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Zingari, froci, negri e terroni: quando le parole a Vicenza e ovunque contano più dei diritti

Di Edoardo Andrein Martedi 28 Gennaio 2014 alle 23:24 | 0 commenti

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“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” diceva Nanni Moretti in una frase cult del film Palombella rossa datato 1989. Il dettagliato e arguto intervento (che pubblichiamo di seguito) di Francesco Paruta riguardo al termine “zingari” utilizzato nell’articolo intitolato “Il grido di dolore dei rom, dal campo di concentramento”, consente di riflettere sul modo di comunicare della nostra società.

Partendo dal presupposto che il termine giornalistico più usato “nomadi” è totalmente sbagliato e fuori contesto, Paruta critica la scelta di chiamare “zingari” i Rom e Sinti scrivendo che “usare un corretto linguaggio per definire la realtà di cui si parla è un primo passo per conoscerla e farla conoscere”.

È proprio questo il punto fondamentale della questione. Federica Zanetti nel suo libro “Educare alla cultura zingara. Itinerari attraverso i luoghi dell’incontro” sottolinea gli elementi comuni tra la cultura zingara esistente e la nostra, tentando un nuovo approccio alla questione degli zingari che sia all’insegna dell’incontro, cioè del riconoscimento vero della loro cultura, cercando magari anche di far convivere senza i problemi sorti in passato le famiglie Rom con quelle Sinti.

Ma un’altro interrogativo che sorge sul tema è: chi decide se il termine “zingari” deve essere considerato dispregiativo?

Durante il servizio civile ho avuto l’opportunità di conoscere ragazzi residenti nei campi Cricoli e Diaz che si autodefinivano zingari senza problemi; oppure ho sentito più volte vicentini gay che si chiamavano tra loro froci sorridendo divertiti; o ancora i testi delle canzoni dei rapper statunitensi sono pieni di autocitazioni con il termine negro; e infine, facendo riferimento all’esempio che fa Paruta, ci sono una moltitudine di personaggi famosi italiani che si autodefiniscono “terroni” con orgoglio.   

L'insulto non sta nella parola, ma nell'aggettivo sprezzante che può accompagnarla o nel tono con la quale viene pronunciata.

Forse sarebbe meglio cominciare a costruire una società meno attenta alle frivolezze linguistiche e più impegnata a garantire con azioni concrete i diritti a tutte le minoranze.

 

Gentile Edoardo Andrein, condivido il significato di fondo del suo articolo. Certo è più facile fare della politica-spettacolo che studiare seriamente i problemi, chiedere consulenza ad esperti disponibili a farla gratuitamente, avviare delle soluzioni serie e condivise dai diretti interessati (in questo caso i sinti e i rom dei campi "per" sinti e per rom). Ma ritorno sulla questione della definizione delle minoranze in questione: non è una banale formale, ma usare un corretto linguaggio per definire la realtà di cui si parla è un primo passo per conoscerla e farla conoscere. Intanto le propongo una domanda: perchè la regione Toscana non ha intitolato la sua iniziativa "Tavolo per l'inclusione degli Zingari"? Passo ad una seconda: su quali basi lei giudica "corretta" la definizione di "zingari" per denominare le minoranze dei Sinti e dei Rom? Ha mai letto qualcosa a riguardo nei lavori di Santino Spinelli o di Leonardo Piasere? Le posso anticipare che si tratta di una definizione che ha un significato solamente storico e che, nell'oggi, è gravemente connotato in senso dispregiativo. Troverebbe giusto usare il termine "terroni" per definire i pugliesi e i siciliani? Si ricorda come venivano definite le persone diversamente abili solo qualche decennio fa? Minorati, invalidi, handicappati, portatori di handicap... tutte denominazioni che via via sono state deformate dal disprezzo e dall'esclusione di cui erano (e sono) oggetto e che oggi nessuno più accetta. Quindi, gentile Andrein, sapendo che lei è in buona fede, non sostituisca il falsamente politicamente corretto "nomadi" con l'apertamente dispregiativo "zingari" ma, suvvia!, scriva sinti e rom: farà un servizio ai suoi lettori e anche a quelle persone che così si autodefiniscono e desiderano essere riconosciuti.

Con simpatia.

Francesco Paruta 


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