Tutto il mondo canta Bella ciao, a Vicenza c'è chi non lo sa
Domenica 25 Gennaio 2015 alle 23:15 | 0 commenti
Francesco Merlo su La Repubblica di sabato 24 gennaio 2015 chiarisce le idee a molti di quelli che si sentono "provocati" quando qualcuno intona l'inno alla libertà e non certo al comunismo che è "Bella ciao" (così come Giovinezza non nacque fascista ma fu canto degli alpini, poi invece modificato per renderlo inno di parte, ndr).
E sabato l'hanno cantata in piazza dei Signori contro il patrocinio comunale al convegno sul "repubblichino" Giorgio Almirante tanti che di certo comunisti, oddio che paura che fanno ancora!, non sono.
A sentirsi provocati sui social e sui media sono stati proprio molti di quelli che hanno inneggiato al diritto di libertà di espressione proclamato in Sala Bernarda con così convinto ardore (verso gli... arditi?) e tanto di patrocinio ufficiale del Comune al convegno da chi in altre mille occasioni si è fatto bello con discorsi roboanti della bandiera di Vicenza decorata con una medaglia d'oro per la resistenza.
Bella Ciao, sì, ma vorremmo anche cantare a squarciagola al nostro sindaco e al nostro vice: Ipocriti ciao!Â
Il direttore
Â
Tutto il mondo (Italia esclusa) canta in piazza “Bella ciaoâ€
di Francesco Merlo su La Repubblica di sabato 24 gennaio 2015
La storia.
Da Atene a Parigi, da Istanbul a Hong Kong la canzone della Resistenza diventa inno di libertà . Mentre nel nostro Paese è ritenuta a torto solo un manifesto comunistaÂ
A Parigi l'emozione di Bella Ciao è la resistenza della libertà d'espressione alla barbarie dei kalashnikov, ad Atene accompagna l'utopia populista di Tsipras, a Hong Kong scandisce l'opposizione alla Cina comunista, a Istanbul canta la rivolta contro l'Islam autoritario di Erdogan. Solo in Italia Bella Ciao è all'indice, confusa con Bandiera rossa e L'Internazionale.
E invece, nel mondo, la canzone della Resistenza ha fatto la sua resistenza, e ha vinto, anche contro se stessa. È infatti evasa dalla gabbia del braccio armato e del pugno chiuso con la forza della melodia tradizionale, con quelle due parole "ciao" e "bella" che sono le password della nostra identità , con i timbri e i toni che sono il meglio della leggerezza di Sanremo, con la dolce malinconia del bel fiore sulla tomba, e ovviamente con il partigiano morto per la libertà e non per "la rossa primavera" della falce e martello e neppure per il sol dell'avvenire della filosofia classica tedesca.
Insomma Bella ciao ce l'ha fatta a riaccendere le emozioni originarie che la resero colonna sonora della guerra partigiana al nazifascismo, quando fu preferita a Fischia il vento, proprio perché, «era più ecumenica». E la sua storia e la sua memoria «la accreditano come la canzone che unifica le speranze e le attese della democrazia» ha scritto Stefano Pivato in Bella ciao. Canto e politica nella storia d'Italia (Laterza, 2005). Fu insomma la canzone delle forze politiche costituenti, tutte laburiste antifasciste e repubblicane, anche se in modi diversi e tra loro conflittuali, ma tutte Bella ciao: un fiore di montagna come educazione civica.
E per capire che è tornata ad essere un inno internazionale di libertà basta rivedere su Repubblica.it tutte quelle labbra che a Parigi scandiscono «Una mattina / mi son svegliato / e ho trovato l'invasor». Nessun professore comunista li dirige, nessun libro marxista li ispira quando fondono Bella ciao e La Marsigliese dondolando e mixando «sotto l'ombra di un bel fior» con gli evviva alla memoria degli artisti di Charlie Hebdo, e senza mai andare né fuori tempo né fuori moda. Ed è emozionante la compostezza del coro un po' stonato di Istanbul con tutti quei turchi che battono il tempo con le mani: «E se io muoio / da partigiano / tu mi devi seppellir» diventa resistenza al martirio di Kobane, agli arresti dei giornalisti, all'oscurantismo religioso. È un contagio che arriva sino ad Atene, si diffonde senza radio e senza Ipod, ricorda l'epoca euforica degli anni Sessanta: Bella ciao come i Beatles, il vecchio canto della libertà italiana come la musica dei progetti, delle illusioni e degli azzardi, il nostro fiore di montagna contro il terrorismo in Europa, contro la mortificazione delle donne in Turchia. E sorprende e diverte a Hong Kong la voce di un italiano contro la violenza di quel terribile mondo arcaico che è la Cina.
Certo, la storia di Bella ciao era già una specie di leggenda. Agli inizi del Novecento fu il canto delle mondine nelle umide risaie attossicate: «Oh mamma che tormento / io mi sento di morir». E ci sarebbe persino una versione Yiddish incisa a New York nel 1919. Mille ricerche sono state fatte sul giro del mondo di questa canzone che è stata folk, ebrea, swing e tradotta anche in giapponese Ma, come accade talvolta in filologia, le ricerche riportano sempre al punto di partenza: Reggio Emilia, 1940. Nella geografia della memoria Bella ciao è infatti il luogo della Resistenza condivisa, il ritmo della lotta antifascista che fu comunista, cattolica e azionista, come la Costituzione.
Ed è, Bella ciao, come "la ballatetta" di Guido Cavalcanti, che «va leggera e piana» e «porterà novelle di sospiri ... quando uscirà dal core». Il dolce stil novo sapeva già , prima del pop, che la canzonetta è una febbre musicale, e come l'acqua fresca sembra niente ma è tutto, e se c'è nebbia fa vedere il sole, e dà coraggio a chi ha paura. E, infatti, fischiettata o cantata in coro, Bella ciao ha sconfitto quell'altra Bella Ciao, spacciata per eversione e per rivoluzione. Insomma il fiore del partigiano fu, a torto, classificato non come uno dei pochi canti della democrazia, ma come politica cantata, accanto agli inni del movimento operaio, «Su fratelli su compagni / su venite in fitta schiera», e alle canzoni dolenti degli anarchici, «Addio Lugano bella / o dolce terra mia», e all'orrendo inno che la Dc fece suo: «O bianco fiore / simbolo d'amore / con te la pace / che sospira il core». I comunisti risposero: «Il 25 aprile / è nata una puttana / e le hanno messo nome / Democrazia cristiana».
E mai cantata, come si dovrebbe, con l'alzabandiera del 25 aprile, ma trattata come un inno comunista, degradata da canto laico della liberazione e della concordia repubblicana a ballata dei trinariciuti, a manifesto del Soviet italiano.
Ecco, Bella ciao è un'altra storia, e sembrava che lo avessero capito tutti. La cantarono infatti Claudio Villa e Yves Montand, Gigliola Cinquetti, Francesco De Gregori e Giorgio Gaber, canzone impegnata e canzone scanzonata. Finché i leghisti al governo di alcune città del Nord (Treviso, Pordenone ...) proibirono di suonarla il 25 aprile. E Berlusconi, più potente, tentò di abolire la festa della liberazione dal nazifascismo sostituendola con la festa della liberazione da tutte le dittature. E gli pareva che «Forza Italia/ perché siamo tantissimi» fosse più nazionalpopolare di «È questo il fiore / del partigiano / morto per la libertà ».
Le ha proprio viste tutte, la nostra Bella ciao. È stata persino stonata in tv da Michele Santoro dopo l'editto bulgaro che lo cacciava dalla Rai con Biagi e Luttazzi. In quell'Italia pazza la solita serva Rai arrivò persino al tentativo di festeggiare i 150 anni dell'Unità suonando a Sanremo sia Bella ciao sia Giovinezza, e di nuovo la canzone della Repubblica fu spacciata per inno comunista attraverso il gioco della somiglianza - contrapposizione con l'apologia del fascismo, suonata per par condicio... Ebbene Bella ciao ha superato anche quell'oltraggio. E adesso che ha conquistato il mondo, forse riconquisterà anche l'Italia.
Testo della canzone
Il seguente testo è quello più diffuso, con alcune varianti tra parentesi:
« Una mattina mi son svegliato, o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! Una mattina mi son svegliato e ho trovato l'invasor. |
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.