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La Voce del Sileno, Elsa Dezuanni, l'impressionismo dal Plein Air alle avanguardie del '900

Di Italo Francesco Baldo Venerdi 13 Gennaio 2017 alle 17:33 | 0 commenti

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Ospitiamo l'ottavo articolo de La Voce del Sileno, rivista on line che "intende coinvolgere tutti coloro che hanno a cuore la ricerca filosofica, culturale e in modo indipendente la propongono per un aperto e sereno confronto".
L'impressionismo dal Plein Air alle avanguardie del '900 di Elsa Dezuanni
La mostra Storie dell'impressionismo, allestita negli spazi del complesso museale di Santa Caterina a Treviso, non è una ormai inflazionata panoramica della pittura en plein air, bensì una rassegna dal taglio didattico che analizza con metodo gli antecedenti, il compiersi e l'eredità di un fenomeno artistico della seconda metà dell'Ottocento, cresciuto senza alcuna formulazione teorica ma solo attraverso la pratica pittorica, dal quale sono germinate idee per le avanguardie del primo Novecento. Ideata e curata da Marco Goldin - tornato nella città natia con un ventaglio di proposte - presenta centoquaranta opere, in prestito da musei europei e americani, suddivise in sei sezioni.

Il percorso inizia da Lo sguardo e il silenzio sul tema del ritratto, con la presenza di tendenze stilistiche anche opposte: da J.A. Dominique Ingres che, passati i sessant'anni, mantiene ancora l'equilibrio compositivo derivatogli dallo studio di Raffaello, al più giovane Eugène Delacroix, caposcuola del romanticismo, che nel ritratto di George Sand (1838) riversa intensità emotiva, cui concorre un'inedita sensibilità coloristica, che sarà studiata dai nuovi moderni: da Paul Cézanne a Vincent Van Gogh. Pittori rifiutati dalla giuria dei Salon parigini, che continuava a gradire le poetiche del classicismo, ma accettava tuttavia l'irregolare Pierre-Auguste Renoir, poiché per eleganza e piacevolezza era apprezzato da ricchi committenti, anche quando la sua pennellata divenne vibratile, protesa a una dissoluzione delle forme, come nel ritratto di Mademoiselle Irène Cohen d'Anvers (1880, logo della mostra). Intanto, un antiaccademico di fama, qual era Gustave Courbet, dipingeva scene di vita popolare e ritratti d'intimità domestica, cui fecero riferimento sia Edouard Manet sia Edgar Degas: di quest'ultimo è esposto quello che, con notevole spessore psicologico, ritrae il critico d'arte Diego Martelli (1879) seduto e pensoso con le braccia conserte, accanto a un tavolo su cui regna un eloquente disordine. In questa sala lo scossone di rinnovamento lo danno Van Gogh, con la pre-espressionistica materna figura della popolana Augustine Roulin, la Berceuse (1889), e Paul Gauguin, con le suggestioni simboliste della giovane Vaïte (Jeanne) Goupil (1896): entrambe le figure, stagliate sullo sfondo di un'insolita decorazione floreale, vanno oltre l'interpretazione naturalistica, verso una rinnovata modernità. Qui, e in tutte le sezioni, quale riferimento all'interesse nutrito dagli impressionisti per l'arte estremo-orientale, sono esposte xilografie giapponesi; Claude Monet e Van Gogh, in particolare, le collezionarono apprezzandone la finezza grafica, il decentramento spaziale del soggetto principale e l'audacia formale. Si prosegue con Figure sotto il cielo, che nell'accostamento tra dipinti coevi ribadisce la convivenza di linguaggi diversi nella seconda metà dell'Ottocento. Gli impressionisti volevano rappresentare la vita reale: e mentre Jean François Millet, libero da schemi compositivi preesistenti, raffigurava per primo il duro lavoro nei campi, portando i contadini in primo piano, con un intento sociale di verità, Camille Corot e Constant Troyon i brani di vita agreste li ambientavano in seducenti scenari paesaggistici. Se, di fatto, gli impressionisti tutti hanno cercato di tracciare anche una visione morale della loro epoca, il vero spirito di quella loro pittura en plein air, che coglie luminosità fuggenti, in queste sale lo si ritrova nelle pennellate corsive di Manet e Berthe Morisot, che fissano sulla tela ameni brani con figure femminili sedute sui prati, e di Eugène Boudin, quasi pittore-cronista, che illustra la vita animata da signore borghesi sulla spiaggia di Trouville. A confronto di tanta fresca immediatezza appaiono anacronistiche le idilliache scene di rimando mitologico, come la Famiglia dell'antichità (1860) di W.A. Bouguereau, pur ancora tanto celebrato ai Salon. Un nuovo orientamento arriverà con Monet, annunciato già nella Casa dell'artista ad Argenteuil (1873), in cui il dato naturalistico tende a venir meno in favore di un soffuso sentimento. Pur se le nature morte non sono ricorrenti negli impressionisti - a parte Cézanne che con esse si esercitava nella geometrizzazione formale - la rassegna ne propone otto. Interessante nel confronto trovare anche Henri Fantin-Latour con Primule, pere e melograno (1866), il cui realismo lirico non ha nulla a che vedere con gli impressionisti, che egli apprezzava, ma lo accumuna loro l'aver liberato la natura morta sia da una bassa considerazione, sia da pretesti letterari, rendendola visivamente piacevole e perseguendo quindi una moderna finalità dell'arte. Segue Un nuovo desiderio di natura, dove lo svolgimento di uno stesso tema è ripetutamente messo a confronto con l'arte giapponese. L'onda di Courbet del 1869 si apparenta all'impeto della Grande onda di Hokusai del 1831, e si confronta pure con le onde del Mediterraneo nelle fotografie di Gustave Le Gray, scattate nel 1857, che testimoniano come la fotografia stesse sottraendo al realismo la ragione d'essere in pittura. L'acqua - mare, laghi e fiumi (la Senna) - boschi, frutteti, foreste (quella di Fontainebleau), la collina di Montmartre e le vedute della Provenza, accanto alle stampe di Hiroshige con soggetti analoghi, mostrano le differenti declinazioni del plein air. Dell'oltre cinquantina di opere in questo capitolo, a lasciare il segno è di nuovo Van Gogh, che sconvolge con il suo lessico pittorico; tra le tele esposte Paesaggio con covoni e luna nascente del 1889 pare riflettere il turbinio del vivere dell'artista: ritorna la linea breve, adesso sinuosa e più che mai di grande vigore cromatico, creando un movimento di lievitazione dei covoni e di rotazione del cielo. L'addio all'impressionismo l'aveva dato anche Monet, il più radicale sostenitore del principio del plein air, poiché aveva maturato nuovi criteri sulle sedute all'aria aperta, considerando quanto variava la luce nel tempo necessario per completare un suo quadro. Iniziò allora a lavorare sullo stesso soggetto (i covoni, i pioppi, la cattedrale di Rouen, le ninfee) ripetendolo e perfezionandolo in diverse condizioni atmosferiche e di luce: dall'istantaneità della visione (ormai prerogativa della fotografia) passava quindi alla trasfigurazione della visione secondo le ore del giorno o la stagione. Il tema era diventato solo un'opportunità per indagare la luce, per fare del colore la struttura stessa del dipinto, intraprendendo una strada che, lungi dall'impressione, si addentrerà sempre più nella suggestione dell'immagine. Nel 1883 si era stabilito a Giverny, in una casa con giardino paradisiaco, lo stagno delle ninfee e un corso d'acqua attraversato da un ponte in stile giapponese, da lui fatto costruire. Qui, dove morirà nel 1926, ci porta l'ultima tappa, sotto il titolo Come cambia un mondo. Due i quadri con le Ninfee (1906 e 1908), quelle che fino alla fine dipingerà su tele sempre grandi, dove le evanescenti luminosità degli alberi e gli arbusti riflessi sulla superfice dell'acqua e l'affiorare degli isolotti di ninfee diventano un'impalpabile lirica apparizione. Il colore predomina sul soggetto, che diventa quasi illeggibile, in nome di una pittura pura che sarà esempio vincolante per gli sviluppi astrattisti e informali del XX secolo. Accanto a lui Cézanne, anch'egli volto a un progressivo ribaltamento dell'invenzione figurativa, che trasforma in un rapporto colore-forma determinato da una logica interna al quadro stesso. Nella Natura morta con teiera (1906) la forza compositiva sta nei contrasti cromatici, nella ricerca geometrica delle forme e nello sbilanciamento prospettico dell'insieme. Un'astrazione del dato naturale - annunciata nelle varie versioni delle Bagnanti (qui una del 1985) e della Montagna Sainte-Victoire - che avrebbe aperto la strada al cubismo e fatto di lui, ancora in vita (muore nel 1906), un mito per le avanguardie del Novecento. Andando contro ogni accademismo per rappresentare la quotidianità nella sua pulsione vera, facendo del dipinto uno strumento di comunicazione, gli impressionisti hanno avviato nuove sintassi del dipingere. Visitabile fino al 17 aprile prossimo questa mostra, da non perdere.

Coordinatore de "La voce del Sileno" Italo Francesco Baldo
Si chiede a tutti coloro che ricevono questo articolo di trasmetterlo ad amici e conoscenti.
I contributi vanno inviati al coordinatore all'indirizzo di posta elettronica: [email protected]
Il busto de Il Sileno è presente nei Musei Civici di Padova


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