Adunata Alpini del 15-16 giugno: ieri le testimonianze di Pino, Innecco
Mercoledi 5 Giugno 2013 alle 07:58 | 0 commenti
Schio entra già nel clima dell'adunata degli Alpini del 15-16 giugno 2013 e lo fa dedicando, nell'aula magna dell'Istituto Tecnico Commerciale «De Pretto» la sera del 5 giugno 2013, una conferenza a più voci al ruolo del corpo, e più in generale dell'esercito italiano, negli anni tormentati della Resistenza (nella foto da sinistra a destra Enrico Pino, Luigi Dalla Via, Gianfranco Fincato, Domenico Innecco).
Quest'ultima intesa non solo come azione di bande armate irregolari nell'Italia del Nord, ma come un più generale movimento di opposizione al nazifascismo che ha coinvolto anche gli internati nei campi tedeschi e truppe regolari dell'esercito italiano.
Di queste parla in particolare, nel primo intervento, parla il Generale Enrico Pino, Comandante del Comando Militare Esercito «Veneto», che sfata quella che sarebbe dunque una leggenda, vera solo in parte, e che vedrebbe l'8 settembre 1943 come una «vergogna nazionale». È vero, dice il Generale Pino, che il comunicato diffuso da Badoglio l'8 settembre non brillò per chiarezza, ma è vero anche che autorizzava l'esercito italiano a contrattaccare qualsiasi altra forza militare nemica che lo minacciasse e che non fosse quella alleata: «chi aveva orecchie per intendere, intese», perché date le condizioni del momento, l'altra forza non poteva essere che quella tedesca, l'unica non alleata presente al momento in Italia. La scarsa chiarezza degli ordini forse non contribuì a mantenere saldo l'esercito, ma non è vero che quasi nessuno obbedì: secondo Pino la maggior parte dell'esercito, tolti alcuni che sposarono da subito la causa tedesca o mussoliniana e altri che rimasero in balia degli eventi, seguì il comunicato; questo in Italia come all'estero, dove interi reparti si batterono contro i tedeschi diventati improvvisamente nemici.
L'ultimo reparto dell'esercito si sciolse il 16 novembre 1943, dopo di che a Sud nacque un Primo Reggimento Motorizzato a fianco della 26° armata americana, che ebbe il battesimo del fuoco l'8 dicembre a Montelungo. Il Reggimento fu poi ampliato e col nome di Corpo Italiano di Liberazione seguì gli inglesi fino alla cosiddetta «linea gotica». Lì si smembrò in sei gruppi di combattimento, il primo dei quali fu il «Cremona». Si calcola che fra militari in Italia, all'estero e internati, il numero fosse più o meno di 700.000 unità e che circa 150.000 siano stati i morti.
All'intervento del generale Pino è seguito quello del Generale di Corpo d'Armata Domenico Innecco, Presidente della fondazione «3 novembre 1918».
Innecco ha rapidamente raccontato la storia della Divisione Garibaldi che combatté i tedeschi nei monti del Montenegro e poi venne imbarcata per la Puglia prima che potesse raggiungere Trieste. Dalla Puglia raggiunse Viterbo come 132° battaglione Garibaldi e ancora oggi i suoi eredi militari, quelli della tutt'ora esistente brigata Garibaldi dell'esercito italiano, portano come segno distintivo una cravatta rossa.
Poi ha raccontato per sommi capi la storia della brigata partigiana friulana cattolica Osoppo, formata in buona parte da alpini che avevano scelto la via della lotta armata in montagna. Nacque, come la controparte garibaldina, dopo la ritirata del 9° corpus sloveno sotto i colpi congiunti di tedeschi, reparti cosacchi e fascisti della Decima Mas. Rifiutò di sottomettersi al 9° corpo e per questo la sua dirigenza - tra cui il fratello maggiore del futuro poeta Pier Paolo Pasolini e uno zio dell'attuale cantautore Francesco De Gregori - fu eliminata.
Ha chiuso, raccontando brevemente la vicenda del padre Giovanni, Gianfranco Fincato. Il Colonnello Giovanni Fincato trovò la morte nelle carceri di Verona il 6 ottobre 1944, torturato dai fascisti. Solo il 25 aprile 1945 la moglie e i figli, che lo credevano invece deportato in Germania, scoprirono che in realtà il suo cadavere era stato messo in un sacco e gettato nell'Adige per disperdersi in mare e non essere mai più ritrovato. Fincato ra stato imprigionato perché facesse nomi di resistenti, che però mai pronunciò. Era nato a Enego (Vicenza) nel 1891 ed aveva ricevuto più medaglie nel corso della prima guerra mondiale, per poi intraprendere, fino al 1943, la carriera militare.
Dopo la guerra la vedova Carmela Cappellari concesse il perdono all'assassino del marito.
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