Quotidiano | Categorie: Politica

A Vicenza ci sono oratóri? Con la ó e non con la ò...

Di Italo Francesco Baldo Giovedi 2 Novembre 2017 alle 18:32 | 0 commenti

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Le prossime elezioni amministrative iniziano ad entrare nel vivo. Le primarie sono alle porte, i contendenti si misurano in tantissimi modi, e tutti protesi ad avere la nomination, tanto per essere americani soprattutto in una zona politica che ha fatto da sempre dell'antiamericanismo, scimmiottadolo però! Le parole spese in ogni dove, particolarmente nei teatri più che nell'agorà (piazza dove si intrecciavano le relazioni e si discuteva dell'avvenire della città), danno modo di conoscere e valutare coloro che si contendono il palmarès (lista dei successi) tra cui quello per cui lottano, la designazione.

In realtà questa parrebbe come già avvenuta. In primo luogo quando il sindaco Achille Variati ha convocato due candidati (Otello Dalla Rosa e Giacomo Possamai) e vi ha aggiunto il proprio (Jacopo Bulgarini d'Elci). Nessuno sa che cosa abbia detto ai tre moschettieri il capitano Monsieur De Variati, ma se non ci s'inganna, avrebbe distribuito i ruoli che dovrebbero occupare e imposto un "tutti per lui e lui per uno solo".
Immediatamente sono iniziate le scommesse, ma soprattutto si sono attivati due indicatori.

Il primo è stato un sondaggio promosso dal giornale locale certo su iniziativa del direttore, che stabilisce una classifica precisa: I Otello Dalla Rosa 55%; II Giacomo Possamai 33% e ultimo Jacopo Bulgarini d'Elci 12%. Un esito che potrebbe da solo far accantonare le primarie. Il secondo indice, la raccolta prescritta di firme di cittadini per presentarsi alle Primarie ufficiali, genera qualche dissapore, ben presto sedato. Anche la raccolta attesta la stessa classifica.
Nel mondo americano, ben avvezzo alle primarie, ciò comporterebbe che almeno un candidato dovrebbe lasciare l'agone, ma siamo in Italia.
I candidati quasi ogni giorno annunciano qualcosa, quasi fossimo in campagna elettorale e non nella designazione del candidato di una parte, alla quale dovrebbero rivolgersi per avere consenso. Si rivolgono invece al mondo intero, quasi considerando Vicenza caput mundi.

Interessante leggere quanto scrivono e un'analisi ricaverebbe, come è stato commentato, anche la tensione retorica. Proprio qui sta il punto. Si tratta di retorica come quella dei sofisti o come quella di Cicerone?
I primi nell'antica e classica Grecia furono i primi pensatori che fecero della ragione uno strumento atto a raggiungere i propri scopi. Servendosi abilmente della parola dimostravano che ciò che è sacro è sacrilego e ciò che è sacrilego invece è sacro. Infatti per loro l'uomo è misura di tutte le cose sia di quelle che sono, sia di quelle che non sono.

Riuscirono a far condannare Socrate che li aveva smascherati (cfr. Platone, Apologia di Socrate). Furono sprezzati da Platone e dalla sua idealità morale, ma sopravvissero fino ad oggi, tanto che "sofista" è quasi sinonimo di politico e sono diffusi in ogni latitudine. Facile identificarli nel loro gioco dialettico: per loro la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo e invisibilissimo corpo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura e a eliminare il dolore e a suscitare la gioia e ad aumentar la pietà. [...] Dunque, gli ispirati incantesimi di parole sono apportatori di gioia, liberatori di pena. Aggiungendosi infatti, alla disposizione dell'anima, la potenza dell'incanto, questa la blandisce e persuade e trascina col suo fascino. Di fascinazione e magia si sono create due arti, consistenti in errori dell'animo e in inganni della mente. E quanti, a quanti, quante cose fecero e fanno credere, foggiando un finto discorso! (Gorgia, Encomio di Elena).
Se un aspirante politico forgia i propri discorsi in questo modo, allora egli è certo un sofista e si può smascherarlo soprattutto quando ha già compiuto qualcosa, perchè le opere attestano se ciò che dice è veritiero. Tornano le grandi parole di una celebre melodramma: "Ah, il passato perché, perché v'accusa!" (F. M. Piave). Non stiamo qui a indicare quali siano gli strumenti usati, tra tutti, oltre alle molteplici figure retoriche, il sillogismo di confusione, dove le parole assumono a seconda del momento e dell'ora e soprattutto dell'ascoltatore il significato che si vuole e la Prova apparente dove si dice che il bene è benefico, ma non che cosa sia.
Contro costoro vale solo un'attenta disamina razionale e fondata sui fatti, perché la retorica non strumentale in politica deriva certo più dal romano Cicerone e dalle sue Catilinarie. Basterà ricordare l'inizio della prima: "Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza (quella del popolo)?" e prosegue "Quanto a lungo ancora codesta tua follia si prenderà gioco di noi? Fino a che punto si spingerà [la tua] sfrenata audacia?" Con ciò invitando gli ascoltatori a non guardare alle parole, ma alla sostanza di ciò che si dice. Infatti, Marco Porcio Catone (234-149 a.C.), il Censore che si oppose sempre ad una individualizzazione della vita politica, ben avverte che l'oratore non deve essere giudicato dal parlare forbito: "abbi ben chiaro il contenuto, e le parole verranno da sé.". A questo uomo si deve, a quanto narra Quintiliano (Institutio oratoria, XII, 1: 9) la bella definizione dell'oratore: uomo buono, esperto, come si diceva sopra, nel parlare. Uomo buono prima di tutto, ossia morale.
Chissà chi dei tre moschettieri sarà un vero oratore? Con la ó...


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