Opinioni | Quotidiano |

Un chicco di riso ci insegna la strada

Di Citizen Writers Domenica 13 Luglio 2014 alle 23:15 | 0 commenti

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Riceviamo da Roberto Ciambetti, Assessore Regione Veneto, e pubblichiamo - “Nel Veneto dove sono nato, la natura è specialmente dolce; eppure so che molto, e proprio quello che ci sembra più naturale, è invece artificiale, fatto dall’uomo, sostituendolo alle antiche paludi ed ai torrenti senza freno. Nessuno pensa più che sono opere nostre quei canali che scorrono nelle campagne riflettendo con naturalezza gli alberi, i prati e il cielo…” così scriveva Guido Piovene e quella riflessione torna alla mente ora, quando  la filiera del riso veneto padano viene messa a repentaglio dal riso low cost.

Basso prezzo, bassa qualità, ma il consumatore più che alla salute e al gusto guarda al portafoglio.

Dobbiamo invertire questa tendenza e difendere il nostro prodotto: un chicco di riso è un piccolo scrigno di storia e non solo.   

La coltivazione del riso era stata avviata nella pianura padana nell’ultimo quarto del quattrocento tra Veneto e Lombardia. Fino ad allora il riso era considerato una spezia esotica, ora usato come medicinale, ora come costoso  ingrediente per dolci, come apprendiamo dal trecentesco “Libro dei conti della spesa” dei duchi di Savoia.

L’introduzione della coltura del riso in Veneto fu una conseguenza di una svolta epocale  segnata da una risistemazione del territorio,  con rogge e canalizzazioni,  bonifiche del territorio riconquistato da una nuova classe dirigente di alta cultura e formazione che seppe investire nell’agricoltura conciliando economia con l’arte. La bonifica del territorio fu la premessa di una nuova economia e fu così che la villa palladiana, il motore della nuova azienda agricola,  divenne sintesi straordinaria di una società capace di unire l’utile al dilettevole, l’ozio al negozio, sotto l’insegna del bello, dell’armonico:   dietro la generazione dei Palladio, dei Tiziano, Tintoretto, del Veronese, c’era una classe dirigente straordinaria, una nuova impresa, una economia d’avanguardia capace di imporsi e se le nuove rotte oceaniche emarginavano il Mediterraneo,  Venezia e il veneto seppero investire nella ricerca e nell’innovazione.

La strada cinquecentesca ritorna oggi di attualità estrema: più cultura, più valore aggiunto, più qualità nella nostra produzione per radicarci in quelle nicchie di mercato che non accettano una produzione di massa scadente: ciò vale per il riso, per i vini ma anche per il manifatturiero,  la sartoria di qualità, i gioielli, la nuova tecnologia di frontiera.

Difendere il riso veneto significa riflettere sulla nostra  storia, sul nostro paesaggio, la nostra arte e le nostre tradizioni: prendere lezione dal passato per proiettarci verso il futuro.  Difendere il riso veneto  non significa invocare un anacronistico neoprotezionsmo, bensì invitare il cittadino e il consumatore a riflettere attorno al valore aggiunto che si cela nella qualità del nostro prodotto: qualità che, per il nostro Vialone Nano di Grumolo o Isola della Scala si svela nelle caratteristiche organolettiche e tenuta nella cottura, ma anche nel suo essere narratore della storia e del territorio. Tutte cose che i risi orientali low cost non hanno:  coltivati a furia di dumping ambientale  e sociale, tra pesticidi aggressivi e condizioni di lavoro ancora e ben più dure di quelle sofferte dalle nostre mondine, i risi orientali sono un paradigma del mercato globale odierno.  Da una parte produzione di massa scadente, grossolana, mediocre ma a basso prezzo; dall’altra produzioni di nicchia, la qualità che nasce da una cultura imprenditoriale, da una storia, dall’arte. Noi non possiamo vincere la guerra dei grandi numeri, ma abbiamo le carte in regola per affermarci nella qualità: un chicco di riso ci insegna la strada.

Leggi tutti gli articoli su: Roberto Ciambetti, Riso, Guido Piovene

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