seguite da inglese e russo più molti idiomi diversi che dovrebbero superare le 70 lingue. Israele è un paese all'avanguardia e molto più open mind di quanto la stampa veicoli...; qui convivono misticismo e tecnologia, scienza e religione, bellezze naturali e divertimento.

Per il secondo anno consecutivo il festoso corteo del Gay Pride ha sfilato a Tel Aviv richiamando più di 200.000 persone. Il sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, classe 1944, fa orecchio da mercante alle proteste dei suoi cittadini. Sindaco dal 1998, ex pilota di guerra prima e poi comandante, nato nel Kibbutz di Hulda da genitori polacchi di Lodz, nel 2003 è eletto sindaco con il partito Labor (63%), poi nel 2008 Labor- Kadima (50.6%) e nel 2013 (53%), coalizione Labor-Kadima-Pensionati, anche in Israele va di moda il valzer delle alleanze....

E il sindaco ha dichiarato con orgoglio: "Il Gay Pride Parade non è solo una celebrazione, ma un'importante affermazione morale. [Noi] continueremo a essere un faro e la bussola per i valori della libertà, della tolleranza e della democrazia e continueremo a marciare per portare a termine il cambiamento desiderato in questo paese" (opinione del Sindaco o Imbuto di voti?).
Contenta? No, arrabbiata. Ma non di certo per il Gay Pride, semplicemente perché Israele non ha escluso nessuno, mentre nel 2016 a Chicago, dove era in corso la perorazione della causa omosex e transgender negli Stati Uniti, la pressione degli attivisti anti-israeliani ha spinto "il conclave" LGBT a revocare l'invito alla Comunità Gay Israeliana.

Non sono una beata costruttrice di pace e ho l'abitudine di perdonare tutto, nella stessa misura in cui un elefante perdona. Non rende onore all'America l'aver respinto, in questa circostanza Israele, unico paese in cui l'omosessualità è vissuta liberamente e rispettata dalla maggior parte delle persone. Quella del 2016 non è stata comunque la prima volta contro Israele. A Madrid nel 2010 accadde la stessa cosa, e l'allora portavoce del ministero degli esteri israeliano, Yossi Levy, parlò di una "decisione molto triste e preoccupante: la Sfilata dell'Orgoglio diventa la Sfilata della Vergogna". A San Francisco, attivisti gay hanno inscenato proteste contro il Frameline Lgbt Film Festival soltanto perché il governo israeliano figurava tra i suoi sponsor. A Stoccolma una conferenza sui diritti gay è stata interrotta da militanti Lgbt antisraeliani. Ricordo di "una Berlino" che chiese ai gay israeliani di sfilare con uno striscione "delegazione di Tel Aviv" anziché "Israele" per evitare proteste.

Sono migliaia i gay palestinesi che Israele ha salvato (l'ultima statistica 2014 parla di 1.034 persone) e che diversamente sarebbero andati incontro a morte sicura per mano islamista. In questi ultimi anni si sa che le persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali) continuano a vivere nei paesi di maggioranza musulmana momenti di grande tensione e discriminazione, quando queste non diventano morte, eppure nonostante questo, nemmeno gli LGBTQIA internazionali sanno riconoscere a Israele la giusta considerazione che merita per la sua tolleranza in questo campo.

Siate incoerenti: frequentate israeliani, vi piace andare nei locali israeliani, nelle spiagge israeliane, ma siete pronti a fare subito retromarcia per essere politicamente corretti. Se davvero volete essere politicamente corretti, date atto di apertura a Israele, dove il matrimonio tra gay è in uso da una decina di anni (sia pure tra mille discussioni) e urlate contro i BDS (Boycott, Divestment, Sanctions movement) e contro Il Medio Oriente.

Questo ultimo lo possiamo suddividere in tre fasce base: la fascia "extra large", paesi, tra i quali l'Iran, dove l'omosessualità è punita con la pena di morte; poi la fascia "medium" in cui l'omosessuale non rischia la pena di morte ma lavori forzati e vari anni di galera, in Marocco tre anni circa di carcere, mentre in altri paesi si arriva fino a quindici; poi c'è la fascia che io chiamo "light", cioè quella che non prevede la carcerazione ma altre ritorsioni che minano la vita degli omosessuali.

C'è da dire, invece, che in Israele ci sono molte associazioni che intervengono in favore degli omosessuali, tra queste "Open House" a Gerusalemme, e "Aguda" a Tel Aviv.

Non solo, ma Israele ha anche l'esercito più gay friendly del mondo: in Israele un soldato è un soldato, al di là del sesso e delle sue attitudini personali. Del resto i gay sono sempre esistiti nel mondo, sono coinvolti attivamente in operazioni importanti di eserciti ed hanno ricoperto posizioni chiave anche nel nostro Esercito.

In passato almeno... non so ora, ma per favore non salti fuori il generale di turno che cerca di smentirmi, perché nel 1993 ho accompagnato il Corpo di Stato del nostro Governo in Israele, cinquanta persone, venti mogli, tragedia nella tragedia e c'erano tutti: Ministero dell'Interno, Marina, Finanza, Esercito, Aeronautica, mancavano solo i Carabinieri...

Israele deve anche difendersi dalle accuse di Pinkwashing, ovvero una terminologia della quale si sono appropriati gli odiatori di Israele sostenendo che Israele utilizzi la promozione dei diritti LGBT per mascherare la violazione dei diritti umani delle persone palestinesi dei presunti territori occupati (ovvero quelli contesi) e per avere vantaggi commerciali grazie al turismo generato dai gay pride.

Ma si può odiare Israele al punto di rubare una parola formata dalla crasi tra "pink", rosa, e "whitewashing", imbiancare o nascondere? Questo termine è stato usato per la prima volta da un'associazione per la lotta contro il cancro al seno per identificare le aziende che fingevano di sostenere le persone malate di cancro al seno, guadagnando dalla loro malattia...

Ed infine, ma non per questo meno importante, i gay sono anche ben introdotti, sia nei piani alti, sia nei piani bassi del Vaticano, Curie Vescovili e così via e quindi, basta ipocrisie, ma se si deve invocare la parità dei diritti, questa sia valida per tutti ed in tutto, altrimenti i discriminati diventano discriminatori.

Comunque, nonostante tutto il Gay Pride In Israele è stato un successo!


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