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Renzo Rosso, patron della Diesel: "Il Job Act di Matteo Renzi va nella giusta direzione"

Di Redazione VicenzaPiù Domenica 22 Dicembre 2013 alle 18:56 | 0 commenti

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Di Ettore Livini, La Reubblica
"Assurdo aumentare l'età pensionabile assumiamo i giovani e paghiamo di più"
Renzo Rosso di lavoro ne sa qualcosa. Ha iniziato da zero. Ha messo su un impero che oggi impiega 7mila persone e fattura 1,5 miliardi. L'età media dei suoi dipendenti è di 31 anni. E quel maledetto numero - «intendo il 41,2% di disoccupazione tra gli under 24» - è una statistica «che proprio non mi va giù».

«Questi ragazzi sono il futuro dell'Italia, hanno energia e passione - dice -. Dobbiamo riportarli negli uffici, nei negozi e nelle fabbriche ». La sua ricetta? Una formula poco ortodossa e rivoluzionaria, come nello stile della casa, fatta di «stipendi più alti, pensioni anticipate per avviare chi è in età più avanzata a lavori socialmente utili e più flessibilità per le assunzioni ». E la flexi-security lanciata nel Job Act del neo-segretario del Pd Matteo Renzi, per cui Rosso non ha mai nascosto una certa simpatia, «va nella giusta direzione».
Come sta l'Italia vista dai negozi della Diesel e cosa possiamo davvero fare per iniziare ad abbattere l'Everest della disoccupazione?
«L'Italia non sta bene. Di statistiche so poco ma non riesco a spiegarmi sinceramente come faccia il Pil a salire. Io vedo i nostri negozi sempre più vuoti e la buca delle lettere di casa mia e delle mie fabbriche piena di richieste d'aiuto di gente che non ce la fa ad arrivare a fine mese. Si respira un'aria di insofferenza e il 2014 sarà ancora peggio. Il problema è che per creare lavoro bisogna ribaltare molti luoghi comuni. Come si fa ad esempio a lasciare a casa i giovani e nello stesso tempo ad aumentare l'età pensionabile?».
Lo chiede l'Europa per far quadrare i conti dello Stato. Lei cosa farebbe?
«Io lavorerei per agevolare le assunzioni. Il lavoro troppo protetto è controproducente. Non a caso in Italia noi passiamo più tempo a difendere il posto invece che provare a crearlo. Il modello scandinavo di cui ha parlato Renzi è un buon punto di partenza. Ok la guerra al precariato, ma un'azienda deve poter adeguare con flessibilità i suoi organici ai cicli di mercato e ai picchi legati alle commesse. È così che si possono portare a lavorare i nostri figli che sono la parte più dinamica del Paese ».
Pensa che l'Italia sia pronta a un'esperienza un po' "all'americana" di questo tipo? In fondo appena si è parlato di articolo 18, sono partiti i distinguo...
«Servono, ovvio, anche adeguate protezioni sociali. E pure qui i primi passi di Renzi mi paiono interessanti. Sono d'accordo con un reddito di base e con l'accento sulla formazione permanente a 360 gradi. Ma le dico di più. Io alzerei e di molto gli stipendi. Con quelli che si pagano oggi è difficile arrivare a fine mese. Servono salari adeguati al costo della vita e bonus per chi lavora bene. Poi bisogna agevolare l'uscita anticipata dal lavoro di chi è più in là con gli anni, magari impiegandolo in servizi socialmente utili con retribuzioni più moderate».
Molti temono che la flexi-security di Renzi possa aprire un fronte complicato con i sindacati, specie la Cgil. Cosa pensa?
«Il ruolo del sindacato è importante per il dialogo tra le parti sociali. Io penso globale. Per creare posti bisogna far girare l'economia. E oggi l'economia è entrata nell'era digitale. Rimanere legati agli schemi degli anni '70 rischia di essere controproducente. L'ho detto ai dipendenti che stanno dietro ai successi dei nostri marchi (Diesel, Margiela, Marni, Viktor&Rolf, Staff International, Brave Kid) nel discorso di Natale: dobbiamo essere orgogliosi, valorizzare la dignità del posto di lavoro e guardare avanti. Far scendere e presto quel 41,2% di disoccupazione giovanile è un impegno morale per tutti. E si può fare ».


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