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Ellero: «Su Andreotti Ambrosoli ha ragione e Maroni torto»

Di Marco Milioni Mercoledi 8 Maggio 2013 alle 23:00 | 0 commenti

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Quando ieri le agenzie hanno raccontato dell'uscita di Umberto Ambrosoli dall'aula del consiglio regionale lombardo durante l'ad memoriam dedicato a Giulio Andreotti scomparso due giorni orsono, la notizia è immediatamente rimbalzata sui media nazionali. Ambrosoli, consigliere regionale di punta al Pirellone, come racconta ilfattoquotidiano.it, non ha retto all'emozione giacché Andreotti in passato ebbe parole dure nei confronti del padre di Umberto, Giorgio, ucciso dai sicari incaricati da Michele Sindona nell'ambito dell'affaire Ambrosiano. Il governatore leghista Bobo Maroni ha espresso disappunto per il gesto del consigliere «ma Maroni ha torto marcio» spiega l'ex senatore del Carroccio Renato Ellero.

Professore lei è critico con Maroni, perché?
«Mi scusi, che cosa si vuole pretendere da Ambrosoli, ha avuto il padre ammazzato in quel modo e in un contesto ancora da chiarire per molti aspetti. Certi legami di Sindona col mondo politico vicino ad Andreotti sono noti. Anzi Ambrosoli ha sbagliato a non fare a pezzi il presidente della regione lombarda. Però ci vogliono gli attributi per farlo».

Ma che giudizio dà lei del senatore scomparso due giorni fa?
«Mettersi a tratteggiare su due piedi la figura di Andreotti non è cosa di poco conto. Si rischia la banalità. Certamente si può dire che sul piano politico l'uomo ha espresso un livello ed una intelligenza che oggi non è più nemmeno ipotizzabile nei due rami del parlamento. È stato astuto e realista a curare i rapporti col mondo arabo in modo che l'Italia non finisse nella centrifuga degli attentati di marca mediorientale. Lo dico da ex Dc e da ex senatore che lo ha conosciuto e che con lui ha avuto un rapporto improntato al garbo e alla cordialità».

La parte finale della sua vita è stata caratterizzata da diverse inchieste giudiziarie. Che idea si è fatto?
«È pacifico che soprattutto per i rapporti con cosa nostra prima degli anni '80 la prescrizione non abbia cancellato tutti i dubbi, anzi. Sul piano strettamente processuale non entro nel merito perché non avendo sotto mano gli atti sarei tacciabile di superficialità. Senz'altro non mancano le accuse per il periodo successivo all'80 che sono state smontate dalla difesa. Comunque Andreotti, a differenza di Berlusconi, i processi li ha fatti in tribunale; e chi è capace di leggere in filigrana queste vicende sa bene che l'assenza di una assoluzione piena gli sia costata moltissimo. Ricordo che in più di un’occasione Andreotti mi si presentò in senato con diverse carte del processo di Palermo e con altri documenti importanti. Mi chiedeva pareri, tra gli altri, sulla partita giudiziaria in corso con l’aria della persona afflitta che è in cerca di conferme rispetto alle sue convinzioni o speranze. Ed io ero imbarazzato. Da una parte ritenevo doveroso non calpestare il lavoro dei colleghi avvocati, dall’altra non volevo deluderlo essendo scortese. Ad ogni buon conto gli predissi in qualche modo l’esito del processo: condanna in primo grado ed assoluzione in secondo».

E lo fece sulla base di quali elementi?
«Ovviamente non posso dirlo anche per questioni di deontologia professionale. C'è però una considerazione politica da fare che in queste ore ho sentito poco o niente. Una considerazione su questioni arcinote».
Quale?
«Andreotti e la sua corrente i voti dalla mafia li hanno presi e come. E quindi la cosa non va ignorata come fanno quasi tutti».

Molti però, a partire dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, ritengono che sull'ex premier vada sospeso ogni giudizio affinché sia la storia a darne uno. Lei che dice?
«Aria fritta. È pur vero che occorre tempo per formulare un giudizio storicamente radicato, ma questo non significa che non ci si possa ancora interrogare sul personaggio. Come c'è una verità storica, c'è una verità giudiziaria, una politica, una sociale, una giornalistica. Chi dice "sospendiamo il giudizio" spesso lo dice per non fare i conti col proprio passato e con la propria coscienza».


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