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Tolta la patria potestà a una madre vicentina per imporre psicofarmaci al figlio

Di Redazione VicenzaPiù Venerdi 21 Giugno 2013 alle 15:49 | 0 commenti

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Silvio De Fanti, vicepresidente del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus - “Voglio solo difendere mio figlio da queste sostanze pericolose e spingere le strutture ad aiutare veramente mio figlio e offrirgli una vita serena e dignitosa, invece di semplicemente sedarlo e istituzionalizzarlo, ma gli psichiatri e il tribunale non mi permettono di proteggere mio figlio.” Questo l’accorato appello di una madre che si è vista togliere la patria potestà dal tribunale di Venezia solo perché aveva protestato contro l’uso di sostanze pericolose come gli psicofarmaci.

La decisione dei medici e del tribunale apre la strada a possibili violazioni dell’articolo 32 della Costituzione che sancisce la libertà di cura: qualsiasi medico potrebbe, appellandosi a un presunto pericolo di vita per il minore, imporre l’uso di sostanze psicoattive sui minori.

La vicenda è iniziata nel reparto di psichiatria dove Nicola (nome di fantasia), un ragazzo di 16 anni, è stato portato dopo aver bevuto e aver dichiarato di volersi uccidere. Anziché dargli un reale sostegno psicologico, lo hanno rinchiuso per più di un mese in psichiatria imbottendolo con medicine potentissime. Il ragazzo dopo questo ricovero non è migliorato ma peggiorato ed è stato riportato in psichiatria in altre due occasioni. Dopo un episodio in cui il figlio ha rischiato di morire a causa degli effetti collaterali di un farmaco, la madre ha tentato di opporsi all'uso di quel medicinale. L’ospedale, che rischiava anche una denuncia a causa del possibile utilizzo sconsiderato del medicinale, invece di comprendere le legittime contestazioni della madre, si è rivolto al Tribunale dei minorenni che le tolto la patria potestà senza alcun reale processo. E oltre al danno la beffa: perché nel frattempo la mamma aveva accettato la somministrazione del farmaco come risulta dai documenti sanitari. Ma apparentemente i medici si sono “dimenticati” di informare il tribunale di quest’ultimo avvenimento, e hanno accolto di buon grado la decisione del tribunale dato che probabilmente volevano carta bianca. A quel punto la mamma si è rivolta all’avvocato Francesco Miraglia del Foro di Modena che si è avvalso della consulenza del dottor Paolo Cioni, psichiatra di fama internazionale: “Abbiamo riscontrato parecchie irregolarità e anomalie ed abbiamo quindi richiesto un incontro urgente con il reparto di neuropsichiatria infantile al fine di tutelare la salute del ragazzo. Purtroppo non abbiamo ricevuto nessuna risposta. Di fronte a questa inspiegabile chiusura e al pericolo di vita che corre il minore, che solo pochi giorni fa è stato ricoverato nuovamente al pronto soccorso per gli effetti collaterali del farmaco che è costretto ad assumere contro la sua manifesta volontà, abbiamo deciso di rivolgerci al Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani.”

Il figlio della signora rischia la vita e la madre che, aldilà della indiscussa professionalità e serietà dei medici coinvolti, è l’unica persona al mondo ad aver veramente a cuore la salute del ragazzo, non può tutelarlo a causa della decisione superficiale e frettolosa del tribunale. Se ripercorriamo a ritroso la storia di questo ragazzo, scopriamo che è vittima di un sistema educativo in cui mancava uno strumento didattico che è stato introdotto dal Ministero dell’istruzione solo nel mese di marzo dell’anno in corso. Infatti, grazie allo strumento dei bisogni educativi speciali (BES), è ora possibile redigere un progetto personalizzato per i bambini in difficoltà, senza bisogno di ricorrere alla certificazione sanitaria che nella stragrande maggioranza dei casi non è necessaria bensì fortemente controindicata. Purtroppo questa mancanza didattica è stata alla base della fragilità del ragazzo che recentemente era stato anche vittima di episodi di bullismo raccontati da una televisione veneta locale. Il ragazzo era finito in depressione proprio per la mancanza di un’istruzione adeguata che potesse permettergli uno sbocco nel mondo del lavoro e la possibilità di avere un futuro umano e professionale. Fortunatamente questo è stato recentemente riconosciuto dalle strutture sanitarie e assistenziali, e Nicola è stato inserito, in totale accordo con la mamma, in una comunità educativa. Ma purtroppo lì è costretto a prendere psicofarmaci che oltre a mettere in pericolo la sua vita gli impediscono di seguire il percorso educativo proposto. La madre che ha dimostrato più volte di saper aderire a dei progetti sensati per il bene del figlio, a causa della decisione frettolosa e superficiale del tribunale, non può ora garantire al figlio la possibilità di riscattarsi.

Purtroppo questo caso specifico è il segno della strada coercitiva e istituzionalizzante intrapresa dal campo della salute mentale. Come abbiamo avuto modo di denunciare recentemente in occasione delle manifestazioni di Brescia davanti agli Spedali civili e di Milano davanti al 4° congresso mondiale sull’ADHD, la nascita di molti reparti di neuropsichiatria infantile è il segno che si va verso il contenimento e l’istituzionalizzazione dei minori che finiscono poi in questi piccoli manicomi per minori che sono le case famiglia ad alto contenimento, invece di puntare ad attività di prevenzione e riabilitazione. Chi trae vantaggio da questa tendenza sono le case farmaceutiche e la psichiatria organicista, non certamente i bambini. Questa denuncia pubblica è solo il primo passo di una serie di iniziative che stiamo preparando finché a Nicola (e a tutti i bambini) non sarà garantita una “vita serena e dignitosa” come vuole la sua mamma.

Per informazioni sull’istituzionalizzazione dei minori: http://www.ccdu.org/comunicati/manifestazione-contro-istituzionalizzazione-bambini


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