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"Voci di silenzio sottile": una giornata per guardare oltre la cella

Di Martina Lucchin Venerdi 27 Settembre 2013 alle 14:47 | 0 commenti

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Carcere, pene alternative e mediazione penale. Sono gli argomenti che hanno scandito questa mattina l’apertura di “Voci di silenzio sottile”, una “giornata speciale di conoscenza” organizzata nell’istituto Palazzolo di Vicenza dal progetto Jonathan. La casa d’accoglienza per detenuti che godono delle misure alternative al carcere ha infatti voluto aprire uno spazio di confronto tra la cittadinanza, esperti e addetti ai lavori per fare chiarezza su tutto ciò che riguarda il dentro e fuori le mura di una cella.

Le classi dell’Istituto Fogazzaro, numerose e attente durante gli interventi, hanno quindi avuto modo di sentire le preziose e alle volte spiazzanti testimonianze dell’ex direttore del carcere di Torino le Vallette Pietro Buffa, del docente di Teologia Morale Fondamentale e Speciale della Cattolica di Milano Leonardo Lenzi e della responsabile del U.e.p.e. di Vicenza Raffaella Bevilacqua accompagnata da Massimiliano, ex detenuto che ha scontato parte della sua pena attraverso l’affidamento ai servizi sociali.

Il principio ispiratore della mattinata è che “la pena è un fatto sociale che coinvolge tutta la collettività”. Per questo motivo Buffa ritiene che il sistema penitenziario italiano debba essere modificato in modo da adempiere effettivamente alla sua vocazione di rieducazione del reo, non abbandonandolo in una cella ma avviando un percorso di responsabilizzazione che possa mantenerlo come una parte attiva della società. I tasselli di unione tra detenuto e società sono costituiti proprio dalla pene alternative e dalla mediazione penale. Come spiega la dottoressa Bevilacqua sono 22 mila le persone in Italia che nel 2013 scontano la propria pena fuori dal carcere con effetti positivi lampanti. La recidiva per chi sconta gli ultimi tre anni di pena ai domiciliari, in semilibertà o altro è infatti del 19 percento. Il 70 percento di chi esce dal carcere ritorna invece a delinquere. Altro interessante strumento è la mediazione penale, uno spazio di incontro tra reo e vittima all’interno del quale entrambi i soggetti possano trovare un minimo di sollievo alla propria sofferenza. La vittima, che come ricorda Lenzi è in genere assente dai processi e poi dimenticata, può trovare risposta alle sue domande, tra cui la più frequente è “perché a me?”. Chi ha commesso il reato giunge invece a capire veramente il danno che ha provocato all’altra persona e infine a comprendere il senso della norma da lui violata. “La mediazione è un percorso che non ha a che fare con il pentimento ma con la ricerca della verità”, conclude il professor Lenzi. 


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