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La Voce del Sileno: è un idiota... magari è meglio!

Di Italo Francesco Baldo Domenica 19 Febbraio 2017 alle 16:08 | 0 commenti

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Ospitiamo il dodicesimo articolo de La Voce del Sileno, rivista on line che "intende coinvolgere tutti coloro che hanno a cuore la ricerca filosofica, culturale e in modo indipendente la propongono per un aperto e sereno confronto".

Nel linguaggio comune il termine "idiota" non ha un significato positivo, e indica o meglio vuole designare una persona di scarsa intelligenza, stupido deficiente. Nel linguaggio politico (Lenin) e giornalistico è stata usata talvolta la locuzione di "utile idiota" per indicare chi assume posizioni che fanno, anche indirettamente, il gioco degli avversarî (di partito o d'ideologia) favorendone le manovre. Nell'ambito medico "l'idiozia "è intesa come un'insufficienza mentale molto grave. Nell'idiozia si osservano molto spesso gravi deficit neurologici, come conseguenza di danni più o meno estesi del sistema nervoso e talora manca anche l'utilizzo proprio del linguaggio. (Fonte. Vocabolario Treccani)

Ma...

Chi abbia qualche buona nozione di filosofia sa bene che il grande filosofo umanista Niccolò Cusano, Principe - Vescovo di Bressanone, autore di Docta ignorantia, indica come nella conoscenza si debba essere umili. Cosa del resto già insegnata da Socrate nell'antichità, il quale, anche nel momento più difficile della sua vita, mostrò, come attesta Platone, il suo rispetto verso tutti e anche verso chi lo accusava ingiustamente

Il filosofo umanista tra le sue opere ne ha una molto interessante, I dialoghi dell'idiota. Cusano usa il termine idiota, come uomo incolto, rozzo, senza conoscenza. Non si tratta però di semplice ignoranza, ma della più alta sapienza dell'uomo, che riconoscendo la sua totale insipienza può trasformarla in "dotta ignoranza". Infatti, solo colui che sa di non sapere può essere in grado di porsi nella conoscenza. Invece colui che si crede "superiore", capace di" ecc. e magari occupa una posizione di rilievo quasi sempre, affetto da cecità, manovra il suo dire con presunzione e quindi non comprende. Infatti la presunzione non dà luogo a sapienza. Questa, dice il Cusano per bocca dell'Idiota, "ha sapore; e niente è più dolce di essa all'intelletto. Né sono da stimare sapienti coloro che parlano soltanto con la parola e non con il gusto. Parlano con gusto della sapienza coloro che per essa sanno tutto in modo da non sapere niente di tutto. Ogni assaporamento interiore è grazie a essa, da essa e in essa." Colui che dialoga con l'idiota è l'oratore (un po' l'uomo politico dell'antica Roma) che deve essere, come indicava Cicerone: vir bonus dicendi peritus (L'uomo buono esperto nel parlare). Costui deve rilevare che proprio l'idiota, che tanto studia e riflette con umiltà, dice cose belle e inconsuete e vorrebbe elevarsi proprio al suo livello e mirare alle conoscenze più alte, quelle divine e morali.

E chiude l'idiota avvertendo proprio il politico, l'oratore: "Data la brevità di tempo, ti basti quanto abbiamo già detto, per sapere che la sapienza non sta nell'arte oratoria, né nei grandi volumi, bensì nel separarsi da queste cose sensibili, nel rivolgersi alla forma semplicissima e infinita, nel riceverla nel tempio puro da ogni vizio, nell'aderire a essa con amore ardente, al punto di poterla gustare e vedere quanto soave sia, essa che è ogni soavità. Quando l'avrai gustata, disprezzerai tutto quello che ora ti sembra grande e diventerai umile, in modo che nessuna traccia di superbia rimanga in te, né nessun altro vizio, perché con cuore ca­stissimo e purissimo aderirai in modo indissolubile alla sapienza una volta che l'avrai gustata, preferendo abbandonare questo mondo e tutte le cose che non sono la sapienza, piuttosto che la sapienza stessa. Con indicibile letizia vivrai, morirai e riposerai in eterno, oltre alla morte, in essa, in un amorosissimo abbraccio; il che conceda a te e a me la sapienza sempre benedetta di Dio, Così sia."

Un altro idiota famoso è quello del romanzo di F. Dostoevskij (1821-1880) L'Idiota, che racconta le vicende esistenziali di un uomo completamente buono, il principe Myškin ammalato, che si trova coinvolto nelle torbide vicende di un gruppo di personaggi tra Mosca e San Pietroburgo. Nell'epilogo del romanzo uno dei protagonisti Rogožin viene condannato ai lavori forzati in Siberia mentre Myškin, riprecipitato senza possibilità di guarigione nella sua malattia mentale, viene ricondotto nella clinica svizzera. La figura del principe è ispirata a quella di Gesù Cristo e in particolare al quadro del pittore Hans Holbein il Giovane (1497/1498-1543) Corpo di Cristo morto nella tomba, che viene citato esplicitamente nel romanzo. Dell'opera dello scrittore russo celebre è la troppo abusata espressione: "È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" E' vero il mondo ha bisogno di bellezza e qui ci soccorre nuovamente Niccolò Cusano con il suo testo De pulchritudine. Ieri come oggi c'è bisogno di bellezza: troppo a lungo l'abbiamo trascurata, riducendola solo ad un fatto esteriore, a qualcosa che riguarda il piacere sensibile e basta, quando va bene, negando che essa investa tutto l'uomo, tutto ciò che riguarda l'uomo dal modo di pensare all'oggetto del pensare, dal bene, alla giustizia, all'utile.

C'è bisogno di bellezza nelle parole: troppo le usiamo senza vera comprensione del loro significato, le addomestichiamo a nostro uso e consumo, le interpretiamo senza dare loro nessuna vera ragione. Le parole sono pittura delle idee, esse danno agli uomini la meravigliosa possibilità di comunicare, tanto che non possiamo immaginare un mondo senza parole. Di belle parole sia il discorso e non di quelle triviali che, pur esistenti, sono state sdoganate per illusione di liberazione.

C'è bisogno di bellezza quando riflettiamo su ciò che è e ciò che entra in relazione con noi, sia esso l'Essere che solo l'uomo sa pensare, oppure gli esseri particolari, quelli che sono oggetto delle scienze. Le nostre parole, i nostri pensieri non possono essere casuali o frutto dell'occasione, dell'opportunità o essere semplicemente "al servizio". Non si può pensare una scienza ad arbitrio e ad uso del singolo. Così facendo è il singolo che si lascia trascinare dalla propria corrente nella quale non riesce mai a bagnarsi che una volta e sempre in modo impreciso.
C'è bisogno di bellezza quando interroghiamo noi stessi, e nella profondità del nostro essere, che chiamiamo anima, possiamo trovare il nostro autentico significato.
C'è bisogno di bellezza quando interroghiamo l'universo, questo cosmo nel quale viviamo e senza il quale noi stessi nulla saremmo.
C'è bisogno di bellezza quando indaghiamo se il fondamento del nostro stesso esistere sia Dio, l'essere fondamento di tutto: Colui che è, e senza di Esso altro non saremmo che esseri vaganti senza significato.
C'è bisogno di bellezza nella riflessione morale: essa non è dettata dall'urgenza, dalle situazioni, ma con pacatezza deve cercare di riflettere su quale, tra le possibili azioni, possa portare al bene che si coniuga con la bellezza dell'atto da compiersi e lo considera, quando esso è compiuto, buono oltre che bello. Nelle possibili azioni dell'uomo anche quelle che riguardano tutti gli uomini che vivono insieme vi è necessità di bellezza. Superando l'interesse individuale ci si apre alla prospettiva di un'armonia tra le persone per ciò che può diventare bene civile, mediante leggi che sono giuste perché hanno insito in loro la prospettiva del bene. Lo stesso bene che guida anche le azioni volte alla ricerca del benessere dei nostri giorni, che è necessario, ma non è mai il fondamento, se non per coloro che solo in basso sanno guardare o razzolare.
C'è bisogno di bellezza anche nell'estetica, ridotta sempre più a considerazione intellettualistica, dove nemmeno i sensi hanno più parte, quando semplicemente "vedono" quello che è definito dalla critica come "arte", spesso, non si sa bene, con pensiero forzato. La critica sassifica, diceva il poeta Giacomo Zanella, fin da giovani, e fa perdere l'autentica relazione estetica, quella che si fa tale nell'incontro diretto con le opere, le quali vivono in noi e suscitano il desiderio di rincontrarle, di rileggerle.
C'è bisogno di bellezza in questo nostro mondo, in questi nostri attimi solcati di vita, dove abbiamo bisogno certo della natura, ma anche di ritenerci al di là di questa. E' il nostro essere terreno stesso che apre alla dimensione metafisica, a quel tentativo di coniugare il vero, il bene con la bellezza.(Nota: Ben appropriata l'affermazione di San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, q. 5 a. 4: "Il bello e il bene si identificano nel soggetto, perché si fondano sulla medesima realtà, cioè sulla forma, e per questo ciò che è buono è lodato come bello") Infatti, è, alla fine, la bellezza che apre all'ultima visione possibile per l'uomo, quella dove cessa ogni possa, e richiede nella contemplazione, fede, alla quale con timore, ma senza paura possiamo abbandonarci, per sperare almeno in una gloria di luce eterna.
Ma ne saremo capaci, o ci abbandoneremo all'ignoranza presuntuosa e invece di essere idioti e desiderosi di sapienza, parliamo tanto per parlare e disprezziamo senza conoscere. Forse chi non ha il sapore delle parole, spesso le usa come gli antichi sofisti: io sono la misura di tutto quello che è e non è. Ma di costoro non abbiamo bisogno!

 

 

Coordinatore de "La voce del Sileno" Italo Francesco Baldo
Si chiede a tutti coloro che leggono questo articolo di trasmetterlo ad amici e conoscenti.
I contributi vanno inviati al coordinatore all'indirizzo di posta elettronica: [email protected]


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