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Il M5S e le truppe d'annacquo

Di Marco Milioni Lunedi 23 Settembre 2013 alle 17:20 | 0 commenti

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In provincia di Vicenza il M5S comincia a fare i conti con sé stesso e con l'incapacità di mordere nei confronti dei problemi che contano. E la tendenza pare confermarsi dopo la riunione degli attivisti a cinque stella di Vicenza e provincia di venerdì scorso alla biblioteca civica di Sandrigo. Durante la quale, oltre a dissapori vecchi e nuovi poco si è scritto dei temi caldi che scuotono la terra berica.

Eppure in provincia i cahiers de doléance non mancano. Dalla situazione dell'acqua e della salute nell'Ovest Vicentino alla crisi economica che morde in tutta la provincia; dalle magagne del polo unico sanitario si Santorso (in questo senso il M5S tra Schio e Thiene è letteralmente evaporato) sino alle rogne delle grandi infrastrutture come nuova Valsugana e Spv, dai problemi della A4 a quelli di sapore mafioso della Valdastico per finire con i mal di pancia sul caso villa Ghellini a Villaverla, il M5S avrebbe di fronte a sé una prateria ma invece dopo i proclami di battaglia che avevano caratterizzato la campagna elettorale per le politiche, i grillini sembrano aver rinunciato all'idea di presidiare il territorio e di preferire allo scontro un ripiegamento.

Quest'ultimo è spiegabile in vari modi. Da una parte gli attivisti, specie gli eletti, scontano una mancanza di cultura politica ed amministrativa in molti casi imbarazzante. Chi per la prima volta siede sui banchi di un consiglio o di una giunta dovrebbe farsi carico di uno sforzo doppio teso a capire testo e contesto. Perché, come ha spesso ricordato Massimo Fini, se hai deciso di ribaltare la casa dall'interno devi padroneggiare tecniche e linguaggi altrimenti i soggetti che hai additato come casta, poiché conoscono la macchina meglio di te, finiscono per imbrigliarti ad ogni piè sospinto.

Ancora il M5S nel Vicentino sconta un deficit caratteriale enorme. Basta un acuto da parte dei vecchi rappresentanti dei partiti (Pd, Pdl o Lega non importa) o un vago sentore di citazione in giudizio e querela e l'attivista a cinque stelle, che sia in consiglio comunale, in un pubblico dibattito o in una discussione al bar abbassa subito la testa. Certo ci sono eccezioni, ma basta, per esempio la semimeschina figura rimediata dalla giunta di Sarego, che è di fatto rimasta a guardare mentre un gruppo di persone legate agli interessi della Belcogamma impediva, a metà aprile, al professor Gianni Tamino di portare avanti la sua analisi durante un incontro dedicato ai possibili rischi legati proprio all'impresa di Sarego. E ancora il M5S ha anche una nutrita schiera di rappresentanti in parlamento, che in quattro e quattr'otto avrebbero dovuto fornire agli attivisti risposte (e documentazione certa) sui dossier più delicati: Spv, nuovo tribunale di Vicenza, dati sensibili dell'Ulss 5, affire Koris, gassificatore di Arzignano. Questini di peso che giacciono ancora nei cassetti dei palazzi del potere. Cassetti che si sarebbero dovuti rivoltare come un calzino e che invece sono rimasti sigillati. Rimangono invece fortissime le diatribe sugli assetti interni, sugli assetti organizzativi, sui codici di comportamento tra i iscritti; roba da liceali brufolosi che poco hanno capito della gravità di quanto sta accadendo.

E poi c'è un dato culturale che emerge saltellando qua e là tra un banchetto, un'assemblea, un incontro o un dibattito. Fra i grillini vicentini, come quelli veneti peraltro, le parole d'ordine sono sempre più spesso, «moderazione», «calma», «sviluppo», «partecipazione», «condivisone». L'ascia di guerra che nell'inverno 2012 sembrava dovesse essere dissotterrata dagli amici di Beppe, almeno all'oggi, a guardarla da vicino è diventata uno stuzzicadenti.

Leggi tutti gli articoli su: Gianni Tamino, Belcogamma, M5S, koris

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