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8 settembre, chiesa ricorda Natività di Maria a Monte Berico e ovunque: "Tota pulchra es amica mea". La Voce del Sileno, anno 2

Di Italo Francesco Baldo Giovedi 7 Settembre 2017 alle 11:45 | 0 commenti

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Domani 8 settembre la chiesa ricorda la Natività di Maria. Celebrata dalla liturgia, da preghiere, da pellegrinaggi in santuari, come quello di Vicenza - Monte Berico. La festività, un tempo di precetto, diede l'occasione ad importanti pensatori che per esaltare la figura della Madre di Dio e contemporaneamente proporre una riflessione. Importante fu la predica del vescovo di Bressanone, Niccolò Cusano, che è anche uno dei maggiori esponenti dell'Umanesimo, pronunciata nella cattedrale di Bressanone (BZ) l'8 settembre del 1456; fu stesa come era quasi sempre uso in latino, ma, come fu probabile, ad essa assistette anche il popolo, oltre al clero, e perciò fu pronunciata anche in volgare, cioè in tedesco.

L'omelia del vescovo Cusano dedicata alla Madre di Dio è imperniata sull'appellativo che viene ancor oggi dato alla Madonna, ossia: "tota pulchra". Maria invita l'uomo di ogni tempo a riflettere sul grande valore delle bellezza, che si manifesta in ogni realtà dell'uomo sia che egli pensi o agisca. La bellezza è l'armonia e lo splendore che ogni realtà porta in sé perché creatura. Riflettere sulla bellezza è andare verso la bellezza stessa, coniugando ciò che è vero, buono e giusto anche nella vita operosa, nella liturgia e soprattutto nella preghiera, quel servizio divino interiore senza il quale non vi è il primo grande "rito", ossia l'accettazione di Dio e la sua Incarnazione in Gesù Cristo, Salvatore.
Proponiamo l'Introduzione che è stata fatta per la prima traduzione in italiano a cura di Maria Luisa Gambato (Vicenza, Editrice Veneta, 2012 della predica di N. Cusano, come tributo a Colei che assiste e prega per lui.

 

Introduzione

"Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto bella."
( Genesi, I, 31)

1. Il bisogno di bellezza

C'è bisogno di bellezza nei nostri giorni: troppo a lungo l'abbiamo trascurata, riducendola solo ad un fatto esteriore, a qualcosa che riguarda il piacere sensibile e basta, quando va bene, negando che essa investa tutto l'uomo, tutto ciò che riguarda l'uomo dal modo di pensare all'oggetto del pensare, dal bene, alla giustizia, all'utile. L'abbiamo negata anche là dove essa aveva un posto illustre, là dove essa era il punto di riferimento principale, tanto che si poteva chiamare "arte" solo ciò che era "arte bella". Abbiamo chiamato "arte" qualsiasi cosa che si dicesse "arte", cosicché questa altro non diventa che l'espressione di un singolo pensiero che sostiene che è arte quello che io chiamo arte, riducendo ancor più la definizione che Dino Formaggio diede nel 1973: "L'arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte".[1]
C'è bisogno di bellezza nelle parole: troppo le usiamo senza vera comprensione del loro significato, le addomestichiamo a nostro uso e consumo, le interpretiamo senza dare loro nessuna vera ragione. Le parole sono pittura delle idee, esse danno agli uomini la meravigliosa possibilità di comunicare, tanto che non possiamo immaginare un mondo senza parole. Di belle parole sia il discorso e non di quelle triviali che, pur esistenti, sono state sdoganate per illusione di liberazione. Si crede che con ciò sia possibile un'emancipazione, un affrancamento; si sostiene: nessuno mi può censurare, qualsiasi linguaggio io usi. Io, infatti, mi esprimo con le parole che "voglio" con un arbitrio assoluto. La parola non è importante, non ha vero significato se non quello che io le do e chi comprende, se proprio vuole comprendere, comprenda.
C'è bisogno di bellezza nei nostri pensieri: essi non sono agglomerati di parole in fila, secondo un singolare arbitrio. E' pensiero, si dice, tutto quello che il mio cervello elabora, senza alcun parametro di riferimento. Ogni uomo costruisce il suo pensiero, secondo quanto può, ma soprattutto secondo quanto vuole. Un pensiero rigoroso... solo una schiavitù, un pensiero che possa essere compreso, una possibilità non necessaria, tanto che ogni pensiero altro non è che un singolare, il mio, modo di esprimermi, un'arte: che questa sia scientifica, o un semplice sofisma, poco importa. Io ho misurato con i miei pensieri il mondo e il mondo ha la misura dei miei pensieri. Chi può comprenderli? Chiunque pieghi la sua comprensione al mio pensiero e deve accettare che esso è in quel momento, ma un istante dopo, sarà quello che io dico subito dopo.
Non si tratta nemmeno più di riuscire almeno a farsi comprendere in qualche modo: se io dico che questo è il mio pensiero, questo è il pensiero.
C'è bisogno di bellezza quando riflettiamo su ciò che è e ciò che entra in relazione con noi, sia esso l'Essere che solo l'uomo sa pensare, oppure gli esseri particolari, quelli che sono oggetto delle scienze. Le nostre parole, i nostri pensieri non possono essere casuali o frutto dell'occasione, dell'opportunità o essere semplicemente "al servizio". Non si può pensare una scienza ad arbitrio e ad uso del singolo. Così facendo è il singolo che si lascia trascinare dalla propria corrente nella quale non riesce mai a bagnarsi che una volta e sempre in modo impreciso.
C'è bisogno di bellezza quando interroghiamo noi stessi, e nella profondità del nostro essere, che chiamiamo anima, possiamo trovare il nostro autentico significato.
C'è bisogno di bellezza quando interroghiamo l'universo, questo cosmo nel quale viviamo e senza il quale noi stessi nulla saremmo.
C'è bisogno di bellezza quando indaghiamo se il fondamento del nostro stesso esistere sia Dio, l'essere fondamento di tutto: Colui che è, e senza di Esso altro non saremmo che esseri vaganti senza significato.
C'è bisogno di bellezza nella riflessione morale: essa non è dettata dall'urgenza, dalle situazioni, ma con pacatezza deve cercare di riflettere su quale, tra le possibili azioni, possa portare al bene che si coniuga con la bellezza dell'atto da compiersi e lo considera, quando esso è compiuto, buono oltre che bello. Nelle possibili azioni dell'uomo anche quelle che riguardano tutti gli uomini che vivono insieme vi è necessità di bellezza. Superando l'interesse individuale ci si apre alla prospettiva di un'armonia tra le persone per ciò che può diventare bene civile, mediante leggi che sono giuste perché hanno insito in loro la prospettiva del bene.[2] Lo stesso bene che guida anche le azioni volte alla ricerca del benessere dei nostri giorni, che è necessario, ma non è mai il fondamento, se non per coloro che solo in basso sanno guardare o razzolare.
C'è bisogno di bellezza anche nell'estetica, ridotta sempre più a considerazione intellettualistica, dove nemmeno i sensi hanno più parte, quando semplicemente "vedono" quello che è definito dalla critica come "arte", spesso, non si sa bene, con pensiero forzato. La critica sassifica, diceva il poeta Giacomo Zanella, fin da giovani, e fa perdere l'autentica relazione estetica, quella che si fa tale nell'incontro diretto con le opere, le quali vivono in noi e suscitano il desiderio di rincontrarle, di rileggerle.
C'è bisogno di riprendere la riflessione sulla bellezza perché essa tutto avvolge e in essa l'uomo trova autentico appagamento, ché, altrimenti, si limita a considerare ogni aspetto per se stesso o nella sola dimensione strumentale. Quando l'uomo diventa fantasma a se stesso, allora diviene fecondo di imposture e di inganni, prima di tutto verso se stesso, e finisce nel nichilismo, che oggi per alcuni è l'essenza stessa dell'Occidente. Il mondo, l'uomo non sono che "niente", e in questo "niente" tutto si scioglie nell'oscuro che è proprio il contrario della bellezza. Il nichilismo è la rinuncia dell'uomo a cercare se stesso, a tentare una ricerca di senso, a tentare, seppur parzialmente, di definirsi. Così le parole di I. Kant aprono ad una precisa riflessione sul destino stesso dell'uomo:[3]

"Che cosa sia veramente l'uomo noi in realtà non lo sappiamo, benché i sensi e la coscienza avrebbero dovuto insegnarcelo; tantomeno potremo quindi indovinare quel che l'uomo sarà un giorno. Tuttavia, l'avidità di sapere dell'anima umana, spinta da una grande curiosità per questo argomento, aspira ardentemente a fare un po' di luce nell'oscurità di simili conoscenze. L'anima immortale, per tutta l'infinità della sua vita futura, che nemmeno la tomba può interrompere ma solo mutare, è forse destinata a rimaner legata per sempre a questo semplice punto dell'universo che è la Terra? Non le sarà dunque mai concesso di vedere le altre meraviglie del creato? Chi sa se non è invece destinata di vedere, a conoscere da vicino, un giorno, quelle lontane sfere dell'universo e l'eccellenza del loro ordinamento, che già da queste infinite distanze suscitano la sua curiosità? Forse si stanno già formando nuove sfere del sistema planetario, destinate ad accoglierci in altri cieli quando il tempo assegnatoci per il nostro soggiorno sulla Terra sarà scaduto. Chi sa, forse un giorno godremo della luce dei satelliti di Giove.
E' lecito, anzi è conveniente dilettarsi con simili pensieri; ma nessuno fonderà la propria speranza in una vita futura nei frutti così incerti dell'immaginazione. Quando la fragilità umana avrà pagato il tributo alla propria natura, lo spirito immortale si librerà, con un colpo d'ala, al di sopra di ogni cosa finita e inizierà un'esistenza diversa, in cui, grazie alla maggiore vicinanza all'essere supremo, occuperà una posizione nuova nei confronti di tutta la natura. Da quel momento lo spirito, che racchiude in sé la fonte della felicità, non cercherà più il proprio appagamento dissipandosi tra gli oggetti esteriori. Tutto l'insieme delle creature, che devono necessariamente trovarsi in armonia per il piacere dell'essere originario, arriveranno a goderne anche loro e in essa si placheranno come in una beatitudine eterna.
In realtà, quando si è nutrito il proprio animo con riflessioni di questo genere, basta uno sguardo al cielo sellato, in una notte chiara, per provare quel senso di rapimento di cui solo le anime nobili sono capaci. Nel silenzio universale della natura, nella quiete dei sensi, la segreta facoltà di conoscenza dello spirito immortale parla una lingua impronunciabile e suscita pensieri inespressi, che si sentono, ma non si lasciano dire. Se tra le creature pensanti del nostro pianeta vi sono degli esseri abietti, che nonostante il grande fascino di un argomento così importante preferiscono rimanere attaccati alla schiavitù delle cose vane, allora la Terra, per aver generato creature così miserabili, ci appare all'improvviso come un luogo molto infelice. Ma, viceversa, come ci appare felice, quando vediamo aprirsi in essa la sola via degna d'essere percorsa, quella che conduce alla suprema felicità del'anima, che nessun corpo celeste, anche quello dotato delle condizioni più eccellenti e vantaggiose, potrà mai offrire".

Così se appare difficile la via dell'uomo verso se stesso, certamente più facile nella nostra epoca si mostra quella distruttiva, quella del nichilismo. Allora cercare di dare una qualche voce a quella "segreta facoltà di conoscenza dello spirito immortale (che) parla una lingua impronunciabile e suscita pensieri inespressi, che si sentono, ma non si lasciano dire" di cui parla il filosofo di Königsberg, ci appare come la via regia, quella che conduce l'uomo a tentare almeno di apprezzare se stesso e il mondo che lo circonda e l'Essere a suo fondamento. Se riusciamo a naufragare in questo mare, allora l'infinito non è paura, seppur il pensiero anneghi per tanto sforzo intellettuale e ciò perché l'uomo non è solo il suo cervello che pensa, è ben altro. Non è una pura funzione fisiologica, ma è l'espressione più alta della sua libertà, che a lui ascrive quanto di bene e quanto di male compie, e sa coniugare il vero, il bene, il giusto con il bello con un'autentica capacità di contemplazione, che è l'apice della conoscenza.
Chi ha tentato e tenta di negare la possibilità stessa della verità, confondendo il sapere delle scienze, con il sapere del vero e nega la possibilità del bene, ritenendo che esista solo il proprio utile, da spartire magari solidaristicamente, ma senza amore per il prossimo, allora a costui non resta che distruggere anche la bellezza. Il fuoco eracliteo che abbrucia è il niente di costoro. Non vi è che l'illusione amara del vivere e non resta che la propria fine, la fine della propria umanità e della persona. Tutto appare vano, vano di fronte alla massima bellezza, vano di fronte a se stessi. Quindi uomini ancora? No! Singoli, in una folla di solitudini che trascinano se stessi nella noia, nello scoraggiamento, nella sofferenza, in un solipsismo teoretico incapace di raggiungere un dialogo, nemmeno con se stessi. Nel niente si abbandonano i singoli, ma finendo per fare sempre i conti del proprio tornaconto! e delle prebende che possono ricavare da questa inutile predica sul "niente". Timorosi di tutto, tranne che del suono del denaro, quando tintinna nelle loro tasche, che è l'unica salvezza che esibiscono a se stessi. Incapaci di fede, ma si dicono sicuri del proprio ragionamento, come se questa loro posizione non fosse essa stessa che una fede e senza alcun anelito.
C'è bisogno di bellezza in questo nostro mondo, in questi nostri attimi solcati di vita, dove abbiamo bisogno certo della natura, ma anche di ritenerci al di là di questa. E' il nostro essere terreno stesso che apre alla dimensione metafisica, a quel tentativo di coniugare il vero, il bene con la bellezza.[4] Infatti, è, alla fine, la bellezza che apre all'ultima visione possibile per l'uomo, quella dove cessa ogni possa, e richiede nella contemplazione, fede,[5] alla quale con timore, ma senza paura possiamo abbandonarci, per sperare almeno in una gloria di luce eterna.
C'è bisogno di questa bellezza perché, altrimenti, cadiamo in quella fede che ci considera, dice Emanuele Severino, "effimeri, esposti al pericolo del nulla. E' proprio questa fede che suscita in noi il timore, l'angoscia, la volontà di rimedio, la volontà di salvezza, l'esigenza di un salvatore, di un salvatore che c'è ma che a volte si ritrae, tutto questo dipende dalla nostra persuasione di essere povere cose effimere esposte alla minaccia del nulla, questa fede regge tutto ciò che noi oggi, sul pianeta, siamo diventati".[6]
Certo una siffatta fede, immanente e diveniente, non è che nulla, e su di essa non varrebbe la pena di soffermarsi, ma ci sono coloro che, pur affermando il nulla, finiscono con il dissertare su niente: è questa la loro pena: essere nulla. Il loro "dio", il nulla, il niente, ma in realtà solo se stessi. La loro voce è Max Stirner e a loro ben si addicono le sue parole: Io sono il proprietario della mia potenza; e tale diventa appunto nel momento stesso in cui acquisito la coscienza di sentirmi Unico. Nell'Unico, il possessore ritorna nel Nulla creatore dal quale è uscito. Qualunque essere superiore a me, sia esso Dio o Uomo, deve inchinarsi davanti al sentimento della mia unicità, e impallidire al sole di questa mia coscienza. Se io ripongo la mia causa in me stesso, l'Unico, esso riposa sul suo creatore effimero e perituro che da se stesso si consuma: quindi potrò veramente dire: - Io ho riposto la mia causa nel nulla".[7]
Non si tratta di contraddizione, ma più semplicemente di paura di essere. Infatti, proprio la paura di essere conduce al nichilismo. Il pensiero è che si può vivere senza dover render conto, senza aprirsi alla luce che la bellezza esprime, nella consapevolezza che ciò per l'uomo è una tensione non immiserita in cerebralismi, definiti "riflessioni intellettuali", né nel solo utile, ma in quella capacità di saper coniugare il vero, il bene e il bello, perché è alla luce del sole che viviamo e nella stessa notte sogniamo la luce. Le tenebre, se avvolgono tutto l'uomo, come lo fanno vivere? Non possiamo fornire una risposta, intuiamo però che senza luce non viviamo e la luce degli uomini è un amore che non si esaurisce nel loro orizzonte, ma prepara a ben altra meta.
A questo invita la predica Tota pulchra es amica mea (Sermo de pulchritudine) di Niccolò Cusano e rileggendo oggi le sue parole, comprendiamo che esse ci invitano a considerare che sempre e comunque c'è bisogno, oggi anzi urgenza, di bellezza.

2. La predica

Niccolò Cusano ha dedicato al tema della bellezza la predica[8] che inizia con il versetto del Cantico dei Cantici "Tota pulchra es amica mea",[9] che qui si pubblica per la prima volta in traduzione italiana dal latino sul testo integrale stabilito da Giovanni Santinello.[10]
La recensione di Santinello si fonda sui seguenti codici:
cod. Cus. 220, dalla Biblioteca dell'Ospizio di Cues,[11] che conserva la biblioteca del Cusano stesso;
cod. 38, appartenente al Domgymnasium di Magdeburgo (D 295v-298r);
cod. Laurentianus Ashburnham 1347 (L 152r-155v) dalla Biblioteca Laurenziana;
cod. Vat. Lat. 1245 (V2 167vb-169vb) e cod. 235 (CCXXXII U 131 - 134r) della Biblioteca Vaticana. Quest'ultimo codice non contiene esclusivamente le prediche di Cusano, ma altro materiale relativa a testi dei Padri della Chiesa e a Scolastici.
La predica fu edita la prima volta a Parigi nel 1514 e successivamente in altre edizioni, tra cui quella di Basilea nel 1565. Per la sua edizione della predica Santinello si basa sul cod. Vat. Lat. 1245 (V2 167vb-169vb), considerato il più autorevole, integrato da alcune varianti tratte dagli altri codici. Oggi la predica è contenuta con il numero CCXLIII nel volume Nicolai de Cusa, Sermones IV (1455-1563), CCXXXII-CCXLV, a cura di W.A. Euler et N. Schwaetzer, Hamburgi, F. Meiner, 2002, vol. XIX, pp. 254-263, che segue sostanzialmente la lettura dei manoscritti compiuta dallo storico della filosofia Santinello.
L'omelia fu pronunciata nella cattedrale di Bressanone l'8 settembre del 1456; fu stesa come era quasi sempre uso in latino, ma, come fu probabile, ad essa assistette anche il popolo, oltre al clero, e perciò fu pronunciata in volgare, cioè in tedesco. L'8 settembre era la festa della Natività di Maria, una festa di precetto che veniva celebrata con molta solennità.[12]
Nel sermone confluisce tutta la vasta cultura di Niccolò Cusano, in particolare il pensiero di Dionigi l'Areopagita, desunto specialmente dall'opera De divinis nominibus,[13] unitamente al commento all'opera di Dionigi steso da Alberto Magno.[14] Vi è pure un riferimento, seppur indiretto, alla riflessione di san Tommaso d'Aquino, il quale nella Summa theologiae richiama Dionigi e riporta le sue parole: "Il bene è lodato come bellezza. Ora, il bello appartiene alla causa formale. Dunque anche il bene è diffusivo del suo essere, come abbiamo dalle parole di Dionigi, dove dice che ‘il bene è ciò da cui deriva che le cose sussistono e sono. Ora, essere diffusivo è proprio della causa efficiente. Dunque il bene ha il carattere di causa efficiente".[15]
La predica può essere suddivisa, secondo l'analisi di Santinello, in sei parti:[16]
Determinazione del concetto di bellezza, ossia della ratio pulchri, in rapporto al bonum e all'honestum: in se stesso il bello è splendore della forma, sostanziale o accidentale, sulle parti di materia proporzionate e terminate; in quanto s'identifica col bene, nel soggetto, esso è ciò che attrae a sé il desiderio; e in quanto è forma, è ciò che unifica.
Il movimento provocato dal bello, negli angeli, nelle menti umane, nelle cose sensibili; ogni cosa trae l'essere e la vita dal bene e dal bello e ad essi aspira:
Gradi della bellezza: nel senso, nell'intelletto, in Dio:
Bellezza di Dio, uno e trino, creazione del mondo come partecipazione di bellezza, bellezza del regno celeste:
La bellezza suscita amore, e perciò ne viene l'ascesa nostra dalla bellezza sensibile a quella del nostro spirito ed infine la fonte divina del bello.
Conclusione con l'applicazione delle parole del tema all'anima e alla Vergine."[17]

La predica traccia le linee essenziali della concezione estetica di Cusano,[18] ma la sua importanza appare evidente perché in essa sono precisate le fonti utilizzate e quell'importante concetto che la bellezza non è solo "forma", ma anche "splendore" e "proporzione"; questi determinano la claritas, ossia la luce, perché la creazione avviene alla luce e tutto il creato è bello, addirittura superiore a quello che un artista può riprodurre. L'uomo produce - l'esempio è tratto dal dialogo cusaniano Idiota [19] un cucchiaio: questo non è nella natura, ma è tratto dalla mente dell'uomo ed esprime qualcosa di superiore rispetto a chi riproduce; se però l'artista nel suo operare esplica il suo spirito, allora l'arte diviene pienamente manifestazione dell'uomo, giacché è nell'anima la capacità di esprimere quanto il Creatore ha in lei espresso.[20] Cusano, inoltre, non intende solo quelle opere che oggi vengono comprese nella storia dell'arte, perché nella visione umanistica arti erano anche l'aritmetica, l'astronomia e le stesse tecniche artigianali. Là dove si esplicano l'intelligenza e l'anima, c'è arte, come se questa esprimesse l'urgenza interiore dell'uomo di dare realtà anche visiva e uditiva a ciò che egli è in grado di concepire. Non a caso, infatti, per comprendere l'arte si deve andare dall'ideale all'ideato, ma anche dell'ideato all'ideale. Un'opera d'arte riconosce il suo fattore e massimamente il suo Fattore. L'uomo, come Dio per il creato, trascende l'opera d'arte, perché essa è risultato. Certo vi è la finitezza, ma nello stesso tempo viene affermata la vasta possibilità dell'ideatore. Infine, la cultura dell'epoca di Cusano pone l'uomo come centro e artefice nella realizzazione, ma questo centro che si esplica si esprime nella possibilità di cogliere l'altro focus dell'universo, ossia Dio. La figura paradigmatica serve a Cusano per affermare, con un'analogia, che il mondo del divino e quello umano non sono mai scissi, ma sempre tra loro intimamente uniti. L'unità delle alterità apparenti viene così ben precisata: il possibile, Dio, esplica sé nelle creature; il possibile, l'uomo come massima creatura, esplica sé nel creatore ovvero nella progressio dell'unità nell'alterità che coincide con la regressio dell'alterità nell'unità
Infatti, nella figura ciascuna delle due basi tocca il vertice della piramide opposta nel suo centro, di modo che ne risulta l'allineamento dei vertici delle piramidi l'uno con l'altro. [21]
L'uomo, producendo attraverso la mente, contempla e costruisce un'opera nella forma che assume splendore. [22]
Il pensatore non considera il bello e la bellezza solo nell'ambito della produzione di cui è capace l'uomo, la collega direttamente a ciò che è vero, a ciò che è bene e onesto. Infatti, non è possibile riflettere su qualche cosa se essa non appaia alla luce della verità, del bene e dell'onesto. Ciò è possibile, ecco la fonte neoplatonica di Cusano, perché in ogni parte dell'universo risplende la presenza di Dio, che nelle forme che in lui hanno principio e mezzo, sono sempre convenienti al fine che Dio stesso ha impresso all'universo stesso. Attraverso Dionigi e Alberto Cusano considera la realtà tutta, l'universo, dal punto di vista della bellezza. Una visione pancalistica dove il segreto della bellezza anche quando qualcosa ci appaia deforme, risiede nella presenza del divino nel mondo.[23] Tutto "porta significatione" di Dio, diceva san Francesco nelle sue Laudes creaturarum, e a questa visione appartiene proprio la considerazione della bellezza in Cusano, dove essa viene colta nei suoi gradi anche partendo dal sensibile, ma l'apice della rilucenza del bello si coglie con i sensi più spirituali, ossia la vista e l'udito.[24] Questi sono veicoli allo spirito intelligente, perché il senso coglie solo "una povera apprensione della bellezza",[25] ma questa comunque ci spinge ad una conoscenza maggiore. L'accidentale bello partecipa all'essere bello, ma lo sforzo è quello di comprendere che in ogni essere vi è bellezza e in ogni pensiero dell'uomo vi deve essere bellezza. Infatti, ciò che si esplica nel creato, anche ciò che è nella mente dell'uomo, è contratto in Dio, perché Egli, la Luce, contiene tutto ciò che ha, ha avuto e potrà avere forma. Secondo il principio quodlibet in quolibet, il principio della Pseudo-Scoto, l'essere è in omnibus senza per questo frazionarsi nella partecipazione. Egli è in tutto in modo contratto, e scoprire questo è scoprire la sua luce e quindi la bellezza. Il Creato è bello perché in esso è contratto Dio, ma assume piena visibilità quando l'uomo è capace di renderlo manifesto. L'uomo che comprende ciò, comprende anche che la sua intelligenza, proprio perché conosce il bello, supera il senso, che si limita alla dimensione percettiva che, ammantata di intellettualismo, riproduce in termini criptici solo la sensazione.
La riduzione della bellezza alla sola dimensione estetica, cioè della conoscenza sensibile, non appaga la sete di bellezza stessa, infatti, il senso è veicolo all'idea di bellezza, ma non la può certo né definire né esaurire. Quando, come abbiamo compiuto, neghiamo nell'arte la bellezza e la sua tematizzazione, in effetti, limitiamo alla percezione la fruizione dell'opera d'arte, su cui un intelletto che s'invera solo nel sensibile, non potrà mai cogliere la bellezza,[26] ma solo quella che si può dire l'espressione di quel singolo artista, che non sa respirare al di là proprio della sua espressione. Ne consegue perciò che la fruizione è solo "dell'attimo" e facilmente è ridotta a quel godimento estetizzante che è il più forte vicolo della mercificazione dell'arte.
Cusano invece attraverso il senso coglie la bellezza intellettuale di Colui che è la sede della bellezza stessa, che si esprime nella "gloria di Colui che tutto move / per l'universo penetra e risplende / in una parte più e meno altrove".[27] Così la bellezza è un carattere ontologico delle cose e trovare la sua origine in Dio è autentica ricerca, che ci fornisce il vero carattere della bellezza che è splendore di forma ed armonia di parti proporzionate e per opera di Dio discende nella creazione. Per questo il mondo è bello, e la bellezza non può che esprimersi nell'amore che è il fine delle cose, perché questo è anche il loro inizio. La bruttezza nasce dalla non comprensione intelligente del disegno divino, essa è frutto della sola considerazione sensibile, che non intende cogliere il nesso sostanziale di tutto il creato: "Esse in gloria est esse in visione pulchritudinis et illi uniri amore".[28]
L'anima comprende il significato dell'universo e del suo Primo alto Fattore e si abbandona, comprendendo la bellezza dell'universo stesso, e si fa ancella del suo Autore. Così l'anima che tanto ama la bellezza si consegna ad essa e dolcemente afferma: fiat voluntas tua. Il re della bellezza vuole intera l'anima che deve essere tota pulchra.[29] Così la forma sensibile dell'eterna bellezza, Maria, diviene la sede del Figlio, ed è la Vergine Maria,[30] perché ella si consegna nell'annunciazione totalmente a Dio come sua amica. L'anima mia anela a Dio, l'anima mia anela alla bellezza, cioè a Colui che lo è, perché è nel creato e ad esso dà significato; e tutti, come Maria fin dalla nascita immacolata, dobbiamo sapere che la dimensione del sensibile nella quale siamo come persone, non esaurisce la nostra vita, perché l'uomo è anima, cioè completezza di persona e per questo coglie in ogni sua attività la bellezza come armonia. Sia che io viva, sia che io ragioni sul vero, il bene e il giusto, sia che costruisca un manufatto o un'immagine, sempre la bellezza vi deve albergare, cioè sempre deve risplendere la luce di Dio.[31]
Ben sovviene ad ogni uomo l'esempio di Maria[32] e quella tensione che sant'Agostino ha espresso: "Tardi t'amai, bellezza infinita, tardi t'amai, tardi t'amai, bellezza così antica e così nuova. Eppure, Signore, tu eri dentro me, ma io ero fuori; deforme com'ero, guardavo la bellezza del tuo creato".[33]


4. Conclusione
La predica di Cusano ci ha portato nel mondo della bellezza di cui oggi c'è non solo bisogno, ma anche urgenza, perché come affermava il grande scrittore russo F. Dostoevskij: "L'umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui".[34]
Non solo l'arte ma ogni cosa che l'uomo produce con la sua intelligenza deve essere bella, ossia splendere nella forma e nell'armonia. Infatti, riappropriarsi della bellezza è un compito che appare difficile solo a coloro che temono la bellezza stessa, perché essa non è mai nascondimento, o secondo fine; appare nella sua luminosità e ci abbaglia quando è talmente grande da indurci a percorrere quello che è al di là del sensibile, al di là dei pensieri, cercando di pronunciare quella lingua che ogni uomo conosce, ma che non si lascia dire pienamente, e che tuttavia ognuno di noi tenta di pronunciare, perché la nostra dimora terrena tenda almeno alla bellezza. Con essa questo nostro cosmo fu creato e l'uomo è chiamato in questo mondo a sviluppare una cultura e una civiltà nella quale egli, mirando a conoscere il vero, il buono, il giusto, sappia anche provare diletto del suo mondo,[35] cercando proprio quel bello senza di cui nessuna opera umana è veramente importante e lodabile e con ciò egli si armonizza con tutto il creato.[36]
Ogni uomo in ogni suo pensiero, in ogni sua azione può essere un autentico artista che mira alla bellezza e, riflettendo con le parole di Cusano, renda proprie le parole di Giovanni Paolo II nella sua Lettera agli artisti: "L'artista, immagine di Dio Creatore. Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all'alba della creazione, guardò all'opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si è infinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, come gli artisti di ogni tempo, avvinti dallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme, avete ammirato l'opera del vostro estro, avvertendovi quasi l'eco di quel mistero della creazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarvi".[37]
Italo Francesco Baldo

La Voce del Sileno, Anno 2

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[1] D. Formaggio, L'arte, Milano, ISEDI, 1973, p.9.
[2] Mi permetto di rimandare al mio Antonio Rosmini La società e il suo fine, in AA. VV., Le ali del pensiero: Rosmini e oltre, Verona, Ed. Mazziana, 2009, pp. 123-134.
[3] I. Kant, Storia universale della natura e teoria del cielo, tr. it. di S. Velotti, a cura di G. Scarpelli, Roma-Napoli, Theoria, 1987, pp.173-174.
[4] Ben appropriata l'affermazione di San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, q. 5 a. 4: "Il bello e il bene si identificano nel soggetto, perché si fondano sulla medesima realtà, cioè sulla forma, e per questo ciò che è buono è lodato come bello".
[5] Ben definisce la fede Guilelmus Paris., De fide, c.2:" fides autem lumen et gratia Dei est." cfr. Nicolai de Cusa, Sermones, IV Fides autem catholica, in ID, Sermones, (1430-1441), a R. Haubst et al., Hamburgi, F. Meiners, 1991, vol. I, fasc.1, pp. 142-157.
[6] E. Severino, Del bello, Milano-Udine, Mimesis, 2011, p.23.
[7] M. Stirner, L'Unico, Milano, Casa Editrice Sociale, 1922, p. 445.
[8] Sulla stature di N. Cusano come predicatore cfr. R. Haubst, Prefatio generalis in Nicolai de Cusa, Sermones, Hamburgi, F. Meiners, 1991, fasc. 0, pp. IX-XIV.
[9] Cantico dei Cantici, 4. 7, il testo prosegue "... et in te non est macula". Il testo biblico nel capitolo IV è la celebrazione della bellezza fin dal primo verso "Come sei bella, amica mia, come sei bella!", e viene considerato anche come un inno alla Madre di Dio.
[10] Cfr. G. Santinello, Introduzione a Nicolai de Cusa, Tota pulchra es, amica mea (Sermo de Pulchritudine), "Atti e Memorie della Accademia Patavina di SS. LL AA. Classe di Scienze morali. Lettere e Arti", vol. LXXI (1958-59), pp. 3-40, con ampio commento critico e filologico. Lo studioso ha dedicato inoltre al pensiero del cardinale di san Pietro in Vincoli, vescovo di Bressanone, diverse opere, tra le quali segnaliamo soprattutto Il pensiero di Nicolò Cusano nella sua prospettiva estetica, Padova, Liviana, 1958, nella quale prende in considerazione tutte le opere cusaniane che trattano del bello; la presente predica è esaminata alle pp. 3-38.
[11] Oggi Bernkastel-Cues.
[12] La data della festa della Natività di Maria, 8 settembre, venne fissata in Gerusalemme nella prima metà del secolo V, ai tempi del patriarca Giovenale e dell'imperatrice Eudossia. Da Gerusalemme la festa della Natività venne introdotta a Costantinopoli, successivamente a Roma, e da qui la festa si diffuse nell'Occidente, divenendo molto popolare: in Francia era celebrata con tanta solennità religiosa da essere conosciuta come "festa angioina" e si finì per parlare di una sua origine miracolosa dovuta nientemeno che a un espresso intervento di Maria, la quale ne avrebbe richiesto l'istituzione. Dall'XI secolo la festa acquista sempre più importanza tanto da diventare festa di precetto e da meritare un'ottava. Nel 1243 Papa Innocenzo IV stabilì che la Natività assumesse il ruolo di festa obbligatoria per la chiesa latina, sciogliendo così un voto formulato dai cardinali elettori nel Conclave del 1241 ostacolati dalle ingerenze di Federico II, che per tre mesi li tenne prigionieri. Nel secolo XIV la festa della Natività di Maria meritò anche la celebrazione di una vigilia, prescritta da Gregorio XI (morto nel 1378), che la volle con un suo digiuno e ne compose la Messa. Papa Pio X (1903-1914) tolse la Natività di Maria dall'elenco delle feste di precetto e ridusse l'ottava a semplice. Pio XII (1939-1958) con la riforma liturgica abolì l'ottava. Oggi la festa si celebra ancora l'8 settembre, anche se è concesso (come in altri casi analoghi, ad es. Ss. Pietro e Paolo) che venga celebrata nella domenica più vicina per motivi pastorali.
[13] Si riteneva che il Dionigi cui si riferisce Cusano fosse quel Dionigi di cui si parla negli Atti degli Apostoli (17, 19-34) e per questo detto l'Areopagita. Fu considerato il primo vescovo di Atene. Oggi l'autore preso in considerazione da Cusano è identificato con il cosiddetto Pseudo-Dionigi l'Areopagita, probabilmente un monaco siriaco del V-VI secolo, autore di scritti molto apprezzati nel Medioevo, tra cui De coelesti Hierarchia e De divinis nominibus. I testi rivelano una riflessione vicina all'ultima fase della filosofia neoplatonica con influenze del filosofo Proclo. Del De divinis nominibus ricordiamo la recente edizione italiana I nomi divini, introduzione e testo critico di Moreno Morani, tr. e note di G. Regoliosi, commento di G. Barzaghi, Roma, Ed. San Clemente, Bologna, Studio Domenicano, 2010.
[14] Alberto, il doctor universalis (1206-1280), di origine tedesca, studiò le arti a Padova, Bologna e Venezia, e completò la sua formazione religiosa e teologica a Colonia. Fu professore di teologia a Parigi ed ebbe come allievo Tommaso d'Aquino, che condusse a Colonia quando fu incaricato di fondarvi uno studio teologico. Con l'Aquinate avviò uno studio e un commento dell'opera di Dionigi e degli scritti sulla natura di Aristotele. I due autori antichi lo indirizzarono alla soluzione del problema dell'anima, che è posta da Dio nell'essere umano e si esprime nella conoscenza e nella vita pratica, svelando con ciò la sua origine divina. L'edizione critica delle sue opere è ancora in corso; ricordiamo Il bene. Trattato sulla natura del bene. La fortezza. La prudenza. La giustizia, a cura di A. Tarabochia Canavero, Rusconi, Milano 1987. Il testo di Alberto cui si fa riferimento è il suo commento al De divinis nominibus di Dionigi. Il testo manoscritto era posseduto dal Cusano (cfr. cod. Cus. 96, ff. 79r-222v); l'opera è parzialmente pubblicata con il titolo De pulchro et bono, nell'edizione di Pierre Félix Mandonnet, in S. Thomae Aquinatis, Opuscula omnia ... collecta cura et studio R. P. Petri Mandonnet, vol. V, Paris 1927. In realtà per diverso tempo il testo fu considerato dell'Aquinate stesso, perché noto da un suo autografo, rinvenuto in un codice a Napoli nel 1869. Ora il testo completo si trova in Super Dionysium De divinis nominibus, Editor Coloniensis, XXXVII/1, Köln, 1972.
[15] San Tommaso d'Aquino, Summa theol., I, q. 5 a. 4. Cfr al proposito R. Papa, Bellezza ed arte alla luce di s. Tommaso, Comunicazione presentata alla tavola rotonda Bellezza e trascendenza in San Tommaso d'Aquino, organizzata dalla "Società Internazionale Tommaso d'Aquino", Abbazia di Fossanova, 5 maggio 2006..
[16] La suddivisione proposta da Santinello ci sembra più articolata. l'edizione completa delle prediche, 293, di Cusano, cfr. Nicolai de Cusa, Sermones IV, op. cit. p.254, individua tre parti in cui può essere considerata l'omelia: " I. Quomodo Dionysius et Albertus Magnus natura pulchru determinaverunt; II Quomodo a pulchritudine sensibilium per pulchritudinem spiritus humani ad pulchritudinem absolutam, fontem et complicationem omnis pulchritudinis ascenditur; III Verbo tremati (Ct. 4,7) ad animam gumanam et ad Virginem referentur."
[17] Cfr. G. Santinello, Introduzione a Nicolai de Cusa, op. cit., pp. 10-11 e N. Cusano, La dotta ignoranza, tr. it. e introduzione di G. Federici Vescovini, Milano, Fabbri Ed., 1999, pp. 172-174.
[18] Un'importante analisi sulla predica è stato compiuto d a C. Catà, La croce e l'Inconcepibile: il pensiero di N. Cusano tra filosofia e predicazione, Macerata, EUM, 2009, in particolare pp. 360-390, che la pone in relazione ad altre prediche e anche alla concezione della bellezza di M. Ficino Come egli la espone nel Sopra lo Amore ovvero Convito di Platone, a cura e con prefazione di G. Rensi, Milano, Es, 1998, pp. 126-133 e part. p. 131:" E benché tu vegga varie dottrine, di Sapienzia, Scienzia, e Prudenzia, non di meno stima che in tutte è una luce di verità: per la quale similmente tutte belle si chiamano. Io ti comando, che tu ardentemente ami questa luce, come suprema Bellezza dello Animo. [...] Adunque la Luce è Pulcritudine di Dio, la quale è interamente pura e da ogni condizione libera, senza dubbio è Pulcritudine infinita. La Pulcritudine infinita, infinito Amore richiede. Per la qual cosa, io ti prego, Socrate mio, che tu ami le creature con certo modo e termine: ma il Creatore ama con amore infinito: e guardati quanto tu puoi che nello amare Iddio non abbi né modo né misura alcuna."
[19] N. Cusano, L'idiota: la mente, a cura di G. Santinello, Padova, Centrostampa Palazzo Maldura, 1986, III, 2.
[20]N. Cusano, De coniecturis, ediderunt J. Koch et C. Bornmann, in Nicolai de Cusa, Opera Omnia, iussu et auctoritate Academiae Litterarum Heidelbergensis ad codicum fidem edita, vol. III, Hamburg, Felix Meiner, 1972, cap. II,12, 44 Ancora più preciso è il filosofo nella Lettera ad Albergati, p. 34 dell'11 giugno 1463: "Sicut rosa picta, quae est opus intellectus, se habet ad rosam veram, quae est opus Dei, sic se habet virtus intellectiva nostra ad virtutem intellectivam divinam, et sicut se habet rosa picta ad rosam veram, ita se habet ipsa vera ad vivum intellectum". La lettera al cardinale bolognese Nicolò Albergati è in "Akten der Heidelberger Akademie", Heidelberg, 1955; la traduzione italiana, a cura di G. Morra, si legge in La vita e la morte. Predica "Dies sanctificatus" e Lettera a Nicolò Albergati, Edizioni di Ethica, Forlì 1966, p. 75. Un ulteriore esempio possiamo trarlo da N. Cusano, La caccia della sapienza, tr. it. e introduzione di G. Federici Vescovini, Casale Monferrato (AL), Piemme, 1998, pp. 89-90: "Sono necessarie tre cose per suonare: il salterio composto di due elementi, cioè la cassa armonica e le corde, e il suonatore: cioè l'intelligenza, la natura e lo strumento. Il suonatore è l'intelligenza, le corde sono la natura mossa dall'intelligenza, e il recipiente conveniente alla natura è lo strumento. Questi tre elementi si trovano nell'uomo macrocosmo come si trovano nel mondo più grande. Qui si trovano l'intelligenza, la natura umana e il corpo a essa adatto". Infine G. Santinello, Il pensiero di Nicolò Cusano nella sua prospettiva estetica, Padova, Liviana, 1958, pp.257-258
[21] N. Cusano, De coniecturis, op.cit., cap. I, 9, 41 e cap. X, 44; cfr. inoltre A. Bonetti, La filosofia dell'unità nel pensiero di N. Cusano, in AA.VV, L'uno e i molti, a cura di V. Melchiorre, Milano, Vita e pensiero, 1990, pp. 283-317, part. pp. 303-315; G. Cuozzo, Mystice videre: la conoscenza speculare di Dio nel pensiero di Nicola Cusano, Torino, Trauben, 2000.
[22] Cfr. G. Federici Vescovini, Le teoria della luce e della visione ottica dal IX al XIV secolo, Perugia, Morlacchi, 2003, Appendice II, Luce e influenza nel Medioevo, pp. 427-429. L'immagine che qui riproduciamo è la celebre "figura paradigmatica P", con la quale Cusano nel De coniecturis (I, cap. X, vol. III, p. 46 nell'edizione di Heidelberg) visualizza la sua dottrina della partecipazione, ovvero la compenetrazione dell'unità e della molteplicità in Dio; è tratta da A. Bonetti, La filosofia dell'unità nel pensiero, op. cit., p.305 e ID, La ricerca metafisica nel pensiero di N. Cusano, Brescia, Paideia, 1973, p. 305; cfr. anche S. Mancini, I modi della contrazione nel "De coniecturis" di Nicola Cusano, in "Fieri" n° 4 (2006), pp. 199-222, p. 218.
[23] Così Agostino, forse ricordando il de pulchro et apto, sua opera andata perduta, afferma nei Discorsi, 241, 2-3: "Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell'aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l'ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte. Interroga le fiere che si muovono nell'acqua, che camminano sulla terra, che volano nell'aria: anime che si nascondono, corpi che si mostrano; visibile che si fa guidare, invisibile che guida. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole... chi l'ha creata, se non la Bellezza Immutabile?"; cfr. anche L. Stefanini, Estetica, Roma, Studium, 1953, pp. 10-16.
[24] Cic. De Officiis 1, 14: "E non è davvero piccolo pregio della natura razionale il fatto che l'uomo, unico fra tutti gli esseri viventi, senta quale sia il valore dell'ordine, del lecito e della misura nelle azioni e nelle parole. Ecco perché, perfino in quelle cose che cadono sotto il senso della vista, nessun altro animale sente la bellezza, la grazia, l'armonia; solo la natura razionale dell'uomo, trasferendo per analogia questo sentimento dagli occhi allo spirito, pensa che a maggior ragione la bellezza, la costanza e l'ordine si debbano conservare nei pensieri e nelle azioni; e mentre essa si guarda dal commettere cosa contraria al decoro e alla dignità dell'uomo, bada anche, in ogni pensiero e in ogni azione, che non faccia e non pensi nulla obbedendo al capriccio. Ora, dall'intrinseca unione di questi quattro elementi è formato quello che andiamo cercando, cioè ciò che è onesto, il quale, anche se non gode di molta fama tra gli uomini, non cessa pertanto d'essere onesto; e anche se nessuno lo loda, noi diciamo a ragione che questo, per sua natura, è ben degno di lode" (trad. it. D. Arfelli, Bologna, Zanichelli, 1969).
[25] Cfr. G. Santinello, Introduzione a Nicolai de Cusa, op. cit., p. 21.
[26] La bellezza "a mio avviso è quella modificazione inerente all'oggetto osservato, che con infallibile caratteristica, quale il medesimo apparir deve all'intelletto che compiacesi di riguardarlo, tale glielo presenta. Farò costare che il diletto della bellezza occasionato ha la sua radice nell'amor proprio, il quale in un tal maniera padre di quella proclività che per la bellezza abbiamo possiamo chiamare; essendo che l'anima sdegna essere prodiga di encomi verso quegli oggetti che il menomo incomodo recar le possono": la citazione è tratta da G. Spalletti, Saggio sopra la bellezza, a cura di G. Preti, Milano, A. Minuziano Ed., 1945, p. 34.
[27] D. Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, I, vv. 1-3. Sul tema cfr. H.U. von Balthasar, Gloria: una estetica teologica, Milano, Jaca Book, s.d.
[28] N. Cusano, Sermones, CCXLIII,h XIX 29:11-21,p.262. T,:"Nam viva intellectualis pulchritudo intuendo seu intelligendo absolutam pulchritudinem ad ipsam fertur desiderio indicibili, et quantum fervet desiderium, tantum accedit propinquius, et plus atque plus assimilatur exemplari. Desiderium enim sive amor immutat continue amantem ad conformitatem amati. Et venit iste ascensus attractione pulchritudinis seu gloriae Dei; nam non est gloria nisi in regia pulchritudine. Esse in gloria est esse in visione pulchritudinis et illi unire amore."
[29] In Maria proprio per il compito che le era destinato non può esservi alcuna "bruttezza", perché destinata ad accogliere la Bellezza stessa, cioè Dio.
[30] A Maria, madre di Gesù, fin dai Vangeli è stata sempre dedicata molta attenzione: il Concilio di Efeso, il terzo ecumenico, nel 431 d.C., stabilì definitivamente che Maria era "madre di Dio"; l'appellativo "tota pulchra" fu attribuito fin dal IV secolo quando fu composto il canto che porta questo nome; il canto è presente nella tradizione in alcune varianti, ed è stato musicato da numerosi compositori, tra i quali ricordiamo Guillaume Dufay, Melchiorre Balbi, Lorenzo Perosi, Anton Bruckner, Pablo Casals, Maurice Duruflé, Grzegorz Gerwazy Gorczycki e James MacMillan. Il testo è il seguente: "Tota pulchra es, Maria / Et macula originalis non est in Te. / Tu gloria Ierusalem / Tu laetitia Israel. Tu honorificentia populi nostri. / Tu advocata peccatorum. / O Maria, O Maria, / Virgo prudentissima, Mater clementissima, / Ora pro nobis, / Intercede pro nobis / Ad Dominum Iesum Christum". Sulla bellezza di Maria considerò anche da E. van Veen, Tractatus physiologicus de pulchritudine. Juxta ea quae de sponsa in Canticis Canticorum mystice pronunciantur, Bruxellis, F. Foppens, prope Templum Societatis Jesu, sub signo S. Spiritus, 1662, pp. 22-23.
[31] S. Agostino, Confessioni, X, 6, 8-10.
[32] Cfr. al proposito: "Prima ragione: essa ci obbliga a ricordare l'apparizione della Madonna nel mondo come l'arrivo dell'aurora che precede la luce della salvezza, Cristo Gesù, come l'aprirsi sulla terra, tutta coperta dal fango del peccato, del più bel fiore che sia mai sbocciato nel devastato giardino dell'umanità, la nascita cioè della creatura umana più pura, più innocente, più perfetta, più degna della definizione che Dio stesso, creandolo, aveva dato dell'uomo: immagine di Dio, bellezza cioè suprema, profonda, così ideale nel suo essere e nella sua forma, e così reale nella sua vivente espressione da lasciarci intuire come tale primigenia creatura era destinata, da un lato, al colloquio, all'amore del suo Creatore in un'ineffabile effusione della beatissima e beatificante Divinità e in un'abbandonata risposta di poesia e di gioia (com'è appunto il «Magnificat» della Madonna), e d'altro lato destinata al dominio regale della terra": Omelia di Paolo VI nella Festa della natività di Maria, 8 settembre 1962, rintracciabile nel sito della Santa Sede, Paolo VI, Omelie.
[33] Ivi, X, 27,38.
[34] F. Dostoevskij, I demoni, tr. it. R. Küfferle, Verona, A. Mondadori, 1931, vol. II, p.731.
[35] M.S.M. Nogueria, Amor, caritas et dilectio, Elementoas para uma Hermenêutica do Amor no Pensamento de N. de Cusa, Faculdade de Letras da Universidade de Coimbra, 2008,part. pp.287-89.
[36] Cfr. N. Cusano, La caccia della sapienza, op. cit., p. 86: "Tutte le cose lodano Dio con il loro essere. Poiché ogni cosa è così perfetta e sufficiente da non essere del tutto priva di lode, essa loda certamente il suo artefice dal quale ha (avuto) in modo esclusivo ciò per cui è lodata. Pertanto tutte le cose create lodano naturalmente Dio".
[37] Cfr. anche Messaggio del Concilio Ecumenico Vaticano II: Agli artisti:" La bellezza, come la verità, è ciò che mette la gioia nel cuore degli uomini, è il frutto prezioso che resiste all'usura del tempo, che unisce le generazioni e le congiunge nell'ammirazione:" Artisti" Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo: che ciò è sufficiente ad affrancarvi dai gusti effimeri e senza vero valore, a liberarvi dalla ricerca di espressioni strane e sconvenienti."
Infine di particolare rilevanza quando detto da Benedetto XVI nel suo incontro con gli artisti nella Cappella Sistina del 21 novembre 2009, che ricorda quello di Paolo VI del 7 maggio 1964:" Troppo spesso, però, la bellezza che viene propagandata è illusoria e mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento e, invece di far uscire gli uomini da sé e aprirli ad orizzonti di vera libertà attirandoli verso l'alto, li imprigiona in se stessi e li rende ancor più schiavi, privi di speranza e di gioia. Si tratta di una seducente ma ipocrita bellezza, che ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di sopraffazione sull'altro e che si trasforma, ben presto, nel suo contrario, assumendo i volti dell'oscenità, della trasgressione o della provocazione fine a se stessa. L'autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l'Altro, verso l'Oltre da sé. Se accettiamo che la bellezza ci tocchi intimamente, ci ferisca, ci apra gli occhi, allora riscopriamo la gioia della visione, della capacità di cogliere il senso profondo del nostro esistere." Rint5racciabile nel sito internet della Santa Sede, Omelie di Benedetto XVI.

 

 


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