Un cardinale e un presbitero: Elia dalla Costa e Milani Lorenzo. La voce del Sileno, anno 2
Venerdi 30 Giugno 2017 alle 16:16 | 0 commenti
Ospitiamo il ventesimo artcolo de La Voce del Sileno. Si è parlato molto a tutti i livelli nei mass media di Don Lorenzo Milano Comparetti. Da quando papa Francesco si è recato in visita a Barbiana, frazione del Comune di Vicchio (FI) e alla tomba del presbitero ben noto per le sue posizioni sulla pastorale e soprattutto nell'ambito del problema educativo, che fu riassunto da alcuni suoi allievi ne Lettera ad una professoressa, nella quale appare ben chiaro quale fosse il tipo di insegnamento che venne prospettato e la relazione con l'istituzione scolastica italiana allora esistente, in particolare quella della Scuola media, dove s'iniziava a studiare la lingua latina, l'istituto magistrale. Nel testo citato si delineava quale avrebbero dovuto essere le discipline da studiare e quali i loro contenuti.
Il libro è famoso più che gli scritti del presbitero, principalmente le Esperienze pastorali che costituirono un punto di controversia con il suo diretto superiore, il cardinale di origine vicentina Elia Dalla Costa, il quale aveva dato (?) l'imprimatur alla pubblicazione.
Nel corso degli anni successivi alla morte di Don Milani, furono pubblicate molte lettere, il suo testamento spirituale ecc. Egli può essere considerato il vero padre della "rivoluzione" che attraversò la scuola negli anni settanta del secolo scorso ed è ancora riferimento, spesso più di nome che non di fatto, di progetti di innovazione dell'istituzione scolastica. In realtà il mondo è molto cambiato, anche nella stessa scuola che all'epoca ebbe una radicale trasformazione a cura di Gesualdo Nosengo (1906-1968), fautore di un'educazione con riferimento a Gesù Cristo e che oggi e Beato della Chiesa cattolica. Egli propose una Scuola Media Unificata, che iniziò a funzionare nel 1962 con Legge 1859. In realtà , ma non se ne parla nel libro, esistevano tre tipi di scuole "medie"; una la propriamente detta Scuola media quella con il famigerato latino, un Avviamento Industriale ed un Avviamento commerciale (cfr. Abbasso il latino, "La Domenica di Vicenza"nr. 18 anno XXI del 14 maggio 2016).
Non parleremo del presbitero, ma della figura di cui nessuno parla, quel cardinale che è oggi venerabile" della Chiesa Cattolica e quali le relazioni, che portarono anche alla presa di provvedimenti. E' necessario ricordarlo perché erroneamente si accenna al collaboratore del cardinale, Ermenegildo Florit, che sarà il successore, accusato di autoritarismo nei confronti non solo di don Milani, ma anche di diverse altre esperienze pastorali a Firenze, tra cui va ricordata quella dell'Isolotto con don Enzo Mazzi e i preti operai, le innovazioni liturgiche non approvate ecc. o la proposta ecclesiale dello scolopio Padre Ernesto Balducci con la rivista "Testimonianze" e il clima generale che alla fine degli anni sessanta coinvolse in un "movimento" la società italiana e dal quale non siamo ancora usciti. Ricordiamo però che il provvedimento di spostamento di don Milani a Barbiana fu preso dal Cardinale Elia Dalla Costa e che lo scontro più noto del quale si parla, del precedente poco, con il superiore avvenne soprattutto a partire dal 1964 con l'arcivescovo E. Florit.
Il presule
Elia dalla Costa ( Villaverla (VI) 1872- Firenze 1961.) che è stato dichiarato "venerabile" dalla chiesa cattolica e il cui ministero sacerdotale e episcopale fu considerato ed è considerato importante soprattutto per i tempi difficili nei quali si svolse. Dopo aver frequentato il Seminario vicentina fu parroco a Pozzoleone e successivamente nell'operaio Schio, Fin dai suoi primi anni di servizio alla Chiesa Elia Dalla Costa si impegno soprattutto nella vita liturgica, soprattutto il culto eucaristico, che considera fulcro dell'attività di un sacerdote e la cura delle anime soprattutto con il catechismo, che è poi il mandato dei presbiteri all'atto dell'ordinazione.
La sua opera fu apprezzata e nel 1923 divenne vescovo di Padova dove si adoperò per il rinnovamento pastorale con il sinodo diocesano. Nel 1931 divenne arcivescovo di Firenze una diocesi che egli reggerà fino al 1958, successivamente sarà elevato alla porpora cardinalizia da Pio IX. Il suo programma pastorale si incentrò sempre su tre cardini fondamentali: istruzione religiosa e formazione precisa del clero e del popolo, culto eucaristico e aiuto da parte dell'Azione Cattolica, che in quegli anni affiancava i vescovi con un grande impegno spirituale. Rinnovo l'organizzazione della diocesi con un concilio plenario e un sinodo (1933 e 1935) e promesse una visione della spiritualità sacerdotale di notevole livello con le sue Esortazioni al clero e nel 1938 con la Videte vocationem vestram. Mai derogò a quello che deve essere il vero servizio pastorale e in tempi difficili mantenne un certo riserbo fino al 1936 nei confronti del fascismo, ma prese posizione con un accorto appello alla pace dopo la guerra etiopica e non fu tenero nei confronti delle Leggi razziali che ebbero solo la Chies cattolica contro, mentre il liberale B. Croce, tacque e tacquero i socialisti e i comunisti con Togliatti dedito al culto di Stalin. Del febbraio 1938, infatti, è la nota pastorale dell'arcivescovo La Chiesa oggi che cosa fa? che cosa vuole?; il documento è tra i primi, tra quelli pubblicati in quei mesi dalla gerarchia ecclesiastica, che contengano espressioni di critica verso le leggi razziali. Il testo fu molto apprezzato a Firenze anche negli ambienti di Giorgio La Pira e tutti ritennero che la Chiesa con le parole del cardinale affermava la propria autonomia e superiorità rispetto alla cosiddetta società civile. Il cardine consapevole dei tempi cercò nella pastorale anche vie nuove, richiamando però sempre al valore dell'unità nella fede della chiesa. Di grande interesse è la nota La pace del 1939, un anno in cui la Chiesa con Pio XI e la sua enciclica Mit brennender Sorge con chiarezza si scagliò contro l'altro totalitarismo del novecento. Il primo era il comunismo, il secondo il nazionalsocialismo che si poneva come fede cieca nella contingenza e nella politica. Pio XI non poté portare a termine il suo programma, la morte non glielo consentì. Nel conclave Elia dalla Costa fu uno dei papabili proprio per il grande impegno spirituale, fu eletto Pio XII, che svolse il suo servizio petrino con la ben nota capacità diplomatica, ma anche con precise prese di posizione di volontà di autentica riforma soprattutto nell'impegno del clero nei confronti della società che rapidamente, soprattutto nel dopoguerra, mutava.
Fin dal 1942 accolse l'esortazione di Pio XII con il discorso natalizio e sotto la sua guida prudente la Chiesa fiorentina si mobilità e il cardinale intervenne con una precisa lettera pastorale nel 1943: Il nostro dopoguerra.
Durante il secondo conflitto il cardinale aiutò gli ebrei e per questo fu nominato "Giusto tra le nazioni". Il suo anti totalitarismo che il papa Pio XII aveva ben delineato istituendo la festa di Cristo Re, fu sempre preciso e si ricorda la famosa decisione di tenere chiuso e listato a lutto il palazzo arcivescovile in occasione dell'arrivo di Mussolini e Hitler a Firenze sta ad indicare un atteggiamento di avversione nei riguardi del nazionalsocialismo, avversione che il cardinale ebbe in modo chiaro anche nei confronti del comunismo.
Presso l'Istituto storico della Resistenza in Toscana (Documentazione su clero e Resistenza. Dall'archivio del card. E. D.) sono conservati i documenti del suo impegno. Per la posizione nei confronti del fascismo cfr. E. Baruzzo Elia Dalla Costa e il fascismo italiano (1923-1943) in Pio XI nella crisi europea | Atti del Colloquio di Villa Vigoni, 4-6 maggio 2015 a cura a cura di R. Perin (reperibile nel web), che valuta il cardinale sotto il profilo politico, dimenticando che la vera preoccupazione era quella religiosa e spirituale, questa sì capace di cambiare il mondo per Elia dalla Costa
Nel dopoguerra Elia Dalla Costa fu sempre in sintonia con quanto il pontefice Pio XII indentificava soprattutto nelle questioni italiani che vedevano il grande scontro tra il mondo cattolico e quello di varia origine marxista, ma anche con quella parte della Democrazia Cristiana che faceva capo a Dossetti e che occhieggiava, come poi occhieggiò sempre a sinistra, cercando un collegamento stabile con quelle forse che erano e sono di filiazione comunista. Su queste posizione intervenne con chiarezza il gesuita Antonio Messineo nel 1955:" le così dette tendenze a sinistra dei cattolici hanno un limite invalicabile, oltre il quale non sono più cattoliche, ma marxiste" Nel 1953 il cardinale nelle Direttive Pastorali per la condotta del sacerdote nei confronti del comunismo (Bollettino dell'Arcidiocesi di Firenze" XLIV, sett.-ott. 1953, n.9-10, pp. 187-189) ricordava che ogni atteggiamento del sacerdote nei confronti dell'ideologia materialista e atea era quello "dettato esclusivamente dalla verità e dalla sollecitudine per le anime." Pertanto "nella sua azione pastorale il sacerdote sentirà il dovere stretto di difendere la verità , condannare l'errore e di rendere impossibile qualsiasi compromesso che finirebbe per recare grave danno alle anime". Come sempre la preoccupazione non era quella "del sociale", ma del bene delle anime che, come abbiamo già detto, è la preoccupazione del sacerdote insieme al sacrificio eucaristico.
Con i sacerdoti della diocesi ebbe sempre buoni rapporti, nella fermezza di colui che sovraintende e deve guidare un corpo spirituale quale è appunto quello di una diocesi. Costanti furono le indicazioni rivolte e la sollecitudine, perché buoni sacerdoti sono con il vescovo la guida delle anime anche nelle circostanze politiche, come lo furono allorché nel 1949 il decreto del Sant'Uffizio affermò chiaramente che non era lecito ai cristiani professare il comunismo e la sua dottrina, iscriversi al Partito Comunista e sostenerlo, con la stampa o la divulgazione e lettura di libri, riviste, giornali o volantini che appoggino la dottrina o l'opera dei comunisti, o scrivere per essi.
I sacerdoti erano sempre coinvolti e durante le ordinazioni era indicata loro la strada. Tra i tanti presbiteri ordinati da Elia Dalla Costa, alcuni diventarono importanti per la Chiesa come Silvano Piovanelli, vero allievo del cardinale, che dal 1983 fu arcivescovo di Firenze e cardinale, legato anche alla tradizione dopo la riforma liturgica di Paolo VI. Nello stesso giorno dell'ordinazione di Piovanelli furono anche consacrati anche Renzo Rossi, poi missionario in Brasile dove affermò il valore dell'emancipazione del popolo con l'organizzazione sindacale, lo sciopero e la lotta alla classe dominante.
Un presbitero ordinato il 13 luglio 1947 Lorenzo Milani Comparetti nell'agosto dello stesso anno fu destinato come cappellano provvisorio a Montespertoli, sede che non gli piacque anche per il trattamento economico che vi riceveva. Protestò con il Vicario Mons. Tirapiani che il 10 ottobre lo nominò cappellano di San Donato a Calenzano dove avrebbe trovato un prevosto di grande valore e buona guida.
Sistematosi iniziò la sua esperienza pastorale, poco curando la liturgia come scrisse P. Tito (cfr. S. Centi in Incontri e scontri con don Lorenzo Milani, Brescia, Editrice Civiltà , 1977, p.14, ma iniziando a delineare una strada nuova che rifiutava da subito le pagine morte scritte in lingue morte (ivi, p.65) e quindi bisognava andare oltre, perché la Chiesa era in grave crisi. Scelse una prospettiva che fu illustrata nel suo libro Esperienze Pastorali. Don Milani volle pubblicare il testo che avrebbe dovuto avere come titolo: Appunti e Rilievi per i futuri missionari cinesi destinati ad evangelizzare il Vicariato apostolico di Etruria. Era necessario per la stampa, l'imprimatur dell'arcivescovo, secondo il diritto canonico. Le circostanze del rilascio hanno sempre lasciato dei dubbi per il modo con il quale avvenne, e si è parlato anche di una firma falsa del cardinale, da parte Reginaldo Santilli, domenicano (La vicenda di "Esperienze Pastorali" di don Lorenzo Milani, "Vita Sociale, n. 172, 1976, pp. 245-264) che diede il nihil obstat all'uscita del libro.
Ciò che alla fine preoccupò l'arcivescovo fu proprio la pastorale del cappellano che non era propriamente in linea con le sue indicazioni, ma anche quella tendenza che sfociava più nella preoccupazione socio-politica che non spirituale di cura delle anime. Fu "spedito" in involontario esilio in Germania per alquanto tempo dal Cardinale, affinché ripensasse alla sua pastorale nel 1951. Ma ritornato nel 1952 proseguì nel suo modo pastorale, tanto che nel 1953, 29 aprile l'arcivescovo, lo richiamò all'ordine perché non insegnava religione e faceva scuola dopo aver rimosso il Crocifisso dalla classe (cfr. Don L. Milani, Lettere alla mamma, Milano Mondadori, 1977, op.83) e soprattutto perché sospetto di troppa vicinanza alle prospettive del socialismo. Certo don Milani mai professò il comunismo nella sua vita, ma il suo modo pastorale dava luogo a dubbi sulla sua unità con la Chiesa al proposito della dottrina e del movimento che in Italia avversava la Chiesa e il papa.
Alla fine il cardinale decise in prima persona, il caso era grave e noto; lo fece con chiarezza e forza trasferendo a Barbiana don Milani, nonostante interventi al fine di farlo rimanere a San Donato. Don Milani obbedì, ma affermò sempre che vi furono delle trame contro di lui e il suo libro, come la recensione su Civiltà cattolica (C 1958 III 627-640. del gesuita p. Angelo Perego che ne faceva una lunga e minuziosa stroncatura. Ad ogni pagina, scriveva, c' è qualcosa di acido, di stonato, di controproducente per la Chiesa e, si dice, fu questa recensione a destare i sospetti del sant'Uffizio per la condanna del libro. Nel mentre p. E. Barducci sulla rivista "Testimonianze" ne faceva invece una recensione positiva.
A distanza di circa 60 anni la stessa "Civiltà cattolica" si ricrede e oggi giudica positivamente il libro di don Milani, il cardinal Betori, oggi arcivescovo di Firenze afferma "è plausibile che il card. Florit, premesse per ottenere una recensione negativa della nostra rivista (Civiltà Cattolica), non volesse ottenere la condanna del Sant'Uffizio, quanto piuttosto chiudere un caso difficile (cfr. Giancarlo Pani nei Quaderni di Civiltà cattolica. Si scarica così la responsabilità sul cardinale E. Florit, che però all'epoca della rimozione di don Milani non aveva ancora incarichi nella diocesi di Firenze.
Elia Dalla Costa proseguì la sua opera, don Milani invece continuò la propria esperienza in quel di Barbiana, il libro Esperienze pastorali fece un po' di rumore, ma non fu quello il testo decisivo, ma Lettera ad una professoressa, la descrizione del suo modo di fare scuola che lo portò a fama e soprattutto la sua visione ebbe seguito in un'epoca, quella del '68, nella quale iniziò anche il predominio della visione marxista, quella che sfruttava e sfrutta ogni realtà per i propri fini, anche quando essi non siano così evidenti. Ben affermò Pietro Ingrao, esponente del Partito comunista Italiano: "Era in lui - don Milani_ nelle sue parole, nelle cose che ha scritto, sempre una coscienza robusta e drammatica dell'espressione di classe, che spezza in due la società in cui viviamo. Raramente si trovano opere in cui come nelle sue i giudizi sui comportamenti umani, sulle forze politiche e sugli istituti sono così impregnati della nozione di questa spaccatura della società , sentita come lacerazione tragica, che colpisce, esclude, opprime, prima di tutto gli operai e i contadini. È lecito dire che nei suoi scritti, nelle sue parole, si respira sempre un giudizio di classe." (cfr. Testimonianze, X (1967) n.100, p. 893.
Elia Dalla Costa che non accettò mai il perverso disegno della lotta di classe, invitava sempre all'amore dell'apostolato cristiano e invitava al " dovere stretto di difendere la verità , di condannare l'errore e di rendere impossibile qualunque compromesso che finirebbe per recare grave danno alle anime" e a chi "fornificava" con i comunisti non cessava di rammentare che " la c Chiesa, e quindi il Sacerdote, vede il comunismo come un errore fondamentale apporto alla dottrina di Cristo e un gravissimo pericolo per le anime e per la pietà cristiana; ogni atteggiamento, quindi, della Chiesa e del sacerdote è dettato esclusivamente dall'amore della verità divina e dalla sollecitudine per le anime." Tanto che il Sacerdote deve accostarsi ai comunisti "come il pastore che non attende, ma va in cerca degli smarriti ", non per confondersi con essi, come è accaduto a diversi democristiani dopo la fine del partito, che inseritesi nelle correnti marxiste hanno perso la loro identità , tanto che non li si riconosce più e non sono certo diventati il lievito di quelle correnti che proseguono nelle loro visione e costruzione di una società e di uno Stato anticristiani e dove non si rintracciano certo quei semina Verbis, che avvicinerebbero alla verità i loro seguaci.
Elia Dalla Costa fu un protagonista e un pastore per la sua diocesi che volle sempre attenta a Cristo più che al mondo e al sociale, che vedeva nella visione marxista minacciare più che aiutare i fedeli e diede sempre sé stesso alla fede, al sacrificio eucaristico e alla cura delle anime, che non è solo accondiscendenza e perdono, con santa pazienza, ma anche indicazione e provvedimento.
La sua figura fu subito considerata importante per la Chiesa e le sue virtù eroiche riconosciute da papa Francesco, tanto che oggi è "venerabile" della Chiesa cattolica e il suo insegnamento è quello che ogni sacerdote dovrebbe fare suo, perché, come diceva il curato d'Ars: "per dove passano i santi Iddio passa con loro..."
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