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UNESCO: Vicenza ha il compito di coordinare il comitato di pilotaggio del sito. Dal 2005 non si è mai riunito. Perché?

Di Francesca Leder Martedi 27 Giugno 2017 alle 07:07 | 0 commenti

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Siamo onorati di ospitare da oggi i contributi di conoscenza che Francesca Leder, prof.ssa di Urbanistica presso l'Università di Ferrara, darà ai nostri lettori sulle tematiche del sito UNESCO della nostra e sua città, pigra nel gestire non solo il suo patrimonio ma anche nel "pilotare", come suo compito, privilegio e opportunità, lo sottolinea questo primo "saggio", il «sito UNESCO "Vicenza e le ville del Palladio nel Veneto": sito seriale composto di 47 monumenti tra edifici e ville distribuiti in 6 province (Vicenza, Padova, Rovigo, Treviso, Verona e Venezia) e 21 comuni».

A Vicenza parlare troppo di UNESCO può far male. E allora dopo anni di silenzio, di mancanza di vera gestione del sito, di totale indifferenza per i luoghi la cui memorabile bellezza ha ispirato viaggiatori e letterati, di impoverimento culturale delle classi dirigenti suddite di contesti socio-economici sempre più aggressivi i quali propongono, e impongono, la costruzione di opere mediocri (spesso del tutto inutili) che impoveriscono il valore del bene (bene comune, bene di tutti), bisogna trovare il giusto dosaggio.

Le riflessioni vanno offerte in pillole perché la città, dall'indole forse troppo passiva, possa davvero capire che le sorti del sito patrimonio dell'Umanità, riconoscimento prestigiosissimo ottenuto a metà degli anni '90, non dipendono, come qualcuno vorrebbe far credere, dalle scelte di poche persone che confondono il loro mandato di amministratori comunali con quello di "padroni della città", ma dalla partecipazione dell'intera nostra comunità, dal suo impegno nel farsi custode del patrimonio culturale ereditato (degnamente? indegnamente?) per trasmetterlo, seguendo i principi dell'etica, alle generazioni future.
L'aggressione al patrimonio culturale e al paesaggio, non è una novità. Anzi è talmente conclamata che gli stessi studiosi del fenomeno hanno oramai il rigetto per il tema, per le parole spese, per i saggi e i volumi scritti sull'argomento, e ogni occasione di riproporlo suona a tutti un po' patetica. Il dato più interessante sembra essere la presa d'atto, al di fuori del contesto scientifico, del danno provocato al territorio. Dato cristallizzato nella recentissima legge regionale sul contenimento del consumo di suolo (LR 6/2017): un indirizzo politico tardivo ma che può essere comunque utile alle scelte in atto e future.
Non rappresenta più un tabù affermare, pubblicamente, che la cosiddetta "esplosione urbana" nel Veneto ha raggiunto livelli insostenibili. Lo stesso Corriere del Veneto, in uno speciale di qualche giorno fa (Ricostruire il Nordest, Corriere Imprese Nordest, lunedì 19 giugno 2017), parla di "era post capannonificio" la cui eredità (oltre 12 mila fabbricati vuoti) va imputata alla crisi ma anche alla "edificazione selvaggia, campanilistica e priva di programmazione".
Mi chiedo: priva di programmazione o programmata verso un'unica direzione, inesorabilmente autodistruttiva? Questo lo dico perché se si scorrono gli studi nel settore dell'industria delle costruzioni relativi al ventennio appena chiuso, così pure le politiche regionali che avrebbero dovuto contribuire a indirizzare diversamente la programmazione economica e territoriale, non si trova traccia di dubbi o di sostanziali ripensamenti.
Nel Nordest, e in particolare nel Veneto, la foga costruttiva/distruttiva ha raggiunto record inimmaginabili. Nella nostra regione infatti i dati raccolti da studi recenti contano aree produttive per circa 413 milioni di metri quadrati sui quali sono stati costruiti circa 110 mila capannoni (M. Aimini, Paesaggi del NordEst. Immagini e scenari Re-Cycle ai margini della pedemontana veneta, 2016). Per non parlare delle nuove espansioni di centri commerciali, delle infrastrutture (la Pedemontana è diventata oramai il simbolo della più recente devastazione) e delle nuove costruzioni residenziali.
A fermare la folle corsa è arrivata la scure della crisi economica del 2008: la chiusura di migliaia di imprese, le richieste di costruire crollate a picco e lo stock di capannanoni, costruiti e in parte nemmeno mai utilizzati, abbandonato a sé stesso. In città il dato si traduce in un alto numero di alloggi sfitti (i dati parlano di più di 7000 nel 2014) e di previsioni urbanistiche per nuove costruzioni che, stando così le cose, non rispondono certo al fabbisogno reale.
In questo quadro desolante di aggressione al bene collettivo (il territorio e il paesaggio) si inserisce il patrimonio culturale diffuso del sito UNESCO "Vicenza e le ville del Palladio nel Veneto": sito seriale composto di 47 monumenti tra edifici e ville distribuiti in 6 province (Vicenza, Padova, Rovigo, Treviso, Verona e Venezia) e 21 comuni. La cabina di regia è a Vicenza: il Comune infatti, con il suo Ufficio UNESCO, è responsabile del coordinamento del comitato di pilotaggio composto da Comune, Provincia, Regione, proprietari dei beni, Diocesi di Vicenza e CISA, istituito nel 2005 per accompagnare il Piano di Gestione del sito previsto dalle Linee Guida per l'applicazione della Convenzione UNESCO del 1972. Peccato però che il comitato di pilotaggio in più di dieci anni non si sia mai riunito, come candidamente afferma la stessa relazione prodotta dagli ispettori dell'UNESCO arrivati a Vicenza a fine marzo per valutare sul campo lo stato di conservazione del bene (Report on the ICOMOS/UNESCO Advisory Mission to City of Vicenza and Palladian Villas of Veneto, p. 40).
Così facendo non ha mai affrontato la questione del consumo del suolo, dei danni all'ambiente, al territorio e al paesaggio, la sottrazione di spazio fisico e la perdita di valore paesaggistico del contesto nel quale Palladio e i suoi committenti hanno voluto realizzare quelle straordinarie ville: un sistema territoriale unico in cui manufatto architettonico e paesaggio sono intimamente connessi e che una politica miope, con i suoi voraci sostenitori, ha trasformato in una manciata di decenni in "zattere alla deriva" in un mare "di ammassi di capannoni e di confusi agglomerati edilizi" (A. Foscari, Le Ville palladiane sono zattere alla deriva minacciate da una nuova autostrada, Il Giornale dell'Arte, n. 241, Marzo 2005, p. 40). Anche grazie a questo impegno colpevolmente mancato si sono potute avvallare le imbarazzanti scelte urbanistiche (la base militare al Dal Molin e Borgo Berga) di cui, senza più tabù, oggi tutti parlano. Scelte che hanno messo in crisi il bene UNESCO privandoci di una bellezza che nessuna tardiva legge regionale, o autodafé, potrà mai restituirci.

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