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Anniversario trattati di Roma. Tradizione, alla radice delle radici: Marguerite Yourcenar e Mario dal Pra

Di Italo Francesco Baldo Sabato 25 Marzo 2017 alle 10:01 | 0 commenti

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Ospitiamo il tredicesimo articolo de La Voce del Sileno, rivista on line che "intende coinvolgere tutti coloro che hanno a cuore la ricerca filosofica, culturale e in modo indipendente la propongono per un aperto e sereno confronto", in occasione dell'anniversario della firma dei trattati di Roma per la costruzione dell'Europa unita e riflettendo sulla crisi odierna delle istituzioni europee dovuta alla mancanza di una vera forte identità di base, al di là delle differenze per ricordare dei maestri che hanno riflettuto sul continente europeo e i suoi valori.

Erano tempi belli quelli in cui l'Europa si riconosceva cristiana, ricordava all'inizio dell'Ottocento il poeta tedesco Novalis. Oggi l'Europa non solo dimentica le proprie radici, ma addirittura nega che uno Stato possa utilizzare simboli che non vengono graditi più dai giudici della Corte di Starsburgo che non dalla popolazione italiana.

Forse dobbiamo ridiscutere l'Europa così come si è venuta costituendo. E' dall'enciclica Slavorum apostoli del 1985, scritta da Giovanni Paolo II con riferimento alla sua lettera apostolica Egregiae virtutis del 1980 dove proclamavano i santi Cirillo e Metodio compatroni d'Europa insieme a san Benedetto, che il tema delle radici e della tradizione dell'Europa è d'attualità.

Il papa richiamandosi a quanto aveva scritto nel 1880 Leone XIII nella sua enciclica Grande munus, parlò per la prima volta in modo esplicito delle radici cristiane dell'Europa rilevando: "La loro - dei ss. Cirillo e Metodio- opera costituisce un contributo eminente per il formarsi delle comuni radici cristiane dell'Europa, quelle radici che per la loro solidità e vitalità configurano uno dei più solidi punti di riferimento, da cui non può prescindere ogni serio tentativo di ricomporre in modo nuovo ed attuale l'unità del continente."

Il papa polacco indicava anche la possibilità del futuro, dando una prospettiva nella linea della sua visione del mondo." Il futuro! Per quanto possa umanamente apparire gravido di minacce e d'incertezze, lo deponiamo con fiducia nelle tue mani, Padre celeste, invocando l'intercessione della Madre del tuo Figlio e Madre della Chiesa, quella dei tuoi apostoli Pietro e Paolo e dei santi Benedetto, Cirillo e Metodio, di Agostino e Bonifacio e di tutti gli altri evangelizzatori dell'Europa, i quali, forti nella fede, nella speranza e nella carità, annunciarono ai nostri padri la tua salvezza e la tua pace, e con le fatiche della semina spirituale dettero inizio alla costruzione della civiltà dell'amore, al nuovo ordine basato sulla tua santa legge e sull'aiuto della tua grazia, che alla fine dei tempi vivificherà tutto e tutti nella Gerusalemme celeste. Amen"
Non vi sarebbero problemi se il concetto di radici cristiane dell'Europa fosse unanimemente accettato e considerato valido. La realtà è invece ben diversa e di ciò se ne era fatto avviso più di due secoli fa il poeta tedesco Georg Philipp Friedrich Von Hardenberg, noto con lo pseudonimo di Novalis con il suo Cristianità o Europa (a cura di A. Reale, Milano, Rusconi, 1995, p.71).

Egli fu il primo, ma la sua è una visione nostalgica, quella che rimpiange tempi mitici: "Erano tempi belli, splendidi, quando l'Europa era un paese cristiano, quando un'unica Cristianità abitava questa parte del mondo plasmata in modo umano; un unico, grande interesse comune univa le più lontane province di questo ampio regno spirituale."

All'epoca della sua stesura, il saggio del poeta tedesco non fu apprezzato nemmeno da Goethe e certamente anche oggi la riflessione del poeta tedesco non è presa in considerazione, nonostante che gli ultimi capitolo, a partire del ventesimo, indichino una prospettiva di soluzione. Questa è l'Europa unita:" Se l'Europa volesse risvegliarsi; se ci attendesse uno Stato composto di Stati, una dottrina della scienza politica! Dovrebbe, ad esempio , essere la gerarchia, questa figura fondamentale simmetrica degli Stati, il principio dell'unione degli Stati come intuizione intellettuale dell'Io politico." (Ivi, p.121) Accanto alla dimensione politica però per Novalis solo la religione può risvegliare l'Europa, perché "Scorrerà sangue fino a quando le nazioni diverranno consapevoli del loro spaventoso delirio [...] Solo la religione può risvegliare l'Europa e dar sicurezza ai popoli e insediare la Cristianità, visibile sulla terra, con nuova magnificenza nel suo antico ufficio di operatrice di pace." (Ivi, p.123).

Religione e ragione per Novalis possono risolvere il problema dell'Europa, e, nonostante egli sia considerato un unicum, in realtà egli, pur con differenze, ha avuto un seguito preciso, perché la sua analisi della malattia dell'Europa è individuata nei due cardini, la religione e la ragione.
In questa direzione anche A. Rosmini, che quasi 40 anni dopo ritornò sul tema nel suo Della sommaria cagione per la quale stanno o rovinano le umane società (Milano, Pogliani,1837), là dove sostiene (p.70) che solo in comuni principi di giustizia, di fede e di religione l'Europa potrebbe essere unita.
Sono questi piccoli segnali, ma non unici, ad essi andrebbero affiancate altre riflessioni comparse nel ventesimo secolo e che costituiscono punti di riferimento precisi proprio per approfondire il tema delle radici. Se, infatti, andiamo alle radici delle radici dell'Europa, allora non solo troveremo la tradizionale, seppur variamente impostata, ricerca di rivitalizzare il cristianesimo, ma troveremo anche riflessioni nuove e originali, che individuano la malattia di cui è affetta l'Europa e ne indicano il rimedio.
Benedetto Croce e Mario Dal Pra, rispettivamente con Perché non possiamo non dirci cristiani e Necessità attuale dell'universalismo cristiano, il primo pubblicato nel novembre 1942, il secondo nel gennaio 1943, rappresentano la prospettiva che solo il cristianesimo può essere un via di salvezza ai tempi lacerati e sanguinosi del secondo conflitto mondiale. Marguerite Yourcenar fin dal 1929 con il suo Diagnosi dell'Europa si presenta invece con una meditazione breve, ma intensa sul problema della crisi europea, individuandone la causa e indicando anche la prospettiva senza fare riferimento al cristianesimo. Così anche in questa linea è collocabile l'abbozzo del testo, lasciato però incompiuto, di Edmud Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, pubblicato postumo nel 1954.
Concentreremo il nostro interesse particolarmente sulle opere della Yourcenar e di Dal Pra, perché meritano di essere conosciute accanto a quella famose di Croce e di Husserl, la prima perché è anticipatrice e fornisce una linea che altri non hanno saputo percorrere e che solo oggi emerge in qualche contesto, in altre parole il problema dell'intelligenza europea e non solo la sua religione.
Digressione botanica
Quando i giardinieri e i loro aiutanti iniziano a preoccuparsi delle radici di una pianta secolare, il problema è molto grave e denuncia in genere due condizioni. La prima, la pianta stessa ha concluso il suo ciclo biologico e si avvia alla fine, che avverrà in breve tempo; la seconda, la pianta non è più capace oppure e troppo lenta ad assorbire gli elementi che la vivificano. Nel primo caso non vi sono in genere molte soluzioni, salvo quella di tentare un rinnovamento attraverso alcune parti della pianta stessa, attraverso rizomi, o, ultima frontiera, la clonazione. Tutti questi tentativi possono anche non dare risultati, data la difficoltà che esiste sempre nella riproduzione. Nel secondo caso si tratta in primo luogo di effettuare una diagnosi precisa per individuare possibili soluzioni e dare nuova vita, senza però che la cura stessa non sia o non si riveli nociva per la pianta stessa.
I giardinieri in ogni caso sono sempre molto preoccupati per l'individuazione delle cause scatenanti lo stato di crisi della pianta, perché non sanno sempre quali saranno gli effetti delle loro cure, dovendo prendere in considerazione una serie di "medicinali" da somministrare alle radici stesse per il possibile rinvigorimento. Il punto più rilevante in quest'operazione, per ricorrere al linguaggio della medicina, è comunque quello dell'anamnesi, ovvero delle cause che hanno portato a quel determinato stato proprio la piante e le sue radici. La successiva formulazione della diagnosi, consentirà di poter indicare i farmaci ed infine, come fa ogni buon medico, che pure opera in scienza e coscienza, affidarsi alla speranza che il trattamento posto in essere per la guarigione si riveli efficace e non si evidenzino altre magagne o non insorgano, nel frattempo, altre e magari più gravi malattie.
Un processo complesso quello dei giardinieri che richiede attenzione e fiducia nella guarigione, solo così la possibilità della salvezza della pianta, attraverso la cura delle radici, potrà essere assicurata. Se, al contrario, gli stessi giardinieri mostrano disaffezione o noncuranza o addirittura ritengono che non sia più il caso di intervenire, anche senza espletare alcun tentativo, allora la pianta fin dalle radici è destinata a morte certa; una morte voluta, per abbandono e magari con la segreta speranza che si potranno seminare nuove piante, che con il tempo cresceranno e daranno nuovi frutti. La coltivazione di nuove piante, sappiamo, è difficile e non sempre, anche per problemi ambientali, di adattamento queste cresceranno rigogliose e soprattutto nei primi tempi, molti giardinieri e soprattutto molti aiutanti dei giardinieri resteranno senza lavoro.
Mia madre, esperta giardiniera, curava con particolare attenzione e anche affetto le proprie piante, perché, diceva, ad esse bisogna anche parlare, capire dove e perché soffrono e preparare per tempo le cure possibili con dedizione e attenzione. Se si trascurava una pianta, una veloce cura, poteva risolvere il problema, ma era sempre la tenerezza e il bene che lei voleva alle piante, garantiva la riuscita dell'impresa.
L'Europa è quella pianta secolare di cui parlavamo sopra e che per vari motivi oggi non è certo nel pieno della sua floridezza, anzi vi sono segnali inequivocabili della sua veloce decadenza, la cui causa prima pare sia da individuare nella senescenza delle sue radici. Al suo capezzale si affannano, da quando si è scoperto il problema, numerosi, ma non tutti i giardinieri.

Tra i primi giardinieri accorsi al capezzale dell'Europa, Marguerite Yourcenar appare come la più originale, perché individua con rigore la malattia. Formula la diagnosi, senza preoccuparsi di mascherarla, ma andando dritta, si potrebbe quasi affermare che non opera come il medico pietoso, che narra una bugia pietosa senza nemmeno avvedersene, tanto è abituato a mascherare la verità. Con rigore dicevamo; infatti, la prima frase del breve saggio è la diagnosi stessa: "L'Europa moderna è minacciata da atassia locomotrice" e prosegue oltre "E' molto tempo che essa è malata."

Con chiarezza individua la specificità dell'Europa: "Chi volesse definire la fede dovrebbe rivolgersi ai semiti; il misticismo ha assunto la sua forma più perfetta nei saggi indiani, tutti rapiti in estasi; e la morale sotto tutti gli aspetti, dall'onore militare fino al cerimoniale mondano, non è mai stata codificata meglio che dall'Asia gialla, nel Giappone dei samurai, pervaso di eroismo guerriero. L'intelligenza allo stato puro non esiste che tra il Baltico e il mare Egeo - una linea congiunge Königsberg con Atene (ultimo corsivo nostro). Acclimatata altrove, essa conserva il suo marchio d'origine. Chi l'acquisisce si europeizza. Tra l'Asia, cuore immenso, e l'inesauribile matrice africana, l'Europa ha la funzione di un cervello." (Diagnosi dell'Europa, in ID,Opere. Saggi e memorie, Milano, Bompiani, 1992, p.1883)
Però prosegue la Yourcenar "la ragione europea è minacciata di morte, la precarietà della sua esistenza l'ha portata a questo stato, lo spirito europeo che si poteva permettere perfino la capacità di uno scetticismo assoluto di fronte alle cose, altro non era che una ricerca di sicurezza".

La ventata, giudicata positivamente, del libero intellettualismo "che precedette e generò la Rivoluzione" portò lo stesso spirito ad iniziare a cedere, tanto che la catastrofe del primo conflitto mondiale altro non è che il tragico esito di tutto ciò. Frutto di un individualismo che ha trovato nell'utilitarismo morale e nella riduzione dell'attività umana all'economia una sua ragione, ma una ragione distruttiva, tanto che "I cervelli mal preparati, vacillano sotto la diversità delle conoscenze, i quadri della cultura, a forza di allargarsi, si sono spezzati. [...] Oggi, il prodigioso sforzo divulgativo del libro e del giornale, sempre affrettato, spesso maldestro, permette all'inesperienza della massa l'illusione del sapere universale."

Così "l'anima abbandonata all'imprevisto delle sensazioni, e smette persino di coordinarle, lo spirito, alla ricerca disperata di un'etica, non arriva che all'igiene sportiva. In entrambi i casi, il corpo, per reazione trionfa. Tutti, ognuno a suo tempo, ricorrono agli anestetici mistici. Ci si domanda che cosa avrebbe pensato di tale misticismo il solido cristianesimo del passato". Paradiso: ma artificiale. "frutto di una morale che s'improvvisa."(Ivi,p.1885 e 1886)
Le conseguenze sono sempre più gravi, l'abbandono dello spirito della ragione all'utilitarismo, al vantaggio del quotidiano, che invecchia nel momento stesso in cui lo s'insegue. Così la nostra civiltà oscilla tra "il materialismo greve della maggioranza contrapposto al folle idealismo della minoranza, l'umanitarismo delle crisi cruente, e le raffinatezze che sono gli abbellimenti dell'usura - tutto il patetico dell'irreparabile."

Tutto ciò condito dalle riflessioni di impiegati dell'amletismo di maniera, intellettuali pronti ad essere al servizio del primo ufficiale pagatore, dove il sant'oro è divenuto il certo vantaggio da non dichiarare, soprattutto all'Ufficio delle imposte, ma che spinge ogni cosa. Così l'arte "una volta lenta elaboratrice, si specializza nell'istantaneo. Si può dire che lo spirito europeo acquisisca, negli ultimi anni del secolo XIX, la sensibilità di una pellicola cinematografica."(Ivi, p.1888)

Una nevrosi che denuncia l'indebolimento della ragione e delle sue radici, quelle radici classiche che sono entrate nello stesso cristianesimo. A tutto questo, come sostiene la Yourcenar, nella Nota aggiunta al testo nel 1982 "la tragedia ecologica, i crimini politici mostruosi, i genocidi compiuti da ogni paese; il naufragio delle culture considerate come centrali; la spaventosa ondata di in cultura causata dai media e rafforzata da un senso di inutilità e di "a che pro"?(Ivi, p. 1890)
Un quadro triste quello analizzato dalla scrittrice, che individua nel pensiero europeo solo un'astuzia, un'agilità per il vantaggio, ma dimentica la saldezza del pensiero di cui invece erano forniti Goethe e Leonardo da Vinci. Inoltre "la limitata istruzione aristotelica e cattolica del passato ha formato più di uno spirito libero, una qualità vi compensava le lacune, testi poco numerosi, venerati, invariabili, ingegnavano almeno il metodo [...] Oggi, il prodigioso sforzo divulgativo del libro e del giornale, sempre affrettato, spesso maldestro, permette all'inesperienza della massa l'illusione del sapere universale. Dimenticando che la disciplina della ricerca, per la cultura dello spirito, importa quanto i risultati trovati, e talvolta di più, la massa che si è precipitata in questo laboratorio aperto, salta a piè pari il metodo per raggiungere le formule. Per disgrazia, queste, brutalmente utilizzate, ma semplificate in affermazioni, passate dal mondo del pensiero puro a quello delle applicazioni circostanziali, si deformano. Si pensa ai delicati strumenti di fisica impiegati negli usi della vita corrente. Finanza, politica, storia, letteratura di tutti i tempi, di tutte le razze: il cervello europeo, nel XX secolo, s'ingorga come i crocicchi." (Ivi, p.1885).

Una diagnosi impietosa, precisa e puntuale, che mostra come l'Europa si sia ridotta a puro strumentalismo e utilitarismo, tanto che "Alcune intelligenze assimilano queste pensanti materie; la maggior parte si mutano in registratori; altre, e non delle meno sane, le vomitano. Mai l'intelletto ha mostrato, davanti alla brutalità dei fatti, tanta stanca passività." (Ivi, pp.1885-86).

E' "certo - afferma la scrittrice - che i nostri successori pagheranno questo dispendio nervoso" (Ivi, p.1889). Tutto ciò perché all'Europa fa ormai difetto l'intelligenza e ha dimenticato se stessa, la sua identità per inseguire facili mode, vantaggi immediati e confusioni e modelli pseudo-multiculturali nei quali s'annega il suo pensiero " al fuoco d'artificio finale di un mondo"(Ivi, p.1889). La ragione non più eroica, ma addormentata nel solo cervello di ogni singolo alla deriva, sicuro di essere l'io. E' Max Stirner il grande profeta di tutto ciò e la sua visione della libertà: "Io assicuro la mia libertà contro il mondo in ragione di quanto essa mi rende padrone del mondo, qualunque sia il mezzo che mi offre per conquistarlo e farlo mio: persuasione, preghiera, ordine categorico o anche ipocrisia, astuzia ecc."

Da ciò "Io constato che la mia libertà non è completa, allorché non posso imporre la mia volontà ad un altro (che quest'altro sia senza volontà, come una roccia, o un essere che voglia, come un Governo, un individuo ecc.); ma rinnego la mia individualità se abbandono me stesso ad altri, se credo, rinuncio, mi curvo, mi arrendo, per sottomissione e rassegnazione." (M. Stirner, L'unico, Casa Editrice Sociale, Milano, 1922, p.220).
Le radici dell'Europa, vista la diagnosi, sono destinate a morire, e non ci saranno nemmeno eredi, perché la convinzione dei suoi abitanti è che la loro stessa civiltà è esaurita: "La trepidazione della vita, le scosse trasmesse al cervello dalle brusche serie di vedute cinematografiche, l'esotismo dei viaggi, le ossessioni sensuali e le inquietudini finanziarie logorano al massimo i nervi di questa élite che non crede più nell'avvenire. Dalla pigrizia degli impiegati all'amletismo letterario, stessa stanchezza agitata, nel senso medico del termine, stessa angoscia." [...] scandendo le frasi rumorose e contrastanti di questa stupefacente agonia, la musica afro-mericana, passione improvvisa, trascina verso un mondo barbaro un mondo che ridiventa barbaro. (Ivi, 1888.89)"
Quest'analisi non ebbe grande successo, eppure proprio in quegli anni si consumava il destino europeo tra totalitarismi di ogni genere, che al grido di essere la salvezza del mondo, preparavano la più orrenda strage di corpi e di intelligenze. L'intelligenza europea, che almeno sapeva anelare alla pace, si disperdeva e talora finiva addirittura per essere organica proprio a chi preparava la fine. Così una nuova epoca di sofisti, epoca di falsi profeti vinse e solo pochi s'innalzarono sopra il brusio delle città per "celebrare la privazione, la pace interiore, l'umiltà, Dio." (Ivi, p.1887).
Con passo delle oche si levò forte in Europa la sua fine e quando fu ben compreso, era ormai tardi. Anche in queste circostanze si levarono le voci di uomini capaci di vedere un futuro diverso,migliore, se capace di comprendere le proprie origini.
In tale direzione nel 1941 fu proposto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi il Manifesto di Ventotene Per un'Europa libera e unita, un nuovo giardino nel quel i suoi alberi prosperassero alla luce di una visione unitaria: "Un Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l'era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l'attuazione, saranno crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita."
Con questa visione essi intendevano anche eliminare la prospettiva che un'Europa unita avrebbe dovuto fare a meno di ogni credenza religiosa e segnatamente di quella afferente alla Chiesa Cattolica: "La Chiesa cattolica continua inflessibilmente a considerarsi unica società perfetta, a cui lo stato dovrebbe sottomettersi, fornendole le armi temporali per imporre il rispetto della sua ortodossia. Si presenta come naturale alleata di tutti i regimi reazionari, di cui cerca approfittare per ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire il suo patrimonio, per stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e sull'ordinamento della famiglia. Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l'alleanza col fascismo andrà senz'altro abolito, per affermare il carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno essere ugualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei culti, e dovrà riprendere la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico".
A questo progetto socialista risposero altre prospettive politiche, tra cui ricordiamo il ritorno del Partito comunista, la nascita del Partito d'Azione, del Partito della democrazia cristiana. Quest'ultimo non propriamente ben accetto alla Santa Sede e in particolare a Pio XII, riteneva di doversi ispirare a quei principi sociali indicati da Leone XIII nella De communi re. Erano tutte soluzioni politiche, interessanti, ma avevano insito in sé solo una soluzione parziale, oggi diremo riduttivistica, quella politica appunto, che certamente non sarebbe riuscita a risolvere la complessità della malattia "Europa" secondo la diagnosi della Yourcenar né, come abbiamo compreso dopo, secondo la prospettiva di Husserl.
Altra era la prospettiva da percorrere e di questa ben si resero conto in Italia B. Croce e Mario Dal Pra. Il secondo non aveva nel 1942 né la notorietà del primo e il suo scritto Necessità attuale dell'universalismo cristiano (ultima edizione, Vicenza Editrice Veneta, 2005) non ebbe la risonanza del Perché non possiamo non dirci cristiani. Eppure Mario Dal Pra al tema stava lavorando con un importante e vasto saggio Valori cristiani e coltura immanentistica, che fu terminato nel gennaio 1943 (cfr. Prefazione) e pubblicato però solo l'anno dopo presso la Cedam di Padova.
Fin dalla sua prima pubblicazione Mario Dal Pra aveva segnato, sulla scia del suo maestro Erminio Trailo, un confine preciso con l'idealismo, allora imperante di B. Croce e G. Gentile, affermando la necessità di un realismo ontologico coniugato con una visione immanentistica. Il giovane filosofo riteneva necessario individuare nel mondo della vita e realtà il punto focale, che allora egli individuava in Dio. Non un Dio di sola ragione, ma un Dio d'amore (Il realismo e il trascendente, Padova, Cedam 1937, p.166), perché solo così il mondo perde la sua tragicità enigmatica ed oscura. Non a caso si dedica anche alla traduzione della Didaché (Vicenza, Tip.Com.le Editrice, 1938 e 1947²), oltre alla pubblicazione del saggio sul Scoto Eurigena, un pensatore capitale per il problema della libertà e vari altri saggi, anche educativi e didattici.
Con chiarezza Mario Dal Pra individua, sulla scia delle sue elaborazioni di allora, nel cristianesimo l'elemento caratterizzante la cultura: "Al cristianesimo si richiamano questi tendono a rimettere in chiaro il valore spirituale della persona umana" (Valori cristiani e cultura immanentistica , p.13). L'analisi si fa via via più approfondita e in relazione all'elaborazione di Dal Pra sull'immanentismo, egli sostiene che "ci si rivolge al Cristo, dunque, per diventare altrettanti Cristi, per ritrovare la radice e scaturigine prima della vera grandezza spirituale e, secondo essa, formare la personalità umana". (Ivi, p.26). Proprio la persona umana è il centro come prospettiva e scelta morale, che assunse tra il 1942 e il 1945 un'importanza fondamentale (cfr. M. Dal Pra, L'educazione della persona umana, in AA.VV., Aggiornamento e preparazione professionale del maestro. Vicenza, Off. Tipografica Vicentina, 1942, pp.1-48). Non a caso quasi al termine lo scritto afferma: "Con questa fede nell'idealità morale guardiamo positivamente alla cultura immanentitisca; e nel suo richiamo a Cristo ed alla buona novella vediamo e poniamo l'invocazione d'una rinascita morale, vicino al proposito di spenderci più generosamente per una più degna vita spirituale." (Valori cristiani, op. cit., p.107), che riecheggia, ci sia concesso, quanto Pio XII affermò nel Radiomessaggio natalizio del 1942 sullo Sviluppo e perfezionamento della persona umana: "Origine e scopo essenziale della vita sociale vuoi essere la conservazione, lo sviluppo e il perfezionamento della persona umana, aiutandola ad attuare rettamente le norme e i valori della religione e della cultura, segnati dal Creatore a ciascun uomo e a tutta l'umanità, sia nel suo insieme, sia nelle sue naturali ramificazioni."
Se nello scritto Valori cristiani e cultura immanentistica troviamo una precisa indicazione in merito alla "radice" che può risolvere il problema della situazione europea e mondiale di allora, è nel più breve testo Necessità attuale dell'universalismo cristiano, scritto tra il novembre e il dicembre 1942, che possiamo comprendere quale importanza il filosofo vicentino, dava alla visione universalistica del cristianesimo, che non è una dimensione ideale nella quale l'individuo si risolve nel tutto, ma immanente alla storia stessa, proprio perché il cristianesimo considera la personale interiorità di ogni uomo e la collega mediante l'amore alla sintonia con il mondo (cfr. Il realismo e il trascendente, op. cit., p.16).
Gli elementi che nella storia dell'Europa sono fondamentali, secondo M. Dal Pra sono il pensiero greco e la struttura politico-giuridica romana. Il primo, formatosi "sulla misura chiusa dello stesso mondo greco "finisce con l'assumere "un atteggiamento di esteriorità che necessariamente si circoscrive e si mitizza nell'oggetto, lo spirito si chiede il perché delle cose ed il perché de lo stesso spirito come partecipante il mondo delle cose; ma il greco non giunge ancora alla conquista dell'interiorità intesa come definizione del perché dello spirito e della sua sete di vita. Quando, nell'età dell'ellenismo, l'orizzonte della vita greca si allarga vastamente, la cultura greca si trova impreparata al nuovo compito" (Necessità, op,. cit., p.17).

Ma "L'esigenza di una rigenerazione spirituale dell'umanità, avvertita nei momenti più alti della cultura greca, divenne più chiara nella mentalità romana, che diede luogo ad un'espansione più duratura di quella di Alessandro, in quanto sorretta dal diritto e dalla legge, elementi più solidi e più adeguati ad un'azione universale. [...] L'elaborazione del diritto è indubbiamente un tentativo largamente riuscito di concretare il cosmopolitismo sempre più vivo nella coscienza pubblica; mentre la cultura greca, nella visione cosmopolitica s'era dispersa, quella romana si irrobustì e si consolidò."

Il limite però della visione universale romana fu nel suo fermarsi "alla prospettiva politica, alla trama dei rapporti terreni, alla gerarchizzazione degli interessi; il compito della romanità si esaurisce perciò nell'adorazione d'un padrone comune e nella costruzione d'un ciclopico e assorbente burocratismo, in cui l'individuo diventa elemento da inquadrare e non fiamma da accendere" (Ivi, p.19).

Né la cultura romana riuscì nell'intento di dare senso all'universalismo. "Le correnti più vivaci della spiritualità romana avvertirono ben presto l'angustia dell'ordine politico che si ritiene adeguazione perfetta dell'ordine morale. Seneca seppe trovare anche il motivo dominante della nuova esigenza, quando affermò Homo res sacra homini e quando chiese all'individuo, in ordine ai suoi rapporti cogli altri uomini: Ecquando amabis? Tuttavia l'idea nuova, atta a smaterializzare l'unità romana, a tradurla sul piano d'una più profonda spiritualità, fu enunciata soltanto dal cristianesimo." (Ivi, p20).

La nuova universalità, "affermata dal cristianesimo fu essenzialmente spirituale, proclamata cioè non in nome della legge, della norma legata ad un organismo politico, bensì in nome della stessa spiritualità della personalità umana. Conseguenza prima di tale universalità fu un rinnovato senso sociale che si espresse attraverso il superamento di tutte le barriere di razza, stata, o di classe, l'affratellamento di tutti i popoli, il riconoscimento della dignità dell'individuo, non in quanto padrone, o in quanto romano, o in quanto ricco, o in quanto nobile, ma semplicemente in quanto uomo. [...] Gli umili e i grandi si unirono nel nuovo vincolo e si chiamarono fratelli" (ivi, p.21).
Questo il senso dell'universalismo cristiano e proprio negli anni del secondo conflitto mondiale, quando ancora non si conoscevano gli orrori dei totalitarismo, Mario Dal Pra con la sua voce espresse un impegno, consapevole della malattia dell'Europa e del mondo e così espresse la sua "ricetta".

"Non c'è dubbio che è ben altro l'imperativo concreto in funzione del quale la civiltà cristiana si deve oggi aggiungere alla ricostruzione della vita dei popoli secondo libertà e giustizia, da quello che spinse il cristianesimo del primo secondo a concretizzare il cosmopolitismo del pensiero greco ed a scardinare, per ricostruirlo su basi più larghe profonde, l'imperialismo romano. Eppure la fiamma etica che deve saldare le forze storiche è la stessa: quella d'uni universalità che scende veramente alle radici dei valori individuali e collettivi, e che ritrovi pertanto quella base su cui è possibile l'intesa non soltanto tra tutti gli individui, singolarmente presi, ma anche fra le nazioni nella vasta ed intricata trama delle loro relazioni; e non tanto nel senso che si giunga a trovare faticosamente il punto d'un equilibrio meno instabile degli altri, ma risultante pur sempre d'un diagramma di egoismi sapientemente interazionati; quanto nel senso si instaurare un ordine etico che, sovrapponendosi e manovrando tutti gli interessi politici, li faccia materia d'una costruzione umana nobile e degna, rispondente al principio d'un ideale che vale per sé e che eleva tutti quanti se ne fanno servitori ed attuatori." (Ivi, pp.25-26).
Una prospettiva quella di Dal Pra che, pur da un angolo di una piccola provincia, come allora era Vicenza, sa respirare il senso delle radici e quando queste risultano ammalate, individuare, sulla scorta di un'analisi precisa e storicamente riferita (cfr. a p.24-25 quando parla del trattato di Versaglia (sic) che ha fornito "incentivo alla resistenza e a quindi ad un sempre più vasto esplodere della violenza" o quando comprende che la crisi dell'uomo europeo è la crisi dell'uomo cristiano, la "medicina".

Questa è il cristianesimo in una visione che sa coniugare il senso di Dio con l'interiorità umana, come faceva anche il grande Aldo Capitini (Elementi di un'esperienza religiosa, Bari, Laterza 1937 e Vita religiosa, Bologna, Cappelli, 1942). Quindi, un futuro della società umana che trae linfa delle proprie radici; per Dal Pra esse non sono ammalate, ma solo bisognose di cure per riprendere la capacità di trarre linfa vitale e dare all'Europa e al mondo una prospettiva di pace e sono le conclusioni proprio del saggio di Dal Pra che supera nuovamente l'idealismo crociano del Perché non possiamo non dirci cristiani. Infatti, conclude Dal Pra: "Per migliorare il mondo bisogna, come Cristo, vincere il mondo" perché "chi eleva se stesso, eleva con sé il mondo intero." (Necessità, op. cit.p.32).
Altre poi furono le vie percorse dal filosofo al termine del secondo conflitto mondiale, che lo portarono nella sua ricerca verso orizzonti vicini alle analisi del marxismo, ma sempre e comunque anche negli ultimi interventi, la sua prospettiva fu sempre quella che è l'individuo con il suo impegno morale a determinare la finalità del vivere comune (cfr. Pensare Milano. Intellettuali a confronto con la città che cambia (a cura di M. Bertoldini e Maria, Guerini, Milano, 1992).
Marguerite Yourcenar e Mario Dal Pra, due "radici" alle radici del problema delle radici dell'Europa. Due diagnosi diverse, ma ambedue attente a considerare che possibilmente solo con una riconsiderazione dell'intelligenza, del valore della legge, della fondamentalità morale della religione cristiana, l'Europa possa superare quell'atassia e quella negazione della dignità dell'uomo, che non le consente di vivere. Infatti, se è vero che, come afferma C. Azeglio Ciampi (L'unione europea di fronte alle sue responsabilità, in " Nuova Antologia" 140(2005), fasc.2235, p.148) "L'Europa allargata ha ormai lambito i limiti della sua identità culturale e storica; ma, se la geografia non consente di riconoscere in maniera certa i confini dell'Europa, lo spazio comune di principi, valori, regole espresse dall'Unione Europea è oggi ben identificato.", essa può essere proposta.

Se però l'Europa rimane inconsapevole di se stessa, incapace d'identità, è destinata a morire a divenire, come affermava O. di Bismark, solo un'espressione geografica. Può ben darsi che il movimento storico porti l'Europa ad altre prospettive, ad altre soluzioni, ma è proprio così negativo non ritenere che proprio quelle radici non possano essere anche una proposta positiva con la quale dialogare con altri continenti e altri popoli, culture e civiltà, al fine di dare una pienezza all'umanità che possa vivere, come sempre richiese Erasmo da Rotterdam, nella pace?


Italo Francesco Baldo
Coordinatore de "La voce del Sileno" Italo Francesco Baldo
Si chiede a tutti coloro che leggono questo articolo di diffonderlo ad amici e conoscenti.
I contributi vanno inviati al coordinatore all'indirizzo di posta elettronica: [email protected]


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