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Il manifesto dei sindaci veneti per una maggiore giustizia e autonomia fiscale

Di Redazione VicenzaPiù Giovedi 3 Aprile 2014 alle 14:33 | 0 commenti

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Di seguito pubblichiamo il "Manifesto dei sindaci veneti" inviato all'Anci nazionale per la convocazione dell'ufficio di presidenza e che verrà portato di fronte al Governo. Il manifesto è introdotto da una lettera di Giorgio Dal Negro, il presidente di Anciveneto, e indirizzata a Piero Fassino e a tutti i sindaci veneti.

Care Colleghe, Cari  Colleghi,

        negli ultimi tre anni  la nostra Consulta Finanza Locale ed il nostro Direttivo si sono occupati dei temi della finanza  locale.

       Dopo vari incontri a livello Nazionale si è pervenuti unanimemente alla individuazione di alcuni punti essenziali per una risposta concreta ai nostri Comuni.

        Il Documento poi è stato integrato da incontri con  gruppi di Sindaci che hanno condiviso i contenuti.

        Vi trasmetto in allegato il documento approvato all’unanimità chiedendoVi anzitutto di sostenerlo presso i Sottosegretari ed i Parlamentari Veneti ed informandoVi nel contempo che, nei prossimi giorni abbiamo promosso un incontro con gli stessi per verificare il loro appoggio alle nostre richieste.

        A Te caro Presidente  chiediamo un forte sostegno dell’Associazione anche presso la Presidenza del Consiglio Dei Ministri.

        Resto in attesa di ricevere una Vs. assicurazione in merito e, con l’occasione, Vi rinnovo il saluto.

    

Il PRESIDENTE

Giorgio Dal Negro

 

MANIFESTO DEI SINDACI DELLA REGIONE VENETO

 

I Sindaci della regione Veneto riuniti nell’Anciveneto vogliono rappresentare al Governo centrale la situazione finanziaria dei Comuni Veneti e formulare alcune proposte concrete per superare l’ormai insostenibile sistema di finanza locale.

Da parte dei Sindaci emerge la necessità di procedere uniti, per il bene del territorio, senza divisioni politiche, puntando ad ottenere il risultato su alcuni obiettivi ritenuti essenziali.

E’ quindi necessario stabilire degli obiettivi a breve da inserire fin da subito come emendamenti nel cosiddetto decreto legge “salva Roma” appena approvato dal governo e altri da inserire nei disegni di legge approvati dal governo in materia di finanza locale su obiettivi più articolati e complessi.

Tra quelli a breve da inserire come emendamenti in sede di conversione del decreto sopra citato rientrano:

1)      Fondo perequativo comunale legge n. 42/2009 regionalizzato;

2)      Esclusione dal patto di stabilità di tutte le spese di investimento inerenti la messa in sicurezza e l’adeguamento dell’edilizia scolastica;

Viene proposto il seguente percorso, al fine di allargare il fronte ed avere maggiori possibilità di successo nel momento in cui si dovrà interloquire con il Governo centrale, per raggiungere alcuni specifici e concreti obiettivi:

a)        condividere le proposte anche con i rappresentanti dei partiti politici a livello provinciale al fine di non indebolire le richieste che in modo unanime sono avanzate dai Sindaci che sono direttamente e quotidianamente in contatto con i problemi delle comunità locali e del proprio territorio;

b)        coinvolgere il Presidente della Giunta Regionale Veneto il quale, insieme all’Anciveneto, apra un negoziato con il Governo Centrale;

c)      impegnare i sottosegretari ed parlamentari a proporre e sostenere gli emendamenti conseguenti e concordati tra il Presidente regionale e l’Anciveneto con il Governo centrale.

 

LE RAGIONI DELLE RICHIESTE

La premessa politica

I Sindaci della regione Veneto, in nome e per conto delle Comunità da  essi rappresentate, denunciano la ripetuta violazione formale e sostanziale della Costituzione commessa dallo Stato, la cui azione legislativa – discostandosi dalla lettera e dallo spirito della carta fondamentale – ha progressivamente reso insostenibile la situazione economico-finanziaria degli Enti Locali, compromettendone la capacità di garantire i servizi minimi ai Cittadini e recando pregiudizio persino agli investimenti (in teoria irrinunciabili) per la sicurezza scolastica e viabilistica.

Negli ultimi anni, all’aumentare della pressione fiscale statale è corrisposta una diminuzione dei trasferimenti ai Comuni fino alla loro sostanziale cancellazione. Ai Comuni stessi è stata concessa una parziale capacità di compensazione delle entrate attraverso l’aumento delle aliquote dei tributi locali vecchi e nuovi. Cosicché il prelievo fiscale elevatissimo, anch’esso ormai insostenibile per imprese e famiglie, rimane tutto nelle mani dello Stato, mentre ai Comuni viene chiesto di diventare gabellieri, poiché le nuove imposte locali sono diventate aggiuntive e non sostitutive di quelle nazionali (e per di più lo Stato pretende di comparteciparvi). In altre parole si paga il doppio per avere la metà, con una logica vessatoria nei confronti proprio di quei territori che più contribuiscono, da sempre, al bene comune nazionale, mentre continua a consumare troppo chi non produce adeguatamente.

In tal modo, i Comuni virtuosi si trovano fra l’incudine dell’opinione pubblica, che giustamente pretende risposte alle istanze dei cittadini – fra i quali ormai troppi sono ridotti alla povertà – e il martello dello Stato, che di fatto ha commissariato i Sindaci e i Consigli comunali, mettendone sotto un occhiuto controllo burocratico e giudiziale l’azione amministrativa. Fatto che ha segnato una involuzione autoritaria e antidemocratica dell’azione di governo e parlamentare. Eppure i Comuni tutti, anche i meno lodevoli, concorrono all’indebitamento generale solo con un 2,5% sul totale. È lo Stato la causa principale del dissesto del sistema paese.

Per queste ragioni lo Stato va messo sotto accusa, facendo leva sull’art 114 della Costituzione, così come esso è stato riformato nel 2001, con l’unico gesto di cultura giuridica assennato compiuto durante la seconda Repubblica. Esso recita letteralmente che la Repubblica è formata da Comuni, Città Metropolitane, Province, Regioni e Stato. In altre parole, gli Enti locali sono equiordinati allo Stato e non sue emanazioni. Ebbene, da ciò consegue che l’unità della Repubblica riposa nel corretto equilibrio fra le sue componenti e non coincide con l’unità dello Stato. Proprio lo Stato rappresenta oggi la più alta minaccia all’unità della Repubblica e per questo la sua azione va sottoposta al giudizio della Corte Costituzionale, poiché è cosa certa che i dispositivi delle finanziarie degli ultimi decenni hanno compresso l’autonomia finanziaria riconosciuta dalla Costituzione ai Comuni agli artt. 3 (parità di trattamento dei Cittadini), 5 (esigenze dell’autonomia e del decentramento), 117 (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali) e 119 (autonomia finanziaria e di spesa dei Comuni).

La compressione della capacità di spesa degli Enti locali, assieme all’ottuso cuneo fiscale praticato dallo Stato, è da considerarsi concausa della crisi perché la mancanza di investimenti strutturali nei territori concorre alla riduzione dell’economia degli stessi. È opportuno ricordare che la via italiana al capitalismo è quella che passa per i distretti territoriali, ove sussistono nella media e piccola impresa giacimenti di competenze pregiate. Solo i Comuni possono essere vicini a queste realtà e per questo i Comuni sono stati fra i motori principali dello sviluppo socio-economico dell’Italia, a differenza dello Stato e delle grandi imprese da esso assistite.

Gli elementi del contenzioso, sotto riportati, attengono: (a) il riconoscimento dell’autonomia finanziaria dei Comuni, con imposte che siano sostitutive e non integrative rispetto a quelle statali, (b) la regionalizzazione del fondo di solidarietà per mettere fine a meccaniche assistenziali dannose sia per chi cede sia per chi riceve, (c) eliminazione del patto di stabilità applicato ai Comuni per tutti gli investimenti legati alla sicurezza del Cittadino (in particolare scuole e strade) e applicazione dei morsi di tale patto alla spesa statale, come avviene negli altri paesi europei, (d) riconoscimento come base perequativa fra Comuni del criterio della spesa standard sia per il personale sia per i servizi (criterio a dire il vero comunque generoso nei confronti degli enti e dei territori in difficoltà), (e) disboscamento della normativa per la semplificazione e la trasparenza che in realtà ha complicato e reso indecifrabili le procedure.

 

I Sindaci della Regione Veneto, memori delle cause del naufragio di altre iniziative di protesta mosse dai Comuni e smontate dagli antagonismi parlamentari, esprimono la propria unitarietà sulle ragioni esposte nel presente documento e invitano le forze politiche a concorrere, in base alle proprie capacità, al perseguimento degli obbiettivi espressi dai primi interpreti delle esigenze delle Comunità di luogo.

 

Le motivazioni sul piano tecnico

1) Una diversa finanza locale

A)  E’ di fondamentale importanza che la finanza locale sia impostata sull’autonomia impositiva di entrate proprie stabili e certe nel tempo a partire dall’intero gettito dell’I.M.U nonché della TASI e dell’Addizionale comunale all’IRPEF ai Comuni, con relativa autonomia regolamentare, fermo restando che a livello nazionale venga fissato il solo tetto massimo dell’imposizione.

E’ impossibile per i nostri Comuni continuare a mantenere una finanza locale ancora fortemente condizionata (in positivo o in negativo) dai trasferimenti statali come evidenziato dall’indagine dei bilanci dei Comuni, (e per lo più ancora costruita sulla spesa storica di cui ai famosi decreti Stammati del lontano fine 1979-80).

B)  Fondo perequativo comunale legge n. 42/2009 regionalizzato.

Attualmente il dare e l’avere del singolo Comune rispetto al provvisorio Fondo di solidarietà comunale che dovrà essere sostituito dal Fondo perequativo comunale previsto nella Legge delega per l’attuazione del Federalismo Fiscale, è basato sulle vecchie regole (spesa storica) pesantemente penalizzante per i Comuni del Veneto.

L’ennesimo decreto salva Roma e altri Comuni ha suscitato rabbia e indignazione tra gli amministratori locali del Veneto per l’ulteriore condono a favore della mala gestione e a danno dei Comuni rispettosi delle leggi e dei vincoli di bilancio.

Questo metodo è una profonda ingiustizia ed è immorale perché consolida e incentiva lo spreco e la mala gestione finanziandoli a carico dei Comuni virtuosi.

Questo finisce per DERESPONSABILIZZARE completamente gli Amministratori nel corretto governo delle risorse pubbliche.

Si ottiene così che coloro i quali hanno una spesa inferiore alla media, Comuni del Veneto, sono penalizzati rispetto ai Comuni che hanno una spesa sopra media perché devono versare al fondo di solidarietà (in realtà fondo dell’assistenzialismo e dello spreco storico) quota parte delle proprie entrate.

Chiediamo, pertanto, fin da subito che il fondo perequativo normato nella Legge n. 42/2009 (Legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale) venga regionalizzato e che venga subito concesso al Veneto, secondo una logica di geometria variabile (non si può sempre attendere che si parta quando tutti sono pronti, altrimenti non si partirà mai) di poter disporre di tale fondo e, quindi, di partire subito con l’applicazione dei fabbisogni standard e correlando la misura di tale fondo alla compartecipazione irpef così da tener conto delle capacità fiscali, in modo tale da poter anche fungere da best practices a livello nazionale.

Chiediamo quindi che il MEF e SOSE si mettano subito a disposizione dei Comuni Veneti per l’immediata istituzione del Fondo perequativo regionalizzato del Veneto e che SOSE fornisca tutto il necessario ausilio per l’implementazione, il monitoraggio, la verifica e l’adeguamento dei fabbisogni standard dei Comuni Veneti per l’attivazione del Fondo perequativo regionalizzato del Veneto, con immediata messa a disposizione dei dati fin qui elaborati e dei correlati risultati.

Chiediamo l’attivazione nell’ambito della Conferenza Permanente Regione Veneto Autonomie locali di un tavolo di regia per l’implementazione del Fondo perequativo regionalizzato del Veneto e per la fiscalizzazione anche dei trasferimenti regionali, così come previsto sempre nella Legge n.42/2009.

In subordine per i servizi dove non si sono ancora fatti i costi standard la distribuzione del fondo di solidarietà regionalizzato andrà fatta sulla base dei costi medi.

Inoltre chiediamo che lo Stato crei uno specifico fondo di solidarietà nazionale alimentato direttamente da risorse erariali derivanti dalla fiscalità generale, ad integrazione del fondo di solidarietà regionalizzato, per i Comuni che non hanno entrate proprie adeguate per garantire il livello essenziale dei servizi, fermo restando il rispetto dei costi standard.

2) Patto di stabilità

Premesso che chiedere l’esonero totale del patto di stabilità è impossibile anche per i vincoli posti da accordi europei, si propone quanto segue:

A)     Esclusione dal Patto di stabilità di tutte le spese di investimento inerenti la messa in sicurezza e adeguamento dell’edilizia scolastica.

Il legislatore da una parte impone delle severe norme per rendere sicuri gli edifici pubblici, dall’altra impone altrettanti rigidi vincoli finanziari che non permettono di fare nemmeno gli investimenti più urgenti, in quanto il Comune a seguito del mancato rispetto del patto verrebbe pesantemente sanzionato.

Si chiede pertanto lo sblocco del patto di stabilità in primis per la messa in sicurezza degli edifici scolastici e comunque per gli interventi indispensabili per la messa in sicurezza di altre strutture ed infrastrutture del territorio per coloro che hanno già sistemato le scuole.

In particolare gli interventi di efficientamento energetico andrebbero incentivati, soprattutto se realizzati con risorse proprie degli enti, perché investire in efficienza energetica significa alla lunga spendere meno in termini di spese di gestione e quindi in termini di spesa corrente ed in definitiva significa ridurre in prospettiva il prelievo fiscale.

B)      Graduazione dei vincoli del patto di stabilità sul fronte pagamenti per investimenti in proporzione al differenziale fra il livello di indebitamento di ciascun Comune rispetto a quello medio nazionale (attenzione può incidere e non poco la classe demografica, l’estensione territoriale, natura del territorio montano e il livello di infrastrutture).

 

C)  Esclusione comunque totale dalle regole del patto di stabilità per gli investimenti realizzati con risorse proprie derivante dall’avanzo di amministrazione o con altre risorse comunque non derivanti da indebitamento.

3) Spesa corrente

Dall’analisi presentata emerge che i Comuni del Veneto a seguito delle normative finanziarie degli ultimi anni hanno:

a.     ridotto la propria spesa corrente ben oltre le prescrizioni normative in materia di finanza pubblica che si sono succedute in questi ultimi anni di crisi economica;

b.    subìto un drastico taglio dei trasferimenti da parte dello Stato pur avendo concorso all’abbassamento dell’indebitamento

c.     il rapporto spesa del personale/abitanti è molto al di sotto della media nazionale.

L’intervento del legislatore con la riduzione lineare della spesa uguale per tutti, oltre ad essere profondamente ingiusta, sta mettendo a repentaglio i servizi essenziali nei Comuni del Veneto. E’ deleterio e alquanto irrazionale il taglio lineare alle singole voci di spesa (personale, formazione, acquisto auto e loro manutenzioni, carburante, acquisto mobili ed arredi, ecc.).

Pertanto si chiede l’introduzione dei seguenti principi normativi:

A)  Limiti alla spesa del personale

E’ assurdo ed iniquo che i Comuni pesantemente sotto media nella spesa del personale abbiano gli stessi limiti alle assunzioni dei Comuni sopra media.

Si chiede il blocco totale delle assunzioni ai soli Comuni sopra media per fasce di abitanti nel rapporto dipendenti/abitanti e per gli altri Comuni la possibilità di nuove assunzioni fino al raggiungimento del suddetto parametro, bilancio permettendo.

B)   Riduzione e contenimento della spesa corrente e in particolare di alcune specifiche spese

Fermo restando l’obiettivo complessivo del contenimento della spesa corrente si ritiene più corretto e rispettoso dell’autonomia finanziaria e amministrativa prevedere una razionalizzazione della spesa corrente nel suo insieme, lasciando al singolo Comune l’individuazione delle misure correttive.

Eventualmente per la salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica potranno essere previste delle riduzioni di spese specifiche solo se superiori a medie nazionali o parametri in rapporto alla spesa corrente o al numero degli abitanti.

Questo perché i tagli lineari con percentuali uguali per tutti riferiti ad un determinato anno o periodo, penalizzano ancora una volta i Comuni virtuosi rispetto ai Comuni “spreconi”.

C)  Per maggiore trasparenza e al fine della compartecipazione agli sforzi di risanamento delle finanze pubbliche è necessario che i vincoli al patto di stabilità di parte corrente, come sono definiti per gli enti locali, vengano prefissati anche per le amministrazioni dello Stato e non lasciati alla libera decisione dei singoli ministeri.

 

 

4) Semplificazioni

I Comuni sono investiti da una serie di adempimenti complessi, imposti a teorici costo zero, che non riescono più a garantire. A fini esemplificativi ne citiamo alcuni:

1)      AVCPASS

2)      MePA

3)      Centrali di committenza per i piccoli comuni

4)      Trasparenza

5)      Anticorruzione

 

C’è inoltre una duplicazione assurda di questionari da inviare ad Enti diversi e di controlli (esterni Corte dei Conti, esterni ANAC, esterni/interni Revisori, esterni/interni OdV, Unità di controllo interno, ecc.).

Pur sottolineando l’importanza delle problematiche sottostanti ai provvedimenti citati si contestano le modalità di attuazione in quanto è tutto impostato su adempimenti formali, replicati a più livelli istituzionali, senza incidere in modo efficace sul piano della risoluzione dei problemi.

In particolare si ritengono prioritari almeno due interventi:

A)     AVCPASS non ritenerla obbligatoria perché, per come è impostata, si allungano i tempi medi della gara in un momento in cui sarebbe necessario semplificare le procedure per rilanciare gli investimenti.

 

B)     MePA è uno strumento assolutamente sproporzionato e con autentici paradossi per i piccoli acquisti nel rapporto costi benefici. Inoltre è necessario tener conto anche del mercato locale e delle attività produttive e commerciali locali, almeno entro certi limiti. Si propone pertanto la seguente soluzione:

 

1)  togliere l’obbligo del MePA per le spese minute (la soglia potrebbe essere 5.000,00 euro o altra da determinare);

2)  fino ad euro 40.000,00, MePA solamente come luogo di riferimento prezzi (come per le convenzioni Consip): se uno trova a meno va dove gli conviene;

3) obbligo MePA con richiesta di offerta per spese superiori.


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