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Lavoratori croati, Zaia ne chiede il rinvio della circolazione. Veneto pragmatico o solo miope?

Di Alessandro Pagano Dritto Domenica 16 Giugno 2013 alle 19:25 | 0 commenti

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Il senso dei messaggi lanciati sul tema dalla Regione pare possa riassumersi così: «Va bene la Croazia in Europa, ma stiamoci attenti perché se no qua in Veneto crolla tutto». Il presidente Luca Zaia e l'assessore al lavoro Daniela Donazzan temono che, aperte le frontiere, cittadini croati arrivino in Italia e soprattutto in Veneto a cercare lavoro, aggiungendosi ai 6.085 registrati in regione dall'ultimo censimento, quello del 2011, e ai 1158, nello specifico, della provincia di Vicenza (nella foto uno striscione dei tifosi croati di Zara del Benetton Treviso di rugby, ndr).

Si potrebbe notare che in realtà, secondo i dati dello stesso censimento, il numero negli ultimi anni è in calo, in quanto nel 2005 i cittadini croati residenti in Veneto erano quasi 400 più. Ma non ci si nasconda dietro il paravento dei numeri: più di 6000 sono comunque rimasti e quindi il Veneto è una regione di migrazione non solo transitoria, per lo meno dalla Croazia: «Qui si rischia - scrive Zaia - che l'intero Veneto finisca fuori mercato. Quella che ho già definito una vera apocalisse».
Vogliamo anche dare ragione, a livello molto pragmatico, a Zaia e alla Donazzan. La questione è semplice: se io ho pochi posti di lavoro in parte già occupati, mi arrivano migliaia di persone che me li occupano e gli altri o se ne vanno altrove o si aggiungono ai disoccupati; per non parlare, almeno potenzialmente, dei lavoratori in nero - non sempre sgraditi alle industrie, perché meno diritti equivale a meno costi e più guadagni - o a chi si dà a operazioni illegali pur di avere di che vivere.
Non si pretende - ma in certi casi si dovrebbe - nemmeno che la politica si comporti da quell'associazione umanitaria che non è mai stata: la politica nazionale ragiona in termini nazionali e privilegia i lavoratori nazionali sui migranti, a meno che questi non diventino a loro volta cittadini dello Stato che raggiungono. Fino ad allora è il governo croato a doversi occupare dei cittadini croati, non quello italiano.
Fin qui il filo logico di un pensiero che possiamo tranquillamente definire nazionalista e conservatore e che per molti, in terra prima democristiana e poi leghista qual è il Veneto, non fa una grinza. Non è forse questa anche la terra dello «sceriffo» Gentilini e della sua (ex) Treviso? Non vengono forse sia Zaia che la Donazzan da partiti che il senso comune indica come conservatori, dal pensiero ben chiaro sulle migrazioni?
Nelle lettere firmate non c'è traccia di numeri precisi, si chiede solo un indefinito rinvio della libera circolazione dei croati, per lo meno in Italia. Il Corriere del Veneto parla di sette anni: dal luglio 2013 - data dell'ingresso della Croazia in Europa - al 2020.
Ma non possiamo dimenticare che uno dei punti basilari su cui si regge l'Unione europea è la libera circolazione, all'interno dei paesi membri, di merci e persone. La Regione dovrebbe quindi giustificarsi con evidenti prove di voler superare questa impossibilità immediata di accoglienza attraverso la necessaria adeguazione delle strutture e dell'economia del territorio di sua competenza. Perché è vero che un migrante porta ulteriori costi a livello sociale. Se un migrante va all'ospedale, la comunità deve sobbarcarsi il costo della spesa, se ha bisogno di una casa entra anche lui in lista, anche lui consuma elettricità, luce e gas, anche lui mangia e beve e aumentando la richiesta si devono soddisfare tutta una serie di elementi collegati e che hanno a che fare con la gestione dei servizi sul territorio. Insomma, l'aumento di popolazione non è cosa da affrontare a cuor leggero, il resto è retorica. Ma non si dimentichi che aumentano i costi come pure i guadagni: il migrante regolare paga le sue tasse come un italiano, anche lui paga il suo ricovero in ospedale, anche lui le sue bollette di luce e gas, acquista la propria spesa e fa andare avanti le industrie o comunque i settori in cui lavora con la stessa onestà a cui è tenuto un italiano.
E allora che senso ha parlare solo di un prolungamento a data da definirsi dell'ingresso dei migranti croati in Italia, se poi la situazione rimane la stessa e non si apportano modifiche interne - in meglio - al settore dell'economia, dell'assistenza sociale, del lavoro, dei diritti del lavoratore e del cittadino?
I migranti prima o poi arriveranno, è la storia del mondo e dell'Italia, e il territorio dovrà essere pronto ad accoglierli.
La Regione saprà - ne dà recente notizia Il Fatto Quotidiano - che Emergency non opera più solo in Afghanistan o nella Repubblica Centroafricana del recente colpo di Stato, e nemmeno più solo nella Sicilia dellla corruzione mafiosa o nella Calabria di Rosarno e della rivolta dei lavoratori africani. No, Emergency lavora anche a Venezia Porto Marghera e sta pensando di estendersi nelle province di Treviso e di Padova. Secondo quanto riporta il giornale, attualmente in Veneto un paziente su cinque dell'associazione di Gino Strada ora è italiano. Il che vuol dire sì che quattro su cinque non lo sono, ma anche che quattro su cinque appartengono a tutte le possibili nazionalità di migranti esistenti a Venezia e dintorni. Diventa una questione di proporzioni, a considerarla meglio. E chi si rivolge ad Emergency lo fa perché non può permettersi cure importanti che non siano praticamente gratuite.
E questo fa un po' a pugni, tanto per rimanere nel Vicentino, con quanto sta emergendo sul nuovo ospedale costruito a Santorso, per esempio, che alcuni giurano sia un caso tutt'altro che isolato. Un ospedale che sembra sempre più fare il gioco dei privati lasciando al pubblico solo i costi nei prossimi decenni.
A quale sviluppo sociale ed economico porterà tutto questo nei prossimi sette anni? Come si preparerà il territorio all'accoglienza di nuovi migranti o semplicemente di una maggiore popolazione?
Ci rendiamo conto che parlare di migranti e nuove possibilità di tassazione vuol dire togliere loro ogni umanità, e questo non ci piace. Un migrante è anche altro, non un semplice limone da spremere: è innanzi tutto una persona con il proprio diritto alla soddisfazione dei desideri e delle ambizioni. Ma ci atteniamo qui a un discorso puramente pragmatico che le autorità pensiamo potrebbero e dovrebbero apprezzare. Non si può solo negare, allontanare, mettere pezza su pezza. Si può chiedere un'eccezione temporanea alle regole dell'Europa - rimane da verificare in quali casi e con quali modalità sia prevista e possibile - giustificandola però con dei piani concreti che, scaduti i termini, aiutino a inserire i lavoratori croati o di qualsiasi altra nazionalità nel tessuto sociale ed economico regionale e nazionale.
Ci sembra che si stia scegliendo una strada diversa: dire che la nave è piccola, che non ci stiamo tutti, salvo poi evitare di costruirne una più grande e più comoda. E questo nei limiti, va riconosciuto, delle possibilità fisiologiche del cantiere.

 

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