Scandalo vigilanza privata: in Veneto indagato Carmine Damiano, presidente Mantovani
Domenica 10 Agosto 2014 alle 22:53 | 0 commenti
Attualità grandi furti / lo scandalo della vigilanza privata.
Aiuto, c'è un buco nel caveau.
Milioni spariscono dai forzieri dei portavalori. Senza rapine. E grazie a scarsa vigilanza. Ora si indaga. E spunta un nome noto
Di Fabrizio Gatti, da L'Espresso n. 30
È difficile oggi ottenere soldi da una banca. Ma se passate direttamente dal caveau, avete qualche possibilità in più. Ovviamente non tutti possono permetterselo. Bisogna avere i contatti giusti. Non con le banche, che finora non sapevano o forse in qualche caso hanno finto di non sapere. I contatti vanno presi con gli istituti che trasportano e custodiscono il contante.
Da anni ormai, per tagliare i costi, il denaro non viene più conservato nelle filiali. I caveau pieni di mazzette di euro e di monetine a tonnellate li hanno trasferiti nei bunker in aperta campagna, oppure nelle zone industriali. E lì può succedere di tutto. Perché una cosa sono le cifre registrate nei computer, un'altra quelle materialmente trattenute nei forzieri.
Un velo che per anni ha nascosto ammanchi. Furti interni ed esterni. Rapine o anche finte rapine per giustificare ulteriori ammanchi. Un piccolo sindacato del settore, il Savip e il suo segretario, Vincenzo Del Vicario, hanno sommato le cifre scomparse rivelate negli atti giudiziari o nelle conferenze stampa delle forze dell'ordine: oltre 233 milioni di euro in contanti. Il risultato denuncia la leggerezza con cui gli istituti bancari affidano la custodia dei soldi dei cittadini. Con il necessario benestare della Banca d'Italia, delle questure e delle prefetture che hanno l'obbligo di vigilanza. E che evidentemente non hanno vigilato abbastanza.
Cominciamo dagli ammanchi nei caveau di alcuni istituti. Denaro che doveva esserci e non c'è più: il Savip calcola dal 2005 a oggi un totale di 59 milioni 663 mila euro sottratti. E sono i casi denunciati: 49 milioni e 800 mila euro soltanto nel 2013, con gli scandali della «Nes» di Treviso (circa 40 milioni) e della «Ipervigile» di Nocera Inferiore in provincia di Salerno (9,8 milioni). Ma altre società starebbero per ammettere buchi nella contabilità . Le inchieste sono ancora in corso. Per la «Nes» di Treviso, i principali indagati sono Luigi Compiano, 60 anni, fino all'autunno scorso proprietario e presidente dell'istituto, e Carmine Damiano, 65 anni, ex questore nella città veneta e ora presidente della Mantovani spa, società coinvolta nei maxi scandali del Mose a Venezia e dell'Expo a Milano. Compiano è accusato di appropriazione indebita, evasione fiscale e corruzione del questore di Treviso. Damiano soltanto di corruzione, ma non per gli ammanchi, né per gli scandali Expo e Mose. Stando alle indagini del pm Massimo De Bortoli, affidate al colonnello Giuseppe De Maio e al tenente colonnello Massimo Dell'Anna della Guardia di Finanza di Treviso, nei confronti di Compiano potrebbe presto aggiungersi il reato di bancarotta fraudolenta. Trattandosi di un amministratore dell'istituto, le compagnie assicurative hanno già fatto sapere che non risarciranno i 40 milioni sottratti dal caveau, ai quali vanno poi sommati i 62 milioni di debiti accumulati dalla «Nes».
La prima conseguenza è l'aumento delle polizze in tutta Italia. Da gennaio 2014 i premi richiesti dai Lloyd's, gli unici che accettano di assicurare gli istituti di vigilanza italiani, hanno subito incrementi tra il 122 e il 400 per cento rispetto al 2013. Dall'anno scorso l'Italia è infatti considerata un territorio ad alto rischio e alcuni broker internazionali stanno addirittura valutando di abbandonare il nostro Paese: «Nell'ultimo anno, a fronte di una raccolta premi di circa 50 milioni, sono stati denunciati sinistri per un valore complessivo di 120 milioni», rivela un addetto ai lavori: «Alcune aziende nel giro di un anno sono passate da premi assicurativi di un milione e 800 mila euro a tre o quattro milioni per la copertura dell'attività del 2014». L'inadeguatezza dei controlli da parte di banche, prefetture e questure nel frattempo ha favorito la concorrenza al ribasso. Gli imprenditori più spregiudicati da un lato si aggiudicano gli appalti e dall'altro, per rientrare nelle spese, evadono l'Iva, i contributi previdenziali dei dipendenti e le imposte sui redditi. Oppure, in qualche caso, mettono le mani sui soldi depositati. La Guardia di finanza nel giro di qualche mese ha scoperto evasioni dell'Iva e delle ritenute per 24 milioni a Torino, 6 milioni a Roma, 19 milioni a Napoli. Tutte queste società avevano ottenuto la licenza dalle rispettive prefetture, nonostante i debiti con lo Stato. E spesso si erano aggiudicate appalti da enti pubblici: tra i committenti, anche la Banca d'Italia. Una prassi che mette fuori mercato gli imprenditori onesti.
Gli assalti ai caveau degli istituti di vigilanza sono l'altro capitolo del colabrodo Italia. Sempre secondo i calcoli del sindacato Savip, dal 2005 ladri e rapinatori hanno fatto sparire 63 milioni 200 mila euro. Compresi i 5 milioni rapinati alla «Cooperativa vigilanza Sardegna» a Nuoro il 14 ottobre scorso, i 6 milioni di bottino dell'assalto paramilitare alla «Sicurcenter» di Bari l'11 febbraio e il record di 30 milioni, mai ritrovati, prelevati nel 2008 dal bunker della «Mondialpol» a Biella. Ecco poi le appropriazioni da parte di guardie giurate infedeli che ammontano nell'ultimo decennio a 6 milioni 958 mila euro. Mentre le rapine ai blindati dal 2001 a oggi hanno fatto sparire altri 103 milioni 955 mila euro, con una intensificazione degli attacchi dal 2009 in poi: come il colpo di venerdì 21 marzo quando, a 40 chilometri da Cagliari, un commando di banditi svuota il furgone della «Cooperativa vigilanza Sardegna», già presa di mira in ottobre, e scompare con sei milioni in contanti. Oppure l'assalto da 180 mila euro, il 12 giugno sul Grande raccordo anulare appena fuori Roma e la sparatoria in centro a Napoli il 2 luglio nel tentativo, fallito, di bloccare il blindato che rifornisce di denaro gli uffici postali.
Il totale del contante scomparso in questi anni (e riciclato) è da capogiro: 233 milioni 776 mila 861 euro. Soldi che, come da anni segnala il Savip, spesso prendono il volo grazie ai mancati controlli sulla regolarità dei servizi di trasporto e custodia: «Anche quando si tratta di furti o rapine, andrebbe esaminata la gestione dell'istituto da parte degli amministratori», spiega il segretario Del Vicario: «Lo sfruttamento immotivato di contratti a termine, un'alta rotazione del personale, l'impiego di cooperative non qualificate nei caveau e il mancato rispetto delle norme minime di sicurezza aumentano l'esposizione. Il sistema finora ha ripianato i buchi attraverso le coperture assicurative. Ma è un Far West in cui si spalmano i costi sui cittadini che pagano servizi bancari più cari e sulle guardie giurate che si vedono ridurre lo stipendio».
In questa nebulosa, perfino ciò che dovrebbe essere a prova di ladruncolo è in realtà un colabrodo. Le cassette ermetiche con cui vengono alimentati gli sportelli bancomat sono un esempio. Sono cassette omologate. Una volta riempite di banconote, la loro serratura viene sigillata con una fascetta di plastica che deve rimanere intatta fino alla successiva riapertura. Infatti per appropriarsi del denaro, non serve tagliare la fascetta. Bastano due brugole in vendita per 50 centesimi in qualunque ferramenta. Infilando le brugole dentro due piccole feritoie, la saracinesca che permette il passaggio dei biglietti al bancomat si apre. A questo punto basta sfilare i biglietti, quanti se ne vuole. Ovviamente non bisogna svuotare la cassetta, altrimenti il trucco viene scoperto. Servono tra i dodici e i quaranta secondi, in base all'abilità delle dita, per aprire la saracinesca, arraffare una ventina di banconote da 50 o 100 euro e richiudere. Lo svuotamento anticipato del bancomat verrà considerato un errore dovuto al sistema di impacchettamento. Con volumi del contante in transito in ogni istituto tra i 20 e i 50 miliardi all'anno, non ci si scomoda per qualche migliaio di euro di ammanco. Ma quanto denaro è stato rubato in questo modo? Nessuno lo sa.
Le banche italiane a volte non si muovono nemmeno quando mancano all'appello milioni. Soprattutto se si tratta di monete. Dalle tasche piene di spiccioli ai caveau, gli italiani non le amano. I centesimi e i pezzi da uno e due euro diventano una scocciatura che rallenta i processi di conta e aumenta i costi di gestione. L'ultima frontiera per guadagnarci è la cessione sottobanco delle monete alle catene di supermercati. «È un passaggio funzionale all'appropriazione del denaro», racconta un broker assicurativo: «Nascondere o investire direttamente quintali di monetine che le banche non richiedono è ragionevolmente impossibile. I supermercati invece hanno bisogno di spiccioli. Allora alcuni istituti hanno cominciato a scambiare moneta con banconote. I documenti di accompagnamento sono perfettamente in regola. Solo che a questo punto le banconote non vengono più accreditate alle banche che ne sono le proprietarie. Spariscono: ma ufficialmente sono ancora monetine immagazzinate nel caveau». Questa la scena descritta in un rapporto al prefetto di Napoli su un istituto di Nola che custodiva il denaro di Poste e banche: «Giacevano cumuli di monete metalliche (euro), sparsi un poco ovunque, coperti alla meno peggio con teloni di plastica accessibili a chiunque. Si constatava la presenza di due container aperti, colmi anch'essi di monete metalliche (euro di vario taglio)». Anche alla filiale di Genova della «Nes» devono aver avuto qualche grattacapo con le monetine. Ce n'erano cumuli per 9 milioni, quando in realtà dovrebbero essere suddivise in pacchetti sempre riconducibili ai rispettivi proprietari: «Sembrava invece il deposito di Paperone», racconta uno degli ispettori presenti all'inventario.
Luigi Compiano, il patron della «Nes-North East Service» di Treviso, pizzicato con uno scoperto nei caveau per quaranta milioni, non smanettava con le brugole sulle cassette del bancomat e nemmeno si riempiva le tasche di monetine. Il suo sistema era molto più ingenuo. Firmava un assegno a se stesso e lo faceva depositare nel caveau a garanzia del contante prelevato. Ovviamente l'assegno non garantiva un bel niente visto che il conto corrente di Compiano non copriva il debito. Con quei soldi, il presidente della «Nes» tra l'altro ha comprato 500 auto da collezione, 70 motoscafi da gara, 140 moto, 60 bici da corsa, quasi tutte Bianchi, e quattro affettatrici Berkel. Beni custoditi in sette capannoni, ora sotto sequestro. Trentuno milioni se ne sarebbero andati così. Altri otto milioni sarebbero il bottino di rapine e furti non denunciati per evitare aumenti dei premi assicurativi. La Procura e la Guardia di finanza hanno appena concluso l'indagine.
Lo scandalo viene scoperto a fine 2013 grazie a due ispezioni richieste da banche clienti. Da allora il Tribunale ha affidato la «Nes» a un commissario straordinario. A Silea, paese nelle campagne appena fuori Treviso, il caveau ora svuotato, il filo spinato e la settantina di blindati gialli immobili da ottobre sono il monumento a un'epoca di incredibili leggerezze che non è ancora terminata. Le 305 guardie giurate messe in cassa integrazione, sui 500 dipendenti della società , sono l'eredità che Luigi Compiano ha scaricato sulle casse pubbliche italiane: un settore che tra il 2010 e il 2012 ha già consumato 4 milioni 774 mila ore di cassa integrazione straordinaria e in deroga, con un aumento del 32 per cento sui tre anni. Eppure la contabilità in ordine dovrebbe essere garantita a monte, visto che ciascun istituto opera e si aggiudica appalti in base a una licenza rilasciata dal prefetto.
Anche Luigi Compiano, forse, poteva essere fermato. Nel febbraio 2012 la polizia di Treviso scopre trentadue viaggi in cui i furgoni della «Nes», secondo l'accusa, trasportavano denaro non tracciato e non dichiarato: sei, sette, dieci, perfino 18 milioni per volta, senza la scorta prevista. Una violazione grave che può concludersi con la sospensione o la revoca della licenza del prefetto: «Un atto dovuto per la sicurezza del territorio e l'incolumità delle persone», dichiara il questore di allora, Carmine Damiano. Invece Compiano se la cava con una semplice multa. Dieci mesi dopo il questore sta per andare in pensione. «Nel suo futuro c'è Compiano, il colosso trevigiano della sicurezza privata, vero?», gli chiede nel dicembre 2012 la "Tribuna di Treviso". «È un avvicinamento che va avanti da tempo», risponde candido Damiano, «loro sono un gruppo importantissimo e io non sono un tipo da divano e televisione. Altro non dico». E infatti non può proprio dirlo. Da qualche settimana il questore ancora in servizio è già a libro paga di Luigi Compiano: un contratto di consulenza che, secondo la Guardia di finanza, gli fa incassare 25 mila 500 euro in tre mesi, più 18.300 euro all'anno di affitto pagato per una casa in centro a Treviso, più un'Audi in prestito. Il contratto viene siglato il 29 novembre 2012. Il giorno dopo, il 30 novembre, il questore firma una dichiarazione su carta intestata in cui personalmente certifica la buona condotta del gruppo «Nes» e Compiano la spedisce in fotocopia ai clienti per riconquistare la loro fiducia. Una dichiarazione decisamente anomala. Quando scoppia la bomba degli ammanchi nei caveau, Damiano è già altrove. L'ex prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi ha speso una buona parola per lui, perché sostituisca al vertice della «Mantovani spa» Piergiorgio Baita, appena arrestato. Così la racconta Baita. E l'ex questore diventa il nuovo garante della legalità nell'impresa più pagata del momento.
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