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Renzo Ghiotto, il Tempesta de I piccoli maestri è andato avanti

Di Piero Casentini Lunedi 12 Dicembre 2016 alle 15:50 | 0 commenti

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Se ne è andato per sempre Renzo Ghiotto, partigiano col nome di battaglia Tempesta, uno dei piccoli maestri narrati da Luigi Meneghello. Era nato a Montecchio Maggiore nel 1924, un anno dopo il fratello Renato, giornalista che diresse il Giornale di Vicenza all’indomani della Liberazione, e con il quale avrebbe condiviso un periodo da emigrante in Argentina, dopo la guerra. Tempesta fece parte del gruppo di vicentini che andarono in montagna con Antonio Giuriolo, il capitano Toni, combattendo armi in pugno i nazifascisti. Incontrai Renzo Ghiotto nel 2012 quando il Comune di Vicenza, dietro impulso di ISTREVI, l’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Vicenza, decise di omaggiare gli ultimi piccoli maestri di una targa ricordo.

Non dimentico la scossa vitale che mi provocarono le parole, limpide e cariche di serena fiducia, che Tempesta pronunciò in quella occasione. Disse, mi permetto di parafrasarlo, che l’andata in montagna scaturì dalla legge morale, conquistata grazie all’incontro maieutico con Giuriolo, e quando si ha quella dentro di sé, ed il cielo stellato sopra la testa, riprendendo la conclusione della Critica alla ragion pratica di Immanuel Kant, non si teme più nulla. Aveva 88 anni eppure sembrava un ragazzo. Mi vergognai un poco, sentendomi meno libero e leggero di quanto apparisse lui che, nonostante i segni del tempo, era rivolto al futuro con curiosità e gratitudine. Capii che la sua conquista, definitiva e totale, era la libertà: di scegliere, di agire secondo coscienza, assumendosi la responsabilità di discernere il bene dal male, e magari sbagliando, ma sempre in prima persona. Renzo Ghiotto non smise mai di riaffermare i valori per i quali aveva combattuto: nel gennaio del 2015 insieme a Dante Caneva e ad altri 200 cittadini, inviò una petizione al sindaco Achille Variati per chiedere che la bandiera della città di Vicenza, decorata con due medaglie d’oro al valor militare, una delle quali guadagnata dalla Resistenza, venisse spostata da palazzo Trissino durante i lavori del convegno su Giorgio Almirante. Gli onori non lo avevano imbonito né addomesticato, bollò il convegno patrocinato dall’amministrazione Variati come “inappropriato, fuorviante ed offensivo per i vicentini democratici che considerano la Resistenza matrice della Repubblica italiana”. Renzo Ghiotto, al termine di una lunga e operosa vita, se ne è andato più leggero, dopo che un macigno gli era stato recentemente tolto dal cuore. Nel marzo del 1945, Tempesta aveva assistito alla condanna a morte di Guido Bottegal decisa, pare, da Giovanni Garbin, comandante partigiano col nome di Marte. Bottegal, il Poeta, il Fuggitivo come lo chiamava il suo mentore ed amante Giovanni Comisso, era un ragazzo di vent’anni, ribelle, che lo scrittore aveva spedito in Altopiano per farlo stare lontano dai guai. Aveva disertato dalla Marina repubblicana, era stato imprigionato dai fascisti, a Cesuna lavorava per la Todt. Marte non si fidava, forse lo riteneva una spia, e lo condannò a morte. Tempesta non seppe o non poté opporsi e il giovane venne assassinato dai partigiani garibaldini in un bosco. L’anno scorso Giorgio Spiller, dell’ANPI Sette Comuni, ha fatto da tramite con la famiglia Bottegal per ripristinare la croce che per lunghi anni, dopo la guerra, segnalava il luogo dell’esecuzione. Quando Tempesta seppe di questa iniziativa, disse a Spiller: “dio ti benedica per quello che fai”. In una guerra, anche se combattuta dalla parte giusta, vengono spezzate vite innocenti. Ora Renzo Ghiotto mi auguro sia in pace, magari dalle parti di malga Fossetta, insieme a Dante, a Gigi, Lelio, Bene, Enrico e a Toni, ma su in alto, qualche migliaio di metri sopra i prati ghiacciati, tra il cielo stellato che lo incantava.


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