Goffredo Parise, gli Americani a Vicenza, la censura e un minestrone
Sabato 10 Dicembre 2016 alle 15:51 | 0 commenti
Il dattiloscritto de Gli Americani a Vicenza, come rivela un timbro dell'ufficio-pagamenti della Garzanti sul retro, fu consegnato da Goffredo Parise il 20 giugno 1958; in luglio la redazione de L'illustrazione italiana procedette al taglio del capitolo settimo (non avesse voluto pubblicarlo, l'autore l'avrebbe infatti semplicemente tolto dal fascicolo consegnato) su verosimile imbeccata dello stesso Livio Garzanti che pochi mesi dopo, memore dell'accusa subita di oltraggio al pudore per la pubblicazione del pasoliniano Ragazzi di vita, avrebbe imposto al nuovo romanzo di Parise Atti impuri il cambio di titolo in Amore e fervore. Gli Americani uscì così censurato nell'agosto 1958, e presto Parise passò il dattiloscritto all'amico Giorgio Lanza, che lo passò all'amico Pino Dato, che inavvertitamente lo imboscò fino al 2001.
Parise tenne per sé una copia-carbone, che però perse sicuramente prima del 1966: l'avesse infatti tenuta, avrebbe senz'altro inserito il capitolo settimo nell'edizione Scheiwiller di quell'anno, senza attendere per farlo l'Antologia del Campiello 1970.
Quanto alla perdita: fu smarrimento o invece un'altra consegna a terzi, come con Lanza? Sulla prima ipotesi non abbiamo indizi documentali, sulla seconda sì. Nell'Antologia del Campiello il racconto è preceduto da un'autopresentazione di Parise di aprile 1970, dove parlando dei tre souvenir lasciatigli dalla terra natia, dopo aver citato dialetto veneto e Palladio, si dilunga sul terzo: «una interminabile ouverture amorosa offertami gratis una primavera di circa venticinque anni fa da un usignolo nascosto tra i cipressi dei colli vicentini: e mai più udito. Pensai allora (il tour de force durò una mezz'oretta) se mai fosse possibile chiedere un appuntamento a un simile genio per gli anni a venire, da qualche parte nel mondo o anche, se necessario, non a questo mondo. Non dico per un successivo concerto ma almeno per un brevissimo stilema di riconoscimento: perché tutto non risultasse vano».
Circa venticinque anni prima era nata una relazione amorosa con Elsa Fonti che ebbe il suo nido segreto tra i cipressi di Montecchio Maggiore dove Elsa viveva (colli vicentini dunque, da non confondere coi berici) e la limitrofa rocca di Brendola proprio nel 1957, anno in cui Parise scrisse gli Americani e sposò Mariola Sperotti. La relazione continuò sussultoria fino al 1959, quando Parise propose alla Fonti di trasferirsi con lui a Roma, e dopo una lunga pausa riprese su basi diverse alla fine degli anni Sessanta. A testimonianza di quest'ultima fase amicale, rimangono un quadro di Mario Schifano donatole da Parise e la descrizione di un loro primaverile incontro veneziano alla voce Grazia dei Sillabari. La mia ipotesi è appunto che come spontaneo contraccambio l'usignolo-Fonti gli abbia reso la copia-carbone degli Americani, donatale a fine anni Cinquanta in ricordo di quell'estate (in situazioni analoghe, Parise avrebbe donato i manoscritti de Il prete bello e de Il ragazzo morto e le comete agli altri due suoi amori, Giosetta Fioroni e Omaira Rorato).
Uno potrebbe obiettare: la tua è solo un'ipotesi. Almeno però l'ho sviluppata sulla base delle copiose lettere di Parise ad Elsa, che le conservò e batté a macchina dopo la morte di lui con l'intento farle conoscere, com'è dichiarato in un'introduzione alle stesse di cui riporto dei brani (evitando di citare le lettere stesse per motivi legali): «Più lo respingevo, più lui insisteva, dicendomi che avevo troppe sovrastrutture. Aveva anche ragione. Un giorno entrò dalle Apolloni a Vicenza (un negozio sul corso) e comprò un gatto di feltro mettendomelo in mano con aria furtiva. Il giorno dopo me ne comunicò il prezzo. Mi regalò Il ragazzo morto e le comete, e poi fui costretta a mandargli un vaglia per l'importo, perché continuava a dirmi che mi aveva fatto un regalo di valore. Si offese per il vaglia ma lo incassò: cosa che non mancai di fargli notare. Anche io avevo un carattere pessimo. Era nel 1953-54. Non ne facemmo nulla e lui si mise con la Mariola Sperotti, che essendo ricca, di famiglia nota a Vicenza, che nuotava, andava a cavallo, era ciò che il suo fondo di snobismo desiderava di più [...]. Trovandoci in Piazza dei Signori il giorno di San Giuseppe 1957 [19 marzo], alla ennesima richiesta di Edo di fare un giretto con lui nel pomeriggio, io accettai [...]. Fu una bella estate, ad Asolo, a Venezia, a Torcello, anche sul Garda a Cisano da un suo amico [...]. Una volta arrivammo da Comisso sotto un temporale terribile, che bloccò un paio di volte la sua 500. Comisso ci fece vedere i suoi quadri - dipingeva al momento cardinali enormi e rossi - e ci lasciò nel seminterrato dove c'era un divano: entrato poi più tardi all'improvviso (ebbi l'impressione che avesse spiato dietro la porta), ci disse con occhio tondo che eravamo belli come due etruschi sul sepolcro. Diede ad Edo il manoscritto de La mia casa di campagna e mi ricordo ancora la bellezza delle pagine sul cielo delle stagioni. Alla fine di luglio ad Edo venne nostalgia della Mariola: sparì [...]. Una settimana dopo il suo matrimonio [celebrato il 29 agosto 1957] venne a cercarmi, ed a rapirmi nuovamente con il suo catorcio. Era disperato e sconvolto, e nonostante non volessi, lo riaccettai perché era la sola maniera per essere meno infelici». All'estate-autunno 1957 risale la stesura degli Americani...
Invece il castello di illazioni costruito nel 1987 da Garboli col patrocinio dell'erede Fioroni (e rinforzato ora da Scarpa) è basato sul si dice, esattamente come l'altro di dieci anni dopo riguardante L'odore del sangue, romanzo abbozzato da Parise nel 1979 poco dopo un infarto. Introducendo la prima edizione dell'Odore (Mondadori 1997), il critico appunto afferma che l'autore «disse prima di morire a Giosetta Fioroni [...] che alcune parti del romanzo erano buone, altre da rifare. Ma non riscrisse né ritoccò. Aveva riaperto il plico giusto in tempo per la sola rilettura. Di lì a pochi giorni fu portato in ospedale e dopo due mesi morì [†31 agosto 1986]». E da questa voce Garboli deduce: «Parise non ha distrutto il suo dattiloscritto, si è limitato a tenerlo nascosto per tanti anni. Vicino a morire, lo ha riletto e lo ha in parte approvato. Nessuno sa o può dire cosa ne avrebbe fatto se fosse vissuto più a lungo. Sicuramente ne avrebbe riconosciuto le sviste, le imperfezioni, le ripetizioni, gli errori, le incongruenze. Avrebbe corretto e modificato. Ma nessun editore ha il diritto di sostituirsi all'autore e di farne le veci. Il dattiloscritto che Parise ha consegnato alla posterità , senza curarsi di lasciare istruzioni ai suoi eredi, deve essere riprodotto così com'è». Peccato che le cose stiano altrimenti. Tra il 1980 e il 1981 un progressivo deterioramento del sistema vascolare costrinse Parise a quattro by-pass e alla dialisi, sicché pensò al testamento e il 16 giugno 1981 nominò l'amico Nico Naldini titolare unico dei diritti d'autore, aggiungendo in P.S.: «Nell'archivio di Via Vittoria c'è un abbozzo di romanzo: non deve essere pubblicato mai, ma distrutto: non ha forma, è delirante, ripetitivo, senza stile, insomma è un minestrone. Puoi leggerlo solo tu e decidere forse per qualche stralcio, che però non c'è». Al quinto piano di via Vittoria c'era il monolocale romano, sempre meno accessibile al proprietario; solo tu significa non anche la Fioroni; minestrone è minestrone.
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