Quotidiano | Categorie: Informazione, Internet

Stampa alla riscossa. Grazie ai padroni del web

Di Redazione VicenzaPiù Mercoledi 23 Ottobre 2013 alle 09:03 | 0 commenti

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Pubblichiamo due interessanti articoli apparsi ieri su la Repubblica con la piccola soddisfazione di essere un network che di integrazione tra carta e web, oltre che ora anche di Tv, è l'esempio locale.

La rivincita della stampa, ultime notizie dalla SiliconValley
Di David Carr, La Repubblica
New York. Il patron di eBay finanzia Greenwald, il boss di Amazon scala il Washington Post: così i big della Silicon Valley cambieranno le news. Jeff Bezos di Amazon ha comprato il Washington Post, il fondatore di eBay ha messo sul piatto 250 milioni di dollari per un sito di inchieste. Sono solo due nomi nella lunga lista di investitori delle ricche imprese digitali che hanno deciso di puntare sulla produzione di news di qualità. All'improvviso l'editoria è diventata irresistibile per il capitale hi-tech. Un matrimonio tra giornalismo e tecnologia grazie a strategie di lungo termine e strumenti a basso costo per la diffusione dei contenuti

Produrre delle notizie credibili costa se si segue un modello di impresa problematico, che si ostina a rimanere agganciato ai binari malgrado stia per essere travolto da una locomotiva - rappresentata da un pubblico di lettori frammentario ed entrate pubblicitarie in declino. Proprio quando tutto sembrava ormai perduto, però, un'improbabile cavalleria è arrivata in soccorso al galoppo, portando cospicue quantità di denaro, idee fresche e una buona dose di entusiasmo. La Silicon Valley e i suoi personaggi di punta - alcuni dei quali hanno contributo agli attuali problemi dell'editoria - hanno improvvisamente iniziato a investire significative somme di denaro per preservare la varietà e la qualità delle notizie.
La scorsa settimana Pierre M. Omidyar, fondatore di eBay, ha annunciato che finanzierà con 250 milioni di dollari il giornalista Glenn Greenwald e alcuni suoi colleghi nella creazione di unsito di notizie di nuova concezione.
Solo due mesi fa Jeff Bezos, fondatore di Amazon, aveva investito altrettanto per acquistare personalmente il Washington Post. Stiamo parlando di mezzo miliardo di dollari che stanno confluendo nella produzione di notizie: un settore dal quale gli investitori i cui asset versano in condizioni precarie stanno invece fuggendo.
Ma non finisce qui. A luglio Laurene Powell Jobs, vedova di Steve Jobs, ha deciso di investire nella Ozy Media, una startup giornalistica. Chris Hughes ha impiegato il denaro guadagnato con Facebook per acquistare il "New Republic" e dare un sostegno finanziario ad "Upworthy", un aggregatore di contenuti di qualità. Di recente alcune imprese giornalistiche di nuova generazione come Vice, Vox Media, BuzzFeed e Business Insider hanno ricevuto investimenti significativi. A tutto ciò si aggiunga il fatto che, dopo aver appoggiato la Participant Media, Jeff Skoll (un altro veterano di eBay) sta sostenendo il canale televisivo "Pivot", che realizza film e programmi socialmente rilevanti.
L'elenco non finisce qui, ma la tendenza è lampante: all'improvviso il giornalismo di qualità è diventato, se non irresistibile, quanto meno assai attraente per i capitali delle nuove imprese digitali. E a pensarci bene è giusto che sia così: malgrado tutti suoi eccessi, la Silicon Valley non è mai stata un luogo in cui l'ostentazione crea capitale sociale. E mentre qualsiasi reporter di tecnologia vi confermerà che la Valley è lungi dall'essere socievole con la stampa, coloro che vi occupano posizioni apicali sono dal canto loro avidi, attenti consumatori di notizie e nutrono delle forti opinioni riguardo alle lacune che queste presentano. Vedere in questi recenti fermenti un semplice passatempo per alcune delle persone più in vista del mondo della tecnologia sarebbe un errore.
«I tecnologi - ha affermato lo scorso fine settimana in un'intervista Omidyar - nutrono la convinzione, forse esagerata di poter migliorare il mondo. Certo, tentare di riuscirvi solo tramite la tecnologia potrebbe essere limitante. O forse stancante. Per questo l'idea di dedicarsi alla diffusione di contenuti su ampia scala appare come un'opportunità allettante ». Inoltre, sarebbe sbagliato credere che l'unico contributo che possa venire da dei giocatori "a forte impronta digitale" sia di tipo finanziario. Il loro investimento in termine di capitale intellettuale, infatti, è altrettanto importante. Se mai un settore ha avuto bisogno di innovazione - grandi idee, frutto di menti originali quello è il settore giornalistico. «Credo - ha detto Omidyar - che la tecnologia possa contribuire alla nascita di un giornalismo influente per la nostra democrazia e capace di esercitare un forte impatto su un grande numero di persone. Credo anche che la tecnologia sia in grado di diffondere questo giornalismo tra un pubblico generalista in modo commercialmente sostenibile».
Alcune imprese di piccole dimensioni hanno già creato dei siti giornalistici capaci di indicare una nuova strada, ma senza i mezzi necessari a colmare i vuoti venutisi a creare in seguito all'imponente ristrutturazione del mondo dell'editoria. Quando ad un tratto si ebbe l'impressione che i quotidiani, principali fucine del giornalismo di grosso calibro, sarebbero stati depauperati, o si sarebbero trasformati in ozioso trastullo. «Si riteneva - afferma Michael Zimbalist, vicepresidente del settore ricerca e sviluppo del "New York Times" - che i quotidiani sarebbero diventati dei semplici trofei nelle mani di ricchi imprenditoÈri giunti ormai alla fine della loro carriera. Adesso, invece, gli imprenditori di successo sono disposti, già a metà della loro carriera, a investire e tenere duro. In passato si sono comportati da guastafeste, e adesso sono pronti a mettere a frutto la lezione».
Stiamo assistendo a una profonda riconfigurazione. Negli oltre dieci anni durante i quali ho seguito il mondo del giornalismo non avevo mai assistito a un momento di maggiore ottimismo o più promettente. Operatori non-tradizionali come Bezos possono permettersi di adottare una strategia a lungo termine cosa che egli ha già fatto piuttosto efficacemente con Amazon. E gli ostacoli sono evaporati: strumenti digitali a basso costo facilitano la produzione e la collaborazione, mentre social media come Twitter e Facebook consentono la diffusione dei contenuti tramite la funzione di "sharing". Tecnologia e giornalismo - un tempo antagonisti - stanno per tentare un giro di danze, con Bezos e Omidyar in prima fila.
Non occorre certo una laurea in economia per capire che nel mondo della comunicazione la capacità di catturare l'attenzione dei consumatori per poi trasferirla altrove estraendone al tempo stesso valore potrebbe tornare molto utile. ITunes si è servito di contenuti a buon mercato e dal prezzo omogeneo per animare le vendite di dispositivi come l'iPod; Amazon si è servita di dispositivi a buon mercato, come Kindle, per incrementare le vendite di contenuti lucrativi. EBay è riuscita a ridurre gli attriti e i sospetti tra acquirenti e venditori che si scambiano articoli di ogni tipo. Riuscire ad adattare quelle stesse competenze alla produzione di notizie potrebbe avere un grande impatto, e le imprese editoriali potrebbero instaurare con i consumatori un rapporto che va oltre la fruizione passiva delle notizie.
Considerate l'abilità di Amazon nell'accompagnare i consumatori attraverso una varietà di opzioni altamente personalizzata. Che un articolo venga letto da un milione di persone è cosa ottima. «Come si fa però a indurre quel milione di persone a leggerne un altro?», domanda Henry Blodget, di Business Insider. Amazon è straordinaria nel personalizzare il proprio sito a misura di ogni visitatore. Compie ricerche infinite e capisce l'importanza della fidelizzazione e della rilevanza dei siti come poche imprese editoriali.
Uno dei segreti di Amazon (e di Netflix) sta nel non offrire un unico sito, ma milioni di siti personalizzati. Non è difficile immaginare in calce a ogni articolo di attualità l'aggiunta di un invito attentamente calibrato che indichi: "Coloro che hanno letto questo articolo hanno letto anche...".
Sarà divertente vedere a cosa porterà questa nascente alleanza. Malgrado le loro numerose differenze, il mondo delle notizie e quello della tecnologia condividono una convinzione idealistica secondo la quale il lavoro può migliorare l'esistenza degliesseri umani.
(© 2013 New York Times News Service Traduzione di Marzia Porta)

 

Informazione e democrazia il mantra dei nuovi tycoon
Di Federico Rampini, La Repubblica
Fatto salvo che la famiglia Sulzberger - gli editori storici del quotidiano - continua a smentire che "l'oggetto" sia in vendita, oggi un annuncio simile non stupirebbe più nessuno. In America la Silicon Valley sta riscoprendo la stampa. È una vera love story, sbocciata all'improvviso. La massa d'investimenti che si muovono dal centro globale delle innovazioni tecnologiche verso il mondo dell'informazione, è ormai una tendenza vigorosa. È troppo diffusa perché si tratti di una moda passeggera. Coinvolge personaggi troppo diversi tra loro, perché ci sia dietro solo una narcisistica ricerca di notorietà, o un angusto tornaconto politico- lobbistico. Finché si trattò di Jeff Bezos, fondatore e azionista di Amazon, che ad agosto mise sul tavolo 250 milioni di dollari per comprarsi il Washington Post, i sospetti di cui sopra potevano essere legittimi.
Le dietrologie si sprecarono, si andò a cercare una qualche "agenda politica" che il patron di Amazon poteva difendere possedendo lo storico quotidiano della capitale federale. Fu anche sottolineato che Bezos pagava una cifra modesta - in proporzione al proprio patrimonio personale che e` di 29 miliardi - per procurarsi un "trofeo" di prestigio (il quotidiano che denunciò il Watergate). Ma gli stereotipi non reggono alla prova di quel che va accadendo da mesi. Tra le ultime mosse c'é quella di Pierre Omidyar, 46enne fondatore di eBay, con un patrimonio di 8,5 miliardi: ha assunto il reporter Glenn Greenwald, reso celebre nel mondo per aver svelato sulGuardianinglese la vicenda del Datagate, il cyber-spionaggio invasivo della National Security Agency. La missione affidata dal fondatore di eBay a Greenwald è continuare a svolgere il proprio mestiere con un sito di news apposito. "Watchdog" è la parola-chiave: letteralmente significa cane-guardiano. È una parola che ha un senso antico e nobile nella liberaldemocrazia americana, assegna al Quarto Potere un ruolo essenziale di vigilanza, bilanciamento e controllo sugli altri tre poteri costituzionali della Repubblica. Iniziative analoghe vedono come protagonisti la vedova di Steve Jobs, fondatore di Apple, e altri nomi meno noti della Silicon Valley. Non passa inosservata la scelta di un gigante della Old Economy, Warren Buffett, che di recente ha collezionato ben 63 quotidiani locali. Buffett non è sullo stesso piano degli attori della Silicon Valley, nel senso che non è un innovatore. Tuttavia ha un acume raro per le opportunità d'investimento.
Le strade che imboccano gli investitori venuti dall'economia digitale sono variegate. C'è chi, come Bezos, crede di poter reinventare e rilanciare un grande quotidiano storico. C'è chi predilige contenitori esclusivamente online. C'è chi guarda a un business model misto, dove si rafforzano delle centrali di giornalismo investigativo supportate da istituzioni non profit: fondazioni, Ong, scuole di giornalismo. È un'esplosione di sperimentazioni, tipica della mentalità con cui è cresciuta la Silicon Valley: in un laboratorio incubatore di innovazioni si devono tentare le strade più ardite, sapendo che alcune si riveleranno sbagliate. Ma queste incursioni di giovani imprenditori dell'hi-tech hanno alcuni tratti comuni. La fiducia nel ruolo insostituibile dell'informazione in una società democratica. La consapevolezza che il "consumo" d'informazione sta crescendo a dismisura, raggiunge volumi mai visti nella storia umana, anche se una parte di questo consumo è stato assuefatto alla gratuità (Steve Jobs a suo tempo dovette affrontare un problema simile: il modello Napster aveva attirato una generazione di giovani verso il godimento gratuito della musica). Un padre storico della Silicon Valley, l'inventore del microchip Federico Faggin, traccia un'analogia con l'avvento della fotografia digitale al passaggio del millennio. Chi non la capì e tentò di rimanere nel business delle macchine fotografiche e delle pellicole è scomparso (Kodak); ma poiché oggi il consumo di foto ha avuto una vertiginosa escalation, altri hanno saputo proliferare inventando nuovi business per catturare questo boom di attenzione (Instagram, fra tanti). Chi ha creato dal nulla delle attività, come appunto Amazon e eBay, vuole trasferire la stessa vena "rivoluzionaria" nel reinventare l'equazione economica del produrre informazione. Al tempo stesso c'è il riconoscimento che il patrimonio di credibilità acquisito sotto il nome di una testata (Washington Post) o di un reporter d'eccezione (Greenwald) ha un valore che può essere rilanciato con nuove piattaforme e nuove strategie.
È avvincente lo spettacolo dell'America più dinamica e innovativa, che dopo avere partorito le tre rivoluzioni del personal computer, poi di Internet, infine dello smartphone e dei tablet, si cimenta con la missione storica di contrastare il declino della carta stampata. Anche a livello locale, si avverte che la scomparsa del piccolo quotidiano di provincia i cui cronisti frequentano ogni seduta del consiglio comunale, impoverisce la democrazia e indebolisce la società civile. Figurarsi un mondo in cui il Pentagono potesse condurre le sue guerre senza più corrispondenti e inviati della stampa a verificarne le versioni ufficiali; dove la Nsa-Grande Fratello potesse operare le sue scorribande nella nostra privacy senza oppositori organizzati e credibili. Cresce anche l'insoddisfazione verso uno scenario in cui prosperino solo i giganteschi contenitori- riciclatori di news, alla Google. In quanto al timore che i golden boys delle tecnologie cerchino una scorciatoia per rafforzare la propria influenza politica, basta leggersi le recenti inchieste che il Washington Post sta dedicando al proprio nuovo padrone: sono una lezione di autonomia dei reporter. 

Leggi tutti gli articoli su: La Repubblica, Federico Rampini, David Carr

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