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Telegram, 10 miliardi di messaggi al giorno per l'anti-Whatsapp

Di Rassegna Stampa Mercoledi 2 Settembre 2015 alle 10:34 | 0 commenti

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Fermate tutto, ci siamo sbagliati: la privacy sul web non è affatto morta. Anzi. Le notizie sulla sua scomparsa — perché alle nuove generazioni non gliene importerebbe nulla di regalare tutti i propri dati personali — sono largamente esagerate. La notizia piuttosto è che qualche giorno fa Telegram ha toccato i 10 miliardi di messaggi distribuiti in un solo giorno.

Quanti sono 10 miliardi di messaggi? Sono tanti: sono più di quelli che Whatsapp distribuiva quando Mark Zuckerberg se la comprò per 19 miliardi di dollari un paio di anni fa; e sono un terzo di quelli che Whatsapp smista oggi. E sono dieci volte quelli che la stessa Telegram gestiva appena otto mesi fa. Insomma, sono tanti. E ci dicono qualcosa di importante per capire come sta davvero cambiando il web e quindi la nostra vita. Intanto, cos’è Telegram? È una specie di Whatsapp. Ma migliore. Anzi, diversa. Migliore perché consente di inviare documenti molto più grandi e gruppi molto più numerosi; ma non è questo il punto. Il punto è la gestione dei dati personali. Che per Telegram sono sacri. La ragione per cui nel passaparola, soprattutto fra i giovanissimi, sta dilagando (qualche settimana fa era la app più scaricata in 46 paesi del mondo) è la “chat segreta”: ovvero la possibilità di impostare una scadenza per i messaggi che ti mandi con qualcuno. Dopo un secondo o una settimana spariscono. Non resta nulla. Esattamente come fa Snapchat con le foto. Solo che la sicurezza di Snapchat è molto discutibile, su Telegram invece i dati sono blindati: non finiscono su nessuna “nuvola”, su nessun server, non li può rintracciare nessuno. Torni anonimo, finalmente. Ogni tanto ci vuole.

Dietro Telegram c’è un ragazzo. Ha da poco compiuto 30 anni. Si chiama Pavel Durov, dicono che assomigli a Neo, il protagonista del film “Matrix”, e sicuramente ne ha il fascino. È nato a San Pietroburgo ma è cresciuto a Torino dove il papà insegnava filologia; lo stesso percorso che aveva intrapreso il figlio fin a quando, per stare in contatto con i suoi amici, gli è venuta voglia di fare VKontakte. Per la stampa quello era “il Facebook russo” ma viste come sono andate le cose il paragone non ci sta. Quando il governo gli ha ordinato di chiudere le pagine di alcuni oppositori di Putin e consegnare i dati, il giovane Durov ha risposto facendosi pubblicamente beffe dell’ordine con un tweet memorabile. Ma ha pagato caro il coraggio: nel giro di poco tempo è stato estromesso dalla società che aveva fondato col fratello e liquidato con 300 milioni di dollari. Ha allora iniziato una vita da nomade digitale tra le città europee, con un gruppetto di quattro ingegneri; ed è stato in questa fase che ha creato Telegram mettendo davanti a tutto i dati degli utenti; ha pubblicato il progetto in rete affinché tutti potessero verificare che era vero; e ha messo in palio premi da 100 mila dollari per chiunque trovasse dei difetti o dei buchi nel sistema (una volta ha pagato e ringraziato). Insomma, lui che era chiamato lo ”Zuckerberg russo” ha sfidato pubblicamente Whatsapp, e Facebook e quel modo di vivere il web per il quale tutto è gratis perché il prodotto siamo noi, i nostri dati consegnati alla pubblicità (e qualche volta ai governi).

Il modello di business di Telegram? Nessuno per ora, pare che Durov stesso ci metta un milione di dollari al mese per garantire il servizio eccellente attuale. Perché lo fa? “Per difendere il nostro diritto alla privacy che è più importante dei rischi, marginali, che questi strumenti li usino i terroristi”, ha detto recentemente sostenendo che ciascuno di noi ha più possibilità di scivolare in bagno sotto la doccia e morire piuttosto che restare vittima di un attentato. Sì, il suo eroe è Edward Snowden, l’informatico che ha svelato al mondo la sorveglianza digitale di massa dei governi americano e britannico.

In questa battaglia Telegram non è sola. Di Snapchat si è parlato molto (soprattutto in occasione dei tentativi, andati a vuoto, di acquisirla da parte sempre di Zuckerberg). Ma quando Hong Kong è stata scossa dalle proteste di piazza si è scoperto che i manifestanti usavano Firechat che consente di comunicare senza rete internet e telefonica; allo stesso modo gli oppositori turchi trasformavano il telefonino in un walkie-talkie con Zello. Ma non è solo una questione politica: l’esigenza di avere qualche momento di anonimato in rete è sempre più sentita soprattutto dai giovanissimi come dimostra il successo della applicazioni che con un clic e un abbonamento di pochi euro al mese creano della VPN, delle reti virtuali grazie alle quali puoi far mostra di esserti collegato dalla città che vuoi tu (e quindi magari guardarti la serie tv americana che qui non c’è ancora). E che questa cosa sia seria lo dimostra l’attenzione degli investitori della Silicon Valley: Wickr, che trasforma le tue mail con una crittografia che le rende inespugnabili, è stata fondata a San Francisco nel 2012 e ha raccolto 39 milioni di dollari. Forse la fine della storia ci sorprenderà.

Si può impostare una scadenza e le letterine via internet si autodistruggono L’esigenza dell’anonimato è sempre più sentita, da Snapchat a Wickr

di Riccardo Luna da la Repubblica

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