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L’Archivio M. Rumor deve rimanere a Vicenza

Di Italo Francesco Baldo Sabato 27 Giugno 2015 alle 15:11 | 0 commenti

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Dei 24 Presidenti del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, nata il 2 giugno 1946, di origine veneta figura solo l’on. Mariano Rumor, nato a Vicenza. Del Regno d’Italia nato il 17 marzo 1861 si annovera come Primo Ministro, originario del Veneto, solo Luigi Luzzati, nato a Venezia e alla cui formazione contribuì il vicentino Giacomo Zanella, prima come docente e poi come amico e corrispondente. Due, uno per ogni forma dello Stato Italiano in 154 anni della sua esistenza.

Vicenza ha l’onore di aver avuto un politico di fama e di grande importanza che ha governato in tempi difficilissimi: gli anni di piombo, dove formazioni  ispirate dal comunismo (Lotta Continua, Potere Operaio, Brigate Rosse, Proletari in divisa, ecc.) e da nostalgici del fascismo minavano la democrazia della Repubblica Italiana e trovavano connivenze e appoggi  in partiti e addirittura in organi dello Stato. Mariano Rumor, condusse lo Stato e a fatica, ma salvaguardò la democrazia nella quale credeva fin da giovane. Al termine della sua vita M. Rumor  pensò che il suo Archivio dovesse rimanere nella città natale. Nacque una Fondazione, sede in Contrà Pusterla, 12 Vicenza, presso la casa natale, nata sull’indicazione dello stesso politico: “Spero di non eccedere in un troppo alto concetto dell’opera mia se ritengo di aver lasciato una qualche traccia nella storia politica e sociale del mio Paese e nelle relazioni di esso con altri Paesi, nei numerosi incarichi da me ricoperti.”

Un patrimonio storico che, ben ordinato dalle cure dell’ avv. Lorenzo Pellizzari,  serve e deve poter servire in futuro alle indagini storiche. Un lascito importante, che qualifica la città di Vicenza, insieme a tante altri suoi tesori. Non può essere, né deve essere che l’Archivio Rumor abbia altra sede. Questo per rispettare la volontà testamentaria di Rumor e per salvaguardare un bene storico, patrimonio dei vicentini.  Solo l’insipienza di chi non  ha vera formazione storica  può esercitare i neuroni per pensare di  spostarlo in altra sede. Stupisce poi che colui che si dice l’erede in sede locale, ma si coltivano troppi dubbi, di Rumor non muova un dito, per favore però non muova quello medio, per provvedere a che il lascito rimanga in Vicenza e  sia valorizzato.

Non si tratta di dare un giudizio sullo statista Rumor, ma di comprenderne l’importanza storica, in definitiva di amare il proprio passato.

Una lettera  del 14 agosto 1943 di Rumor ben ci aiuta a comprendere questo politico.

“Caro Ivo

Te Deum laudamus e basta! La foga della letizia che inonda l’anima mia nella gioia della riconquistata libertà di pensieri, delle parole, delle azioni, ora spontaneamente incanalate in una disciplina di convinzione e non di costrizione, è inesprimibile. È t’assicuro che in quella notte del 25 luglio in cui seppi della grande notizia, piansi di consolazione. Era il sogno di tanti anni, nutrito in fedeltà di convinzioni interiori, di tradizioni famigliari, di soprusi visti consumare suoi miei cari, che si realizzava finalmente in una certezza di libertà.

Ringraziamo Iddio e preghiamolo che ci conceda di essere degni della missione che i tempi nuovi ci impongono. Perché, caro Ivo, se c’è una cosa che nella letizia mi fa remare è appunto il timore delle responsabilità che incombono oggi a noi cattolici. È inutile nascondercele: a noi spetta cristianizzare la vita sociale, o noi abbiamo tradita la nostra missione. A che ci saremmo preparati in vent’anni di catacombe se non a questa suprema missione di apostolato! E d’altronde siamo noi maturi per affrontare tale responsabilità? Perché le esigenze dell’apostolato non sono soltanto di buona volontà ma altresì di cultura e di coscienza.

Ora, caro Ivo, non per me che sono l’ultima ruota del carro, ma per tutti noi io mi domando se siamo all’altezza della missione che ci incombe. E vorrei avere una voce immensa come il vento per rombare all’orecchio e all’anima di ognuno di noi e dire a ciascuno che non rinnovi per se stesso il gesto ignavo di chi fece il gran rifiuto, che il tempo del comodo raccoglimento formativo è finito, che bisogna che ognuno di noi con la sua poca suppellettile interiore, con le sue piccole porzioni di anima cristiana scenda fra gli uomini, senza ambizioni e senza pretese ma con gonfio cuore di apostolo a dire alta la sua convinzione, a farla nutrimento gradito o sgradito, non importa, perché nutrimento dei singoli e della collettività.

Forse esagero, forse sono retorico e tu mi perdonerai. Ma credi che se retorica è, è retorica dell’anima.

Ora dimmi di te. Io di me non ho molto da dirti, se non che qui si vive sempre sull’allarme. Pur nelle contingenze attuali sto bene: anche se dimagro a vista d’occhio, un po’ per il gran caldo, un po’ per l’insonnia coatta.”

Da Aquila nessuna nuova, se non una scialba lettera di Trecco. A Santi (Fedele Santi) e Selli (Angelo Selli) ho scritto ma non ne ho ricevuto risposta alcuna. Strano, ma mi fanno fare delle considerazioni non ottimistiche sull’amicizia.

Anche tu non essere avaro di notizie. Sii generoso e teniamoci uniti nello spirito. Non è certo lontano il giorno in cui potremo rivederci, e l'incontro nella vita sarà certo una delle cose più care della nostra amicizia, che m’accorgo – guarda, se non è strano questo mio interno – essere viva ed intensa proprio ora che siamo così lontani.

Ti stringo con amicizia la mano e credimi tuo        

Mariano


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