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Inizia Pesach, Pasqua ebraica, tra fede e tradizione gastronomica: ce le raccontano una “laica” vicentina e Rabbino Elia Richetti

Di Paola Farina Sabato 8 Aprile 2017 alle 18:49 | 0 commenti

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Pesach (Pasqua Ebraica) dura otto giorni per gli ebrei della diaspora (sette in Israele), di cui i primi due e gli ultimi due solenni. Inizia al tramonto di Lunedi, 10 Aprile, 2017 e finisce al crepuscolo di Martedì, 18 Aprile, 2017. E' la festa che rievoca l'esodo dall'Egitto, la miracolosa traversata del mar Rosso, la fine della schiavitù e la conquista di una sofferta libertà sotto la guida di Mosè e Aron. A memoria di questa liberazione per tutti gli otto giorni non si mangiano, ma nemmeno si tengono in casa, cibi lievitati. La casa deve essere minuziosamente ripulita per eliminare ogni residuo di cibo non consentito (nella foto fabbrica di pane azzimo, qui la photo gallery).

Bisogna bollire stoviglie e contenitori, cercare il pane anche negli angoli più nascosti, bruciare e vendere tutti gli alimenti che non sono conformi alle regole di Pesach. Ed è un lavoro davvero molto faticoso, accettato con gioiosa ed ironica rassegnazione.

Quando ci sono bambini, di solito è il padre (quando c'è) che di sera li accompagna alla ricerca di Hametz in casa (le bricioline che possono essere sfuggite) e una volta raccolti tutti i pezzetti di Hametz vanno bruciati. Durante Pesach vengono utilizzati appositi servizi di stoviglie, pentole e posate; in alternativa bisogna kasherizzare (ossia "rendere adatto/rendere idoneo") piatti e vasellame attraverso specifici lavaggi e allontanare ciò che non si può purificare. Tutto il cibo lievitato deve essere invece venduto, ed il luogo ove esso ed il relativo vasellame si trova affittato, ad un "non ebreo". Generalmente questa vendita è simbolica e subito dopo la festa gli ebrei riacquistano quanto venduto. Se animali da compagnia e bestiame devono necessariamente mangiare lieviti, li si vende temporaneamente e simbolicamente ad un non ebreo, come si fa col vasellame. Persino lo Stato di Israele, durante Pesach, vende per intero ad un altro Stato, ad un prezzo simbolico, tutto ciò che di chamez possiede, riacquistandolo subito dopo la festa (certo deve vendere a uno stato leale, io non venderei mai alla Comunità Europea, se posso esprimere una opinione, poi è Israele che decide). Senza ambienti ebraici la convivenza con la religione e le tradizioni è difficilissima... se io dovessi proporre la vendita a un mio vicino di casa di quello che resta del cibo lievitato, se sono fortunata mi segnala ai servizi sociali come persona mentalmente disturbata. Ho un'amica a Roma che parla della sua Minou (il cane) quasi di più di suo figlio militare e bellissimo in Israele e sono sicura che non venderebbe mai il suo cane, neppure simbolicamente...
L'indomani di Pesach si inizia la colazione con il servizio di piatti che viene usato solo per gli otto giorni di festa. La festa si apre con il Seder, le prime due sere (mentre in Israele solo la prima sera), leggendo l'Haggadah, che narra la diaspora degli Ebrei dall'Egitto. Sul tavolo del Seder devono esserci le matzot (pane azzimo), una zampa d'agnello (che ricorda il sacrificio pasquale); ma sia io che i miei amici mettiamo una zampa di tacchino o di pollo, per lasciare in vita l'agnello, un uovo sodo (in ricordo della distruzione del tempio); maror (erbe amare che ricordano l'amarezza della schiavitù); charoset (impasto di frutta che simboleggia l'argilla, con cui venivano costruiti i mattoni, ma che è davvero una delizia per il palato); karpas (sedano da intingere in acqua salata o aceto, che rappresenta le lacrime versate in schiavitù); vino in quantità tale che almeno ogni commensale possa consumarne quattro bicchieri.
E' una festa allegra, ma la tradizione prescrive di non gioire fino in fondo, perché quel periodo è stato anche causa di morte e di dolore per altri esseri umani, gli egiziani vittime della piaga dei primogeniti e dei flutti del Mar Rosso che si richiuse inghiottendoli, dopo aver lasciato passare i figli di Israele.
La festa si passa in famiglia, con gli amici, ma nelle Comunità della diaspora è usanza celebrare Pesach assieme. Si rinnova quindi l'incanto di una tradizione, la magia di un insieme di persone legate dallo stesso interesse, la vocazione fortemente comunitaria e l'espressione ricercata di celebrare una festività in compagnia. La Comunità Ebraica riprende il valore di "famiglia", l'attitudine assoluta ad amalgamare figli della Terra d'Israele, che diversamente potrebbero risultare orfani della tradizione. Il tutto in una cornice rarefatta di armoniosa religiosità ed umanità. Peccato l'indomani di Pesach si rientri nella banalità dell'ordinario collettivo.


Il Pensiero del Rabbino Elia Richetti (http://www.rabbini.it/elia-enrico-richetti)
"Dai maestri Pesach è definito «epoca della nostra libertà». Ma in che cosa questa libertà consista è tutt'altro che pacifico. E' certamente libertà, rispetto ai tempi passati, la possibilità di essere cittadini al pari di chiunque altro nei Paesi della Diaspora, come è libertà avere nella Terra dei Padri un Paese che possa definirsi ebraico. Ma è realizzata la nostra libertà quando allo Stato ebraico viene contestato il diritto di esistere? E' realizzata quando un Paese libero, nella libera Europa, vieta ai cittadini ebrei di avere carne kosher? La libertà è solo quella di esistere, o della libertà di esistere fa parte la libertà di autodefinirsi attraverso quanto di più peculiare esiste, ossia il rapporto dell'Ebreo, singolo o collettività, con il Dio della rivelazione?
«Io sono l'Eterno vostro Dio, che vi ho tratto fuori dalla terra d'Egitto per essere per voi il Dio
»; questa citazione dal quattordicesimo capitolo dei Numeri che l'Ebreo recita quotidianamente due volte, sera e mattina, afferma che la vera libertà è quella di servire Dio alla nostra maniera, in altri termini essere veramente noi stessi, come noi stessi ci definiamo.
Questa libertà deve essere raggiungibile da ognuno, ebreo o non ebreo. Eliminare il lievito dalla nostra vita per questi otto giorni significa simbologicamente eliminare da noi ogni rigonfiatura o sovrastruttura che ci impedisce di essere noi stessi, «al naturale»
. Una vita così vissuta dovrebbe essere aspirazione di ogni persona e ogni popolo. Tutto sta cominciare. Eliminiamo le sovrastrutture inutili, e buon Pesach!".


TOTALE ASSENZA DI LIEVITI

Charoset
"Dolce" tipico di Pesach, frutta fresca e secca ed altri ingredienti a piacere. Non esiste una ricetta con ingredienti fissi, via libera alla fantasia e al retaggio di tradizioni; si serve al cucchiaio, sull'azzima o con i biscottini, con il sedano, durante e a fine pasto:

500 g di mele, 500 g di pere spine, 1 kg di datteri, 1 kg di mandorle dolci, 250 g di zucchero
Buccia di arancio grattugiata a piacere.
Lessare le mandorle, sbucciare e macinare. Cuocere leggermente nel fuoco le mele, le pere e i datteri (ricordarsi di togliere il nocciolo per rispetto dei denti). Aggiungere le mandorle e lo zucchero e lasciar bollire per un paio di ore. Versare in un recipiente e spolverizzare con cannella.


Soufflè di Azzima
4 azzime, 5 uova intere, 65 g di mandorle, 125 g di zucchero
Mele a tocchetti, uvette e un pizzico di sale
Mettere a bagno le azzime e poi strizzarle, aggiungere il rosso d'uovo, le mandorle, lo zucchero, i pezzetti di mela, le uvette ed il sale, mescolare bene il tutto, aggiungere per ultimi gli albumi d'uovo montati a neve.
Ungere un recipiente di porcellana con margarina, mettervi dentro il composto e cuocere per un'ora in forno tiepido. Servire con marmellata di Pesach o Charoset.


Torta di noci e mandorle

100 g di mandorle e 250 g di noci tritate, 8 rossi d'uovo, 8 albumi montati a neve, 1 cucchiaio abbondante di azzima pesta, 300 g di zucchero, scorza di arancia e limone grattugiata.

Sbattere ben i rossi d'uovo con lo zucchero, aggiungere poi gli altri ingredienti e per ultimo le chiare montate a neve.

Cuocere a forno, pre-riscaldato a 180° per mezz'ora in una teglia unta e foderata di carta oleata, pure unta.


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