Quotidiano | Categorie: Cultura

La cometa Parise a 30 anni dalla morte torna a rischiarare il cielo di Vicenza

Di Piero Casentini Domenica 27 Novembre 2016 alle 21:00 | 0 commenti

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Venerdì 25 novembre, nella sede della Biblioteca Bertoliana di Palazzo Cordellina a Vicenza, si è tenuto il terzo appuntamento della rassegna “Dolci d’autunno le luci”, dedicata alle carte private degli scrittori vicentini. A trent’anni dalla morte prematura di Goffredo Parise, il poeta Paolo Lanaro e il consulente letterario Domenico Scarpa hanno discusso dell’opera e la vita del grande scrittore, vicentino di nascita, ma cosmopolita per curiosità ed inquietudine. Uno degli scrittori più importanti del Novecento italiano, campione di vendite a soli 25 anni, giornalista per il Corriere della Sera, autore di soggetti cinematografici, approdato alla poesia quando la malattia lo stava già consumando.

Uno scrittore creativo, avido di vita e di nuove esperienze, sempre incalzato dal presagio di non avere abbastanza tempo. Cesare Galla, vicepresidente dell’Accademia Olimpica, ha introdotto i due relatori parlando subito, senza ritrosie, del conflittuale rapporto di Parise con Vicenza. “Fernando Bandini” ha detto Galla, “negli ultimi anni della sua vita sosteneva che Parise non avesse rinnegato la sua vicentinità. Secondo Bandini non c’era cesura proprio grazie all’Accademia Olimpica nella quale Parise era entrato nel 1970 e la quale gli ha dedicato, a 20 anni dalla morte, una giornata di studio”. Alla città natale Parise non lesinò “critiche accese, feroci”, come le ha definite Galla. Non è un caso, forse, che ancora oggi la Vicenza istituzionale non abbia intitolato alcunché a Parise. Paolo Lanaro si è collegato a quanto detto da Galla, ricordando che nel volume dedicato dall’Accademia Olimpica a Parise, “Bandini ricordava ancora una volta lo stramaledetto tema della vicentinità. Come si fa con un’amante che non è più quella che era, ma che non si riesce a lasciare, Parise” ha detto Lanaro, “tornava a Vicenza di tanto in tanto”. Lanaro ha menzionato “la creatività sovrabbondante” e l’improvvisa aridità che si alternavano in Parise, chiedendosi quale rapporto esista tra biografia e letteratura. “Vecchio problema”, per addentrarsi nel quale Lanaro si è sorretto ad alcune pagine che Cesare Garboli dedicò a Parise. Secondo Lanaro, comunque, vi sarebbe continuità tra la vita, “disordinata, irregolare, ma coagulata intorno a nodi densi”, e la pagina scritta di Parise, proprio perché capace di “rivelare ciò che alla vita è imposto”. Lo scrittore, “istintivo”, si muoveva sospinto da “moti percettivi, allarmi, segnali”, ha detto Lanaro. La sua scrittura si nutriva di “sollecitazioni che raramente provenivano dalla letteratura, aveva una percezione fisica del mondo. Scrivere come necessità”, ha proseguito Lanaro, che ha voluto ricordare come lo strappo di Parise da Vicenza, che in alcune pagine “appare virata, come nelle vecchie fotografie”, sia inscritto nello strappo più grande che egli diede alla letteratura italiana, avendo fatto a pezzi la “imponente tradizione fogazzariana”. Domenico Scarpa, che recentemente ha curato la riedizione per Adelphi de “Gli americani a Vicenza” e l’anno scorso ha composto sempre per la casa editrice di Roberto Calasso il libro “Se mi vede Cecchi sono fritto” su parte del carteggio tra Parise e Carlo Emilio Gadda, ha detto che Parise “colpisce l’orecchio interno”. Scarpa ha poi letto alcune pagine di Parise, immaginando che le sue inflessioni meridionali potessero rivelare quale fosse il rapporto dell’autore con Vicenza. “Ogni volta che ci tornava” ha detto Scarpa, Parise “aveva una botta di fantasia”. Nonostante la notorietà raggiunta dai “Sillabari”, Parise rimane per molti “un illustre sconosciuto”, ha dichiarato Scarpa, anche se la sua prosa brilla per “la straordinaria efficacia d’immagini”. Aveva “capacità di raziocinio nella follia” ha proseguito il curatore, “un pazzo-a-freddo come lo aveva definito Gadda”. Per Parise, “scrittore rabdomantico”, “il tempo finisce prima del tempo”, ha concluso Scarpa, ma il suo sguardo sul mondo è fermato nelle pagine scritte, in una prosa che non ha padri né patria, e pare sottratta all’invecchiare del tempo, come certe pietre lisce e dure.


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