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PFAS, salta il tappo: è allarme tumori

Di Francesco Battaglia Venerdi 22 Aprile 2016 alle 10:58 | 0 commenti

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Altro che allarmismo ingiustificato! Solitamente in Italia, e Vicenza non è da meno, quando si inizia a parlare di questo piuttosto che di quell'altro scandalo o emergenza che sia, i primi comunicati ufficiali sono talvolta diffusi più che per rispondere sulla realtà dei fatti o della pericolosità dell'accaduto, per "raffreddare" la situazione, spesso accusando peraltro di faziosità chi ha fatto saltare il tappo. Nel caso delle PFAS vicentine, ossia le sostanze perfluoroalchiliche, il cosiddetto tappo iniziò a saltar fuori nel 2013, quando CNR e IRSA ne evidenziarono la presenza nelle acque potabili di alcuni comuni del vicentino, tanto che la regione Veneto dovette chiedere al Ministero della Salute e all'Istituto Superiore di Sanità informazioni su eventuali rischi per la popolazione.

Nel luglio dello stesso anno, nel rispondere alla regione, l'Istituto Superiore della Sanità comunicava che, anche se non c'era un rischio imminente per la popolazione, sarebbe stato necessario attuare misure precauzionali e di controllo al fine di ridurre eventuali fattori di rischio.
In seguito, ponendo rimedio, peraltro, alla mancanza di una normativa nazionale di riferimento, furono stabiliti i valori ammissibili, entro i quali dovevano essere contenute le percentuali delle sostanze in questione, al fine di non arrecare danni per l'uomo, che il Ministero nel gennaio 2014 inviava alla regione Veneto per gli adempimenti necessari, imponendone a sua volta il controllo e il rispetto da parte dei gestori del servizio idrico.
Nel corso del 2014 la regione Veneto, dando seguito agli input ricevuti dal ministero, approvava le procedure regionali d'indirizzo ed il piano di monitoraggio regionale, deliberando gli indirizzi per l'utilizzo dei pozzi privati in cui venivano fissati i valori limiti tollerabili per l'approvvigionamento d'acqua potabile ad uso privato.
Non più tardi di lunedì scorso Achille Variati, sindaco del comune di Vicenza, nel recepire un'ulteriore delibera regionale e lamentandosi della mancanza di coralità nell'intervento, emetteva un'ordinanza al fine di censire e analizzare l'acqua dei pozzi non solo ad uso potabile, ma utilizzata anche per l'abbeveramento di animali e produzione di prodotti alimentari, il tutto al fine di un maggiore e migliore monitoraggio delle PFAS.
Sino a qui, se non per il fatto che quelle sostanze non avrebbero dovuto neanche esserci nel sottosuolo e quindi nelle falde, non ci sarebbe nulla di allarmante. Infatti, di fronte alla poca presenza delle PFAS rinvenute nel 2013 e all'attivazione delle misure di precauzione e controllo, il tutto rientrerebbe nella normale attività di verifica e monitoraggio di sostanze inquinanti, se non fosse per il fatto che nella conferenza di mercoledì mattina tenutasi in regione il tappo è venuto fuori tutto d'un colpo.
E se il botto è stato talmente forte da far balzare dalla sedia un bel numero di addetti ai lavori, l'eco dello stesso non svanirà in un battito di ciglia, poiché sicuramente i postumi della vicenda appena iniziata saranno lunghi e molteplici da raccontare.
La comunicazione resa dall'assessore regionale alla sanità, Luca Coletto, non è certo una passeggiata a piedi nel parco con il potenziale imprevisto di trovare un ostacolo e passarci sopra tranquillamente. L'aver trovato tracce di sostanze cancerogene di tipo 2 B nel sangue di 507 cittadini, tenuti sotto controllo nell'ambito dell'azione di monitoraggio avviata ad ottobre del 2015, non è una una cosa da nulla, poiché dietro a quel numero ci sono 507 uomini e donne che non si possono paragonare a dei semplici dati di laboratorio. La vita dei cittadini non può essere un numero d'indagine per successivi dati scientifici quali postumi d'interventi scellerati o di mancati adempimenti del passato!
Le sostanze rinvenute, le cosiddette PFOA e PFOS appartenenti alla famiglia delle PFAS, come affermato da Marco Martuzzi, epidemiologo del Centro ambiente e salute dell'Oms a Bonn e presente alla conferenza in regione, sono sostanzialmente cancerogene, quindi potrebbero essere causa d'insorgenza di tumori, che non sono certo un raffreddore da curare con il più semplice vaccino di stagione.
Vi è poi da aggiungere che ai risultati appena pubblicati andranno ad aggiungersi quelli dei 120 operai di varie aziende zootecniche, inseriti nell'indagine, il cui esame è ancora in corso e che si spera diano esiti migliori dei primi.
Nel corso della conferenza, a cui era presente anche Loredana Musmeci, direttore del Dipartimento ambiente, l'Istituto Superiore della Sanità, ha precisato che di fronte all'indagine la soglia di 0,03-0,05 microgrammi per litro è il minimo per garantire la potabilità dell'acqua, ma non per quelle di scarico, auspicando l'intervento del ministero dell'ambiente, poiché l'emergenza che potrebbe scaturire è tale da non poter lasciare sola la regione Veneto.
Forte il dissenso e lo sdegno emerso da parte di tutte le forze politiche, che porta però a più interrogativi. Chi ha permesso tutto questo? Ci sarà qualcuno che ha sbagliato? Quali rimedi verranno presi per fronteggiare l'emergenza che va delineandosi?
Nei prossimi giorni andremo ad ascoltare la voce dei diretti interessati, non è più possibile assistere a continui scenari in cui a pagarne sono i sempre i cittadini.


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