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La questione ebraico-palestinese: qualche cenno storico culturale e la visione di pace

Di Italo Francesco Baldo Martedi 5 Agosto 2014 alle 11:05 | 0 commenti

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Ritorna ogni qualvolta nella regione geografica della Palestina accade lo scontro tra lo Stato d’Israele e gli abitanti dei territori palestinesi non ancora eretti a “Stato”, la questione del popolo ebraico, che da quelle terre fu estromesso, la diaspora, a forza dagli imperatori romani Tito Flavio Vespasiano e soprattutto Adriano che cambiò anche il nome della città di Gerusalemme.

Per secoli lo stesso nome di ”ebreo” era riguardato negativamente, considerati “deicidi” dal mondo cristiano, si pregava di venerdì Santo per la loro conversione. Nell’ambito della società gli ebrei non potevano possedere terreni, e si dedicavano al commercio e al prestito di denaro. Quest’ultima pratica, vietata per secoli ai cristiani, ma accettata tra cristiani che prestavano agli ebrei e quali, a loro volta, prestavano ai cristiani, prevedeva il pagamento d’interessi, in altre parole l’usura. Tra persecuzioni varie e cacciate dagli stati, dall’Inghilterra 1290, dalla Normandia 1296, dalla Francia 1306 e 1394, dalla Spagna 1492 e dallo Yemen nel 2008.

Con il tempo dapprima la Repubblica di Venezia e poi quasi tutti gli Stati europei, previdero nelle città zone che dovevano essere abitate solo da Ebrei. La nascita del “ghetto” segnò profondamente il mondo ebraico e ancor oggi evoca una situazione difficile e terribile soprattutto nel secondo conflitto mondiale.

L’antisemitismo ha diverse radici religiose e culturali, tra le più importanti ricordiamo quella di Lutero (a cura di A. Agnoletto, Milano, Terziaria, ma Asefi, 1997), dove il riformatore li accomuna con i sediziosi e ai papisti. Ma il giudizio è pesantissimo: gli ebrei sono velenosi, privi di luce, menzogneri e la loro fede è falsa ed “essi stessi sono in preda di tutti i diavoli”.

Ben noto è il capolavoro teatrale di W. Shakespeare, Il mercante di Venezia che ben evidenzia quello che gli inglesi consideravano la natura dell’ebreo, quella della dedizione assoluta al denaro.

Con simile giudizio nel mondo tedesco era ben difficile che si potesse avere nel corso dei secoli altra immagine, nemmeno il mondo dell’illuminismo ci riuscì, nonostante i tentativi di Moses Mendelsohn (729-1786), che proponeva i matrimoni misti; quelli che poi A.Hiltler cercherà per sterminarne i discendenti. Ma tra tutti i grandi dell’illuminismo che voleva liberare dalle tenebre il mondo, un antiebreo emerge con tutta la virulenza del suo pensiero. Il cosiddetto “padre della tolleranza”, quel Voltaire che sia nel Dizionario filosofico (Ezechiele, Jefte, Giobbe, Giuseppe, Giudea, Mosè, Salomone) sia nello scritto Juifs   e ne Le vieillard du Mont Caucase aux Juifs portugais, Allemands et polonois, ou, Confutazione du livre intitulé "Lettres de quelques Juifs portugais, allemands & polonois", non sostiene certo gli ebrei, ma li condanna e conclude il suo articolo, Giudea, ricordando “Addio, miei cari Ebrei: mi dispiace che terra promessa significhi terra perduta.” Non ci soffermiamo su Juifs dove sono rispese le note accuse e soprattutto “Voi- Ebrei- foste dei mostri di crudeltà e di fanatismo in Palestina” (segue un’autocritica per la mostruosità dei cristiani e non solo in Europa).

Certo ci si dimenticò del testo di Voltaire, che ancor oggi circola quasi semiclandestino (Milano, C. Gallone Ed., 1997) e nel mondo ebraico con Zalkind Hourwitz (1740-1812) che si firmava Juif Polonais, sostenne che “ gli ebrei gli – a Voltaire – perdonano tutto il male che ha fatto per via di tutto il bene che ha causato”. Una posizione che recuperava solo ciò che era conveniente dell’intellettuale francese.

 La rivoluzione del 1789 “liberò” gli ebrei e li rese “cittadini” come tutti gli altri; iniziava quel processo di uscita dalla condizione negativa in cui erano stati relegati, ma non fu subito ben accetto che essi dovessero rinunciare alla loro identità.

Nell’Ottocento continua la valutazione negativa degli ebrei, nonostante che la loro emancipazione fosse sempre più evidente, fu consentito il possesso di terreni e i ghetti non furono più luoghi “chiusi di notte”. L'antiebraismo però continuava e se ne fece protagonista K. Marx, d’origini ebraiche, a quando scrisse La questione ebraica (Roma, Ed. Riuniti, 1969. Uno scritto quasi del tutto ignorato per ovvi motivi ideologici, ma che nelle sue espressioni fu sempre presente nel movimento da lui fondato. Infatti, quando il pensatore di Treviri sostiene che: ” l’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l’emancipazione dell’umanità dal giudaismo” (p.82 e p.88) e questo, altro non è che “il dio denaro” ben indica la sua avversione al mondo ebraico da un lato, ma soprattutto che il giudaismo è l’essenza del capitalismo e quindi combattere contro il capitalismo significa eliminare il giudaismo nel quale “il denaro è il geloso Dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro Dio può esistere. …la cambiale è il Dio reale dell’ebreo” /(p.84).

Con simili presupposti ben ricordiamo come il movimento comunista non sia certo stato favorevole agli ebrei, soprattutto da quando essi rivendicarono, come altri popoli, tra cui gli Italiani, una propria nazione. Colpevoli anch’essi, come Mazzini e Garibaldi, di volere uno stato nazionale e non una prospettiva internazionale. Nella patria del comunismo realizzato, l’URSS, gli ebrei non ebbero vita facile né sotto Stalin né successivamente. Quando chiedevano di andarsene, il famoso diritto naturale di libertà di movimento, furono perseguitati e a fatica si concesso a qualcuno l’emigrazione.

Del nazionalsocialismo e del suo capo e di quanto commise contro gli ebrei, che divennero e sono l’immagine dei crimini contro l’umanità, spero, si sappia molto e soprattutto si abbia il vero senso dell’orrore e del “mai più” così.

La Costituzione dello Stato di Israele, a rimedio dell’Olocausto, sappiamo, pose e pone molte difficoltà, soprattutto nel rapporto con le popolazioni che erano e sono insediate in quei territori. Le guerre numerose che si sono susseguite hanno trovato il mondo diviso in due blocchi, chi appoggi Israele e chi appoggia i Palestinesi. In Italia la divisione, come solito, è diventata ideologica, essere filopalestinesi è di sinistra, ed essere filoisraeliani è di destra. Soprattutto si fa una farisaica distinzione tra antisionismo ed antisemitismo, dove però ci sarebbero anche gli arabi, corretta in antisraeliani. Non occorre citare quanto si scrive a favore dei Palestinesi, e quanto poco a favore degli ebrei quasi quotidianamente per anni bombardati dai razzi di Hamas (Movimento Islamico di Resistenza, ovvero حماس, "entusiasmo, entusiasmo, zelo, spirito combattente").

Ciò che qui preme sottolineare è che poco si stimola alla visione di pace, la pace è considerabile solo da un punto di vista, mentre per chi, come noi Italiani, è al di fuori del conflitto, anche se lo ha subito (attentato di Fiumicino, ad esempio) dovrebbe operare sempre e solo a favore della pace tra tutti senza velature contro l’uno o l’altro dei contendenti.

Purtroppo, lo diceva già il gran fautore della pace, non pacifista, Erasmo da Rotterdam, la pace deve anche essere comperata, ovvero per lei si debbono fare dei sacrifici e per questo ci vuole prima di tutto la disponibilità reciproca, aiutata da tutti anche dagli epigoni di certo pensiero che nel mentre parla di liberazione, magari la nega a qualcuno.

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