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Senato, province e cena "palladiana": anche a Vicenza arrivano dai partiti i sostenitori del "partitismo unico"

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Mercoledi 9 Luglio 2014 alle 21:15 | 0 commenti

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Luca Fantò, Segretario provinciale Psi Vicenza, ci scrive una lettera, che pubblichiamo di seguito, sulle modifiche costituzionali al Senato della Repubblica e sulle relative e discusse modalità di elezione dei senatori, simili a quelle dei consigli delle "nuove" province tra cui quella di Vicenza che a settembre sceglierà i suoi vertici con elezioni di secondo grado cioè con consiglieri comunali e sindaci ad esercitare diritti democratici prima riservati ai cittadini. 

E Fantò, di cui condividiamo buona parte dei timori per la sovranità popolare, interviene anche con riferimento a chi ha ha partecipato proprio ieri alla cena "palladiana" organizzata in Basilica (foto d'archivio) con modalità su cui ci sono già giunte critiche e perplessità, che avremo modo di approfondire, da Achille Variati che ha invitato i rappresentanti dei 121 comuni del Vicentino per confrontrarsi su vari argomenti tra i quali, lecito pensarlo, la sua più che certa candidatura al comando della provincia in alternativa, al momento, ad Attilio Schneck, rimasto ieri senza... cena.

 

Da Luca Fantò, Segretario provinciale Psi Vicenza

Egregio Direttore,

la riforma del Senato e quella delle Province rappresentano la stessa faccia di un'unica medaglia: l’allontanamento degli elettori dai luoghi in cui la loro volontà può essere rappresentata. Si tratta di riforme che non avvengono certamente all’improvviso e di cui i politici, che hanno governato il Paese dagli anni ’80 ad oggi, sono al tempo stesso vittime e artefici.

 

E’ evidentemente in corso in Italia una rivoluzione istituzionale che sembra essere l’atto finale di un lungo processo economico, politico e sociale. Un processo che ha attinto la propria forza dalla pessima gestione della “cosa pubblica” negli anni che hanno chiuso il XX secolo, che è stato innescato è si è sviluppato attraverso le televisioni prima ed internet oggi, che ha scardinato i valori della democrazia rappresentativa dalla nostra società a vantaggio di una diffusa ed illusoria fiducia nel pragmatismo politico e nelle capacità dell’individuo di affrontare e risolvere i problemi che sono della comunità. Questo processo, nel suo svolgersi, ha visto esplodere quella crisi che avrebbe potuto rappresentare la fine di una politica economica e finanziaria senza morale e senza attenzione per gli interessi della comunità, l’ha, invece, dominata e ne ha fatto l’ “arma  finale” per abbattere le Istituzioni politiche.

Così oggi, davanti agli occhi degli italiani, si recita l’atto finale di una rappresentazione che giustifica l’espropriazione del potere di delega e rappresentanza. Non è la prima volta che succede in Italia, non sarà l’ultima. La storia è ciclica e l’ignoranza (varrebbe la pena di ricordare il caos in cui è stata gettata la scuola statale) ne è il motore immobile.

In questa rappresentazione i protagonisti sulla scena sono uomini di partito nati, cresciuti e tuttora sostenuti dai partiti e che come molti tra i invitati di ieri sulla terrazza palladiana si fanno paladini dell’antipartitismo, o meglio del “partitismo unico”; i protagonisti sono gli intellettuali di regime che hanno prima condannato le ideologie e che ora profetizzano o certificano la fine della democrazia rappresentativa. Sono molti gli attori in attesa di Godot, in attesa del presidenzialismo o di un capo del Governo eletto direttamente dagli italiani.

Perché il regista di questa drammatica rappresentazione, che ha abilmente manovrato i suoi attori, i suoi spazi e persino gli imprevisti che si sono verificati in corso d’opera, ha previsto un finale con un trionfo, il trionfo dell’ideologia, di un’ideologia…

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