Quotidiano | Categorie: Cultura

Pubblicati 15 dei 47 quaderni di Antonio Giuriolo, il maestro de I piccoli maestri

Di Piero Casentini Sabato 19 Novembre 2016 alle 13:00 | 0 commenti

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Ha fatto il pienone, venerdì 18 novembre a Vicenza, la presentazione del libro curato da Renato Camurri, professore associato di Storia contemporanea all’università di Verona, intitolato “Pensare la libertà. I quaderni di Antonio Giuriolo” pubblicato da Marsilio editore con il contributo di ISTREVI, l’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Vicenza e provincia. Si tratta della prima pubblicazione di una parte, 15 su 47, dei quaderni privati di Antonio Giuriolo donati dagli eredi ad ISTREVI nel 2006. Figura di primo piano dell’antifascismo italiano, Giuriolo fu in contatto con Aldo Capitini, Norberto Bobbio, Carlo Ludovico Ragghianti e altri intellettuali che nel clima asfittico del ventennio fascista seppero intessere una rete di relazioni, sempre sul filo della clandestinità, grazie alla quale individuare punti di riferimento sani, genuini, intorno ai quali ricostruire pensieri di libertà.

Giuriolo, professore senza cattedra a causa del reiterato rifiuto al partito fascista, raccolse intorno a sé alcuni giovani vicentini che grazie al suo pensiero, rinacquero liberi e poi combatterono i nazifascisti. Luigi Meneghello scrisse che Giuriolo, il capitano Toni morto in combattimento nel 1944 a 32 anni, era essenzialmente un esempio. La sua figura maieutica si esercitava attraverso la dialettica, la lettura consigliata di alcuni libri ed il rapporto che sapeva stabilire tra i testi che occupavano la sua biblioteca. La pubblicazione dei suoi quaderni privati è uno “straordinario esercizio filologico”, come affermato da Marco Bresciani, ricercatore presso l’università di Zagabria, che ha paragonato Camurri ad un chirurgo e poi ad un montatore cinematografico. “Giuriolo” ha detto Bresciani, “aveva preso sul serio il fascismo, espressione della profonda crisi della società europea del tempo”. Il vicesindaco di Vicenza, Jacopo Bulgarini d’Elci, ha parlato di “libro straordinariamente urgente alla luce dei fatti recenti”. Secondo Bulgarini la Brexit e le recenti elezioni americane sono il frutto del “ritorno d’intensità del vento del populismo che soffia forte e pericoloso anche perché abbinato a nuove forme di comunicazione. I social network, che sono stati il principale mezzo d’informazione politica degli elettori di Trump, e in particolare Facebook che è governato da algoritmi, portano ad un appiattimento dei contenuti e anche del concetto di libertà”. Mario Isnenghi, presidente di IVESER, l’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea, ha parlato di “operazione filologica, ma anche politica. Il libro di Camurri e Giuriolo” ha dichiarato Isnenghi, “è un’occasione molto importante per scoprire Giuriolo oltre Meneghello e il mito del maestro de I piccoli maestri. Due fili polemici percorrono il libro” ha proseguito lo storico veneziano, “uno di Camurri che critica coloro i quali hanno seguito il mito costruito da Meneghello; il secondo di Giuriolo che critica il marxismo e il comunismo”. Renato Camurri si è già occupato, sempre con il sostegno di ISTREVI, della figura di Giuriolo e non è la prima volta che batte sul tasto del mito da smitizzare attraverso gli strumenti della storiografia. È venuto il sospetto che alcune critiche fossero rivolte ad Antonio Trentin, presente in sala, al quale va però riconosciuto il merito di aver tracciato per primo un profilo biografico e politico di Giuriolo, in tempi in cui solo Meneghello e Bobbio ne avevano scritto. Apologia forse, ma di una qualità letteraria difficilmente raggiungibile, almeno per quanto riguarda Meneghello, trasmessa da persone che Giuriolo lo avevano conosciuto personalmente e ne avevano vissuto in prima persona il trauma del distacco e della morte. L’influenza di Giuriolo, stando a quanto scritto da Meneghello, non era fatta di parole scritte, ma era viva, fatta di rapporti con le persone. Il libro appena pubblicato, dunque, è sicuramente uno straordinario, per riprendere un aggettivo molto usato dai relatori, esercizio filologico che aiuterà gli studiosi ad addentrarsi nel lavorio privato di Giuriolo senza doversi recare nell’archivio ISTREVI. Viene da pensare, però, che per far conoscere, magari ai più giovani come auspicato da Giuseppe Pupillo, presente in qualità di presidente ISTREVI, la figura di Giuriolo, sarà difficile superare quanto scritto da Meneghello, anche a causa dei vuoti che lo scrittore maladense ha voluto lasciare intorno alla figura del suo maestro. In sala, comunque, sotto i trent’anni non c’era nessuno, se si escludono i figli di Camurri. Curioso notare, infine, che tutti i relatori erano professori universitari, chiamati a parlare di uno che professore non era perché a differenza della quasi totalità dell’allora corpo accademico italiano (solo 12 professori su 1250 rifiutarono la tessera del PNF), non aveva aderito al fascismo. Insomma, piace pensare che Giuriolo sia altrove, inafferrabile, sfuggente a qualsiasi tentativo biografico o d’incasellamento ideologico. Libero di vagare per le sue montagne, lontano dalle celebrazioni e dalla retorica, anche quella dell’antiretorica.


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