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Talenti vicentini in fuga 2. La proclamazione di un PhD in California, reportage: l'arrivo in Usa

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Sabato 14 Giugno 2014 alle 18:09 | 0 commenti

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Partito dal Marco Polo di Venezia con negli occhi la tecnologia e la corruzione, entrambe made in Italy, del Mose arriva felice a San Diego, cambiando volo al John Fitzgerald Kennedy Airport di New York, il padre del giovane laureato di Vicenza in Ingegneria delle Telecomunicazioni che ha lasciato l'Italia e l'ateneo padovano di formazione nel 2009 e che sta per partecipare a San Diego alla cerimonia del "Commencement", la proclamazione, cioè, come PhD (il massimo titolo universitario in Usa) in Elecrical and Computer Engineering.

L'arrivo a New York è perfettamente in orario dopo circa otto ore e trenta di sorvolata dell'Oceano Atlantico anche se il volo Delta 475 ha dovuto roteare a lungo sul JFK per il solito eccesso di traffico, lo stesso che costringerà il successivo volo Delta 2275 a imbarcare i passeggeri in orario ma a lasciare la pista con oltre 90 minuti di ritardo arrivando in California poco prima della mezzanotte in un aereoporto che mostra subito il mix della città, un po' a stelle e strisce , ma molto anche americana Mexico style, visto che poi la froniera verso il sud è proprio lì a due passi con il metro delle distanze del nuovo continente: «anche gli Usa non sono esenti da inconvenienti» si legge alal aprtenza per san Diego negli occhi del padre accanto a noi anche se i ritardi dei voli sono ben altra cosa dei ritardo del Mose...

Le prime impressioni all'arrivo effettivo in terra americana, quello che a NY è segnato da dogana e ingresso dei "visitors", sono segnate da tante sensazioni. Una su tutte la quantità di gente che fa un lavoro, che per i santoni del Job Act  italico sarebbero da tagliare ma che qui, si intuisce, vuol dire mettere in moto l'economia. Avviandosi verso il controllo passaporti ci sono, ovviamente, linee differrenziate di accesso per chi va proprio a New York e per chi deve prendere un "connecting flight", come noi, per un'altra destinazione: linee differenziate ma"assistite" non solo dalle indicazioni ma da mani gentili di operatori che indicano la strada mentre altri assistenti ti convogliano verso il box passaporti ritenuto più veloce per smaltire le file, che, infatti, procedono rapide.

Salvo una decelerazione quando si arriva davati al poliziotto che, memore dell'11 settembre 2001, controlla attentamente il passaporto, l'Esta (il vsito d'ingresso di fatto), va sul computer per vedere se il tuo nome è segnalato, poi ti fa prendere da uno scanner le impronte delle 4 dita della mano destra e poi del pollice, per quindi ripetere l'operazione con la mano sinistra. Finito qui? No, ora tocca mettersi in posa davanti a una mini telecamera per fissare il proprio volto in un data base che ci immaginiamo enorme: la privacy sì, ma la sicurezza viene prima.

E poi si esce dal settore passaporti per arrivare a controllare a valigia che, una volta individuata, viene incanalata immediatamente da altro personale verso il nastro trasportatore per il nuovo volo, mentre altri assistenti ti dicono dove andare per imbarcarti. Lì una fila lunga ma che appare agile perchè incanalata su più corsie che fanno defluire le persone senza stop fastidiosi e magari con un po' di footing poco utile, però, se si guarda la gente intorno, spesso, diciamo, sovrappeso. Anche qui personale in quantità, che dall'inizio dello sbarco a NY appare in prevalenza di colore o di paesi latini e che ti indica se andare a destra o sinistra e ti "fissa" su tablet che sono attaccati ai pantaloni come le pistole dei poliziotti.

Lungo e meticoloso controllo ai metal detector e poi  via nella zona di imbarco, dove alcuni usano  cellulari che con contratti speciali per gli stranieri si possono prelevare e attivare in un attimo da distributori automatici come quelli delle bevande. Costose, ma sostituibili a costo zero nella democratica NY da "ricariche" di acqua del mayor (sindaco) da prelevare da fontanelle libere. 

Tanta gente e una sensazione di ricorrenti sorrisi di una Federazione che pare attiva e non intristita  accompagnano il "nostro" papà nell'attesa dell'imbarco spesa anche girando, come in tutti gli aereoporti, tra i vari negozi che espongono le merci più diverse.

Poi si sale sul Boeing 737, si rulla a lungo, si comincia ad accusare la stanchezza, si decolla e il volo di oltre 6 ore sembra molto corto visto che all'arrivo ci sarà il novello PhD che attenderà il papà e che è stato da lui avvisato con una mail del ritardo grazie al servizio Internet presente a bordo dell'aereo...

Proprio come in Italia...

E la prima cena? Rigorosamente a base di fried chicken, di patatine fritte e salse varie in cambio dello svuotamento preventivo della valigia che dei 23 kg consentiti per due li ha impeganti dai vestiti e gli altri 21 da cibi italiani portati al bocia quasi trentenne su preparazione e indicazioni tassative della mamma...

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