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Università di Padova, l'appello degli studenti per l'inaugurazione dell'a.a.

Di Redazione VicenzaPiù Venerdi 1 Marzo 2013 alle 14:40 | 0 commenti

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Chiara De Notaris, rappresentante degli studenti Università di Padova  -  Studentesse e studenti, Magnifico Rettore, autorità, signore e signori, ad un anno dall’entrata in vigore del nuovo Statuto dell’Università degli Studi di Padova, mi sia concesso di soffermarmi qualche istante sul mio ruolo qui, all’interno di questa cerimonia a cui sono onorata di prendere parte.
Oggi qui la mia emozione non è dovuta solamente alla solennità e all’importanza di questa cerimonia, ma anche al fatto che ho potuto constatare, con una certa amarezza, che è raro che una donna prenda parola a un evento come questo.

Sono passati 335 anni da quando, il 25 giugno 1678, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia fu la prima donna al mondo alla quale fu conferita la laurea. Un tale evento fu possibile per la prima volta nella storia del sapere proprio presso lo Studio padovano, nonostante le opposizioni del mondo accademico e dell’allora
cancelliere dell’Università il Cardinal Barbarigo, il quale considerava “uno sproposito dottorar una donna”, qualcosa che, secondo le sue parole, “ci avrebbe resi ridicoli al mondo”. Oggi quelle parole suonano a tutti come lontane, retaggio di un’epoca passata, epoca di discriminazioni diffuse.
Se però analizziamo i dati relativi alla presenza delle donne oggi all’interno del mondo accademico, ci troviamo di fronte a una situazione disarmante: il nostro ruolo all’interno dell’università, come in molte altre istituzioni, rimane spesso subordinato, invisibile. Quante sono le donne direttrici di Dipartimento nel nostro Ateneo? Quante sono o sono state Rettore a Padova e in Italia? Nel nostro
Senato Accademico e nel nostro Consiglio d’Amministrazione, su 38 componenti totali, solo 8 sono donne, poco più del 20%.
Non sono bastati quindi più di trecento anni di storia a cambiare radicalmente le cose. Questi dati esortano a riflettere, e dovrebbero spingere noi donne a prendere coscienza dell’importantissimo ruolo che possiamo e dobbiamo avere all’interno di tutti i luoghi decisionali.
Per questo si rivela necessario intervenire a diversi livelli, a partire dalla  programmazione,dall’organizzazione, dalla scelta dei meccanismi di valutazione e del  reclutamento, per individuare nuove misure di inclusione difficili ma non per questo meno irrinunciabili, perché la perdita della potenzialità delle donne è uno spreco di intelligenza, di risorse e denaro che la nostra Università, la nostra società in questo momento di crisi non possono e non devono permettere.
Entrando nel merito della mia presenza, non posso non premettere che, a differenza dei miei predecessori, sono sì rappresentante degli studenti in Senato Accademico, ma non sono il Presidente del Consiglio degli Studenti, figura a cui competerebbe esprimersi in questa sede. L’organo che ha il compito di portare all’interno dell’Ateneo il parere degli studenti, a quasi un anno dalle elezioni studentesche infatti non è ancora stato formato: questo è solo un esempio del caos creato dalla riforma Gelmini che, unito a una disattenzione degli organi dell’Ateneo, ha impedito che la rappresentanza studentesca potesse essere al più presto nella sua piena e fondamentale operatività. Tale trasformazione ha portato allo smantellamento delle Facoltà, alla nascita delle Scuole, al trasferimento delle competenze in materia di didattica ai Dipartimenti e all’introduzione di esterni nel Consiglio di Amministrazione. A un anno di distanza dall’applicazione piena della riforma Gelmini, riguardo la quale abbiamo più volte sottolineato la riduzione della rappresentanza studentesca, dobbiamo purtroppo constatare che non eravamo troppo distanti dalla realtà. Negli stessi Consigli di Dipartimento, luoghi adibiti alle decisioni circa la didattica, fatichiamo a trovare uno spazio, dato il crearsi di situazioni diverse da Dipartimento a Dipartimento. In alcuni, i rappresentanti degli studenti sono considerati parte integrante del Consiglio, svolgendo un ruolo effettivo di collegamento con le istanze degli studenti; in altri, dobbiamo purtroppo constatare la difficoltà, finanche l’impossibilità, di fare ciò, a causa della precisa volontà di alcuni docenti. L’Ateneo deve porre rimedio a questo vuoto statutario
il prima possibile, affinché tutti gli studenti dell’Università di Padova possano contare su dei rappresentanti messi in condizione di poter svolgere degnamente il compito per cui sono stati eletti.
In questo ultimo anno sono cambiate molte cose all’interno dell’Università. Sono nate le Scuole, sono entrati in funzione i nuovi organi di valutazione (i GAV) e tra qualche tempo anche le Commissioni Paritetiche di Scuola. Lavorando in questi nuovi organi ci siamo accorti delle potenzialità positive che nascono dalla valutazione e dal confronto docenti-studenti, strumenti importanti che hanno già
permesso di risolvere, in alcune situazioni, problematiche legate alla didattica.
Tuttavia, siamo fortemente preoccupati circa l’uso che l’ANVUR ha chiaramente intenzione di farne, in un periodo di tagli e scarsità di risorse come questo. Il susseguirsi di decreti ministeriali negli ultimi anni non ha fatto altro che approfondire il solco tracciato dalle riforme degli scorsi governi. Non ci si può più nascondere dietro a un dito: gli effetti di queste manovre sono chiari e inequivocabili.
I livelli minimi richiesti ai corsi di studio, prevedendo determinati rapporti numerici docenti/studenti, creano un effetto combinato con i provvedimenti che impediscono l’assunzione di nuovo personale. Un numero esiguo di docenti ha, quindi, il duplice risultato di impoverire la varietà dell’offerta formativa delle nostre università e imporre il numero chiuso con criteri eccessivamente restrittivi.
Gli ultimi decreti dell’uscente ministro Profumo risultano quindi essere meramente dei criteri burocratici finalizzati all’imposizione del numero chiuso a migliaia di corsi di laurea in tutta Italia. Gli ultimi dati circa il drastico calo degli iscritti alle università italiane (quasi 60mila studenti in meno negli ultimi dieci anni), dato in controtendenza nel panorama padovano, evidenziano come il numero chiuso non possa essere una soluzione ad alcunché, ma risulti solo uno strumento con cui legittimare nuovi tagli, soprattutto in vista dei pensionamenti in massa dei prossimi anni.
Ma l’attacco all’accesso nel mondo della conoscenza universitaria si sviluppa anche sul piano economico, e colpisce da tre lati. Il mancato rifinanziamento del Fondo di Finanziamento Ordinario sta mettendo in ginocchio gli atenei italiani, spingendoli, per mantenere sufficienti livelli di qualità di didattica e servizi, a recuperare questi fondi dagli studenti. Questo, purtroppo, è già avvenuto a Padova tre anni fa con un forte aumento delle tasse che, pur mantenendo la progressività e gravando maggiormente sui redditi più alti, pone il nostro tra gli atenei più costosi d’Italia.
Con la Spending Review, in secondo luogo, si è di fatto liberalizzata questa pratica. L’aumento delle tasse universitarie, divenuto ora possibile con la modifica di alcuni parametri e con l’eliminazione di fatto del limite del 20% dell’ammontare delle tasse sull’FFO, non solo colpisce duramente i quasi criminalizzati fuori corso, che già pagano maggiormente in rapporto ai servizi di cui usufruiscono, ma rende possibile l’aumento anche ai tanto declamati “meritevoli”. Con l’inserimento del valore della contribuzione studentesca nel calcolo per il reclutamento vengono confermati i nostri timori che la qualità della didattica venga vincolata alla tassazione, favorendo la creazione di atenei di serie A costosi e per pochi e di serie B per tutti gli altri. Il terzo fronte è quello più subdolo, perché modifica direttamente i criteri alla base del diritto allo studio. La risposta, contenuta nell’ultimo decreto proposto dall’ormai ex-ministro Profumo, al problema tutto italiano dell’idoneo non beneficiario alla borsa di studio, risulta essere la riduzione della platea dei borsisti, con il taglio pesantissimo ai finanziamenti e l’inasprimento dei presunti criteri di merito. Questo non fa altro che escludere molti tra i meno abbienti dagli studi universitari, secondo la malsana logica che la borsa di studio sia solo un premio e non uno strumento necessario a chi è privo di mezzi.
Il nuovo decreto conferma inoltre le differenze di trattamento territoriale, riconoscendo come normale che uno studente del Sud Italia abbia meno possibilità di accedere alla borsa di uno delle regioni del Nord. Tutti questi provvedimenti possono condurci solo in una direzione: un’università d’élite, per pochi e per chi se la può permettere, differenziata in qualità e accesso su base territoriale, vincolata a logiche di mercato piuttosto che all’arricchimento della conoscenza, con meno laureati e più ragazze e ragazzi a ingrossare le file della disoccupazione giovanile.
È di più istruzione, di persone più formate e consapevoli del proprio ruolo all’interno della società, che l’Italia avrebbe invece bisogno. Vorrei ora dedicare uno spazio alla situazione locale. La Regione da anni non stanzia finanziamenti adeguati e non garantisce la copertura di tutte le borse di studio, compito che invece dovrebbe assolvere per legge. I fondi che riceve dallo Stato sono vincolati dal patto di stabilità, anomalia del tutto veneta, determinando ritardi irragionevoli nell’erogazione delle borse, ignorando le necessità di migliaia di studenti in condizioni economiche precarie. Vorremmo sottolineare
che il pagamento delle tasse universitarie e delle rette delle residenze ha scadenze precise, che non tengono conto dei tempi della Regione Veneto. Inoltre la situazione, dopo l’ulteriore aumento della tassazione regionale sul diritto allo studio, e l’integrazione fatta dall’Università con fondi dal proprio bilancio, è tale che più del 60% delle borse è pagata dagli studenti stessi, che sono diventati i primi finanziatori di un nostro diritto.
Con rammarico dobbiamo dire che il Veneto si presenta come un territorio in cui l’integrazione e la democrazia nelle università non sono ancora pienamente realizzate. Ci riferiamo a due situazioni in particolare che abbiamo più volte denunciato con forza. Primo, la nostra regione insiste nel mantenimento del limite del 3% per le borse di studio agli studenti extracomunitari, provvedimento discriminatorio nei confronti degli studenti stranieri, che si trovano in molti casi a non ricevere la borsa di studio solo perché non sono cittadini italiani.
Inoltre, l’ESU deve ancora tornare alla sua normale attività: a causa di un commissariamento che dura da ormai 15 anni, il Consiglio di Amministrazione, democraticamente eletto, non può svolgere il suo compito. Crediamo che questa situazione non sia (e non sia mai stata) accettabile, e chiediamo con forza un impegno da parte della Regione per ripristinare il normale funzionamento di un ente per noi così importante. Di fronte a questa situazione non crediamo che la posizione di noi studenti possa
essere diversa da una netta condanna della direzione imposta all’università in questi anni. Noi ribadiamo con fermezza che l’università può e deve essere soltanto pubblica, libera ed egualitaria.
Pubblica: non è ammissibile che lo studente sia il principale finanziatore del diritto allo studio, non possiamo accettare ancora che una grossa parte degli studenti idonei a una borsa di studio non la riceva o la riceva con vergognosi ritardi. Non possiamo rassegnarci al fatto che le tasse siano in continuo aumento in un Paese in cui salari e stipendi sono bloccati da anni.
Lo Stato dovrebbe, in una situazione di crisi come quella in cui siamo, avere il coraggio di dirigere altrove i suoi tagli, a partire dalle spese militari, per le grandi opere e gli stessi costi della politica, per difendere l’istruzione come unico vero motore di crescita.
Libera: tutti devono potere avere accesso all’Università. Se molti studenti e le loro famiglie decidono di affrontare le difficoltà e le incertezze di un periodo di studi così lungo è perché ancora credono nell’istruzione e nel valore del sapere come possibilità di riscatto sociale, di sviluppo di un pensiero critico. Pensiero che formi cittadini consapevoli, in grado di valutare con la giusta cognizione ciò che gli viene proposto.
Vogliamo un’università libera anche da discriminazioni di ogni tipo, che siano etniche, sociali o di genere. A questo proposito, un importante traguardo per il nostro Ateneo sarebbe il riconoscimento del diritto degli studenti che stanno cambiando sesso ad essere chiamati con il nome che sentono proprio. Questo è già possibile altrove, come a Torino, grazie all’introduzione di un doppio libretto per gli studenti transgender. Auspichiamo che un simile percorso sia praticabile anche qui a Padova.
Egualitaria: assistiamo a un continuo inserimento di logiche aziendali, di esclusione e competizione nelle nostre università. La parola merito è spesso utilizzata per nascondere tagli e linee politiche ben precise. Gli studenti invece vogliono promuovere l’idea che, soprattutto all’interno delle università, si debba partire tutti dalle stesse opportunità e che le strutture universitarie debbano promuovere
la collaborazione e la cooperazione tra gli individui. Le grandi innovazioni non nascono, infatti, dalla competizione tra studiosi, ma dall’unione di conoscenze, dalla messa a sistema di idee, dalla collaborazione.
Come studenti abbiamo ovviamente uno sguardo anche al nostro futuro. Purtroppo i tagli e la riforma universitaria stanno producendo i loro effetti anche per quanti fanno della ricerca la loro professione. Ci riferiamo a dottorandi e assegnisti che assieme costituiscono ormai ben più del 50% del personale che ogni giorno contribuisce a mantenere questo Ateneo ai suoi elevati livelli nella ricerca.
Solo il 7% degli attuali assegnisti, però, potrà ambire a un posto stabile nella nostra Università, percentuale in linea con quelle nazionali, come rilevato dalla recente ricerca dell’ADI. Questo a causa dei tagli degli scorsi anni e del blocco del turnover a cui gli atenei sono ancora sottoposti. Ci sembra evidente l’enorme sproporzione di queste cifre. Con la riduzione degli studenti e quindi dei futuri dottorandi, con un percorso nel mondo della ricerca privo di prospettive, pensiamo veramente che il nostro Ateneo potrà mantenere una ricerca degna del suo nome? Ci rivolgiamo al corpo docente in particolare: il problema del precariato nei nostri dipartimenti esiste ed è enorme, la ricerca oggi si basa sul continuo ricambio di giovani ricercatori e dottorandi che non troveranno nessuno sbocco al termine della cosiddetta “gavetta”; non pensate che potrà continuare così per sempre. Non potrà.
Ci dispiace, infine, sentire che molte persone pensino che in Italia ci siano troppi laureati. Noi studenti, invece, crediamo che nel nostro Paese ci sia un enorme bisogno di cultura, di sapere.
E quale è il veicolo del sapere? Sono le persone.
Per questo motivo i laureati non sono mai abbastanza: perché il sapere è un valore a sé stante, indipendentemente dalle logiche contingenti del mercato a cui si deve approcciare.
Il sapere emancipa, è la base di una società consapevole, capace di elaborare soluzioni condivise, in grado di progredire. Il sapere è di per sé una ricchezza e il dovere a cui chiamiamo le istituzioni nazionali e universitarie è quello di eliminare tutti gli ostacoli che impediscono a noi, nuove generazioni, di sviluppare e diffondere le nostre conoscenze.
Concludendo, l’invito che come studenti porgiamo all’intera comunità accademica è di non chiudersi in se stessa pensando che se si riuscirà a preservare la nostra fortezza ci salveremo: pensiamo, piuttosto, che i giardini in mezzo al deserto non possono sopravvivere.
Il sapere non può fermarsi tra le mura di un ateneo, il sapere deve essere libero di circolare,  espandersi, arricchirsi. Il sapere è motore di cambiamento e di progresso reale, ma solo se lo si pensa come condiviso ed inclusivo. La stessa logica di cooperazione che crediamo sia necessaria tra le persone, va applicata anche ai luoghi del sapere stessi, alle nostre università. Solo entrando in un’ottica di collaborazione, di miglioramento collettivo, solo lavorando affinché l’intero sistema sia
virtuoso, potremo dare all’Italia e al mondo intero la spinta per progredire in una direzione di sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Pensiamo al bene di tutti e faremo anche il nostro.

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