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Profughi, il sudest asiatico lancia una proposta

Di Citizen Writers Domenica 11 Maggio 2014 alle 14:37 | 0 commenti

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Riceviamo da Roberto Ciambetti, assessore Regione Veneto, e pubblichiamo - Emergenza, ciò che risale alla superficie dell’acqua, che affiora in maniera inaspettata,  opposta a “mergere”, affondare, tuffare. Emergenza è quella che stiamo vivendo a seguito dell’operazione Mare Nostrum e vien spontaneo riflettere su quel venire a galla che l’etimo ci richiama: emergono inefficienze, improvvisazioni, inettitudine, visibili quando si pensa di gestire, con fare alquanto sbrigativo, attraverso le Prefetture.

E le convenzioni stipulate con le strutture di accoglienza sparse sul territorio il problema di migliaia e migliaia di profughi, usando una soluzione provvisoria  davanti ad una questione che provvisoria non è. La si affronta cancellando il reato di clandestinità e non si sa guardare lontano.
Il governo Renzi ha scelto  una sorta di soluzione placebo, quasi a mettere a posto la coscienza dello stato lasciando nei guai Regioni, sindaci, associazioni  e cittadini chiamati a sostenere l’impatto di una ospitalità che ha gravi costi economici e sociali in un territorio fin troppo già provato e disarmato perché privo di fondi, risorse e strumenti reali per garantire assistenza.
Operazioni come Mare Nostrum, l’aver eliminato dal nostro ordinamento il reato di clandestinità  si stanno dimostrando non scelte umanitarie, ma l’aver scaricato responsabilità, e costi,  che lo stato non vuole affrontare su chi ha già troppi problemi.
Così, viene da chiedersi perché in Italia sia passato sotto un sostanziale silenzio un seminario internazionale di due giorni a Jakarta sul tema dei richiedenti asilo, pensato  con l’obiettivo di prevenire la tratta di esseri umani e il contrabbando di persone. L’evento è stato organizzato in Aprile dal governo indonesiano e dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati;  vi  hanno  preso parte nazioni interessate dal fenomeno: Afghanistan, Australia, Bangladesh, Cambogia, Filippine, Indonesia, Iran, Malesia, Myanmar, Nuova Zelanda, Pakistan, Papua Nuova Guinea, Sri Lanka e Thailandia. Presente anche l’Ufficio Onu per le droghe e il crimine (Unodc) visto che il fenomeno, come sappiamo bene aqnche in Italia,  coinvolge organizzazioni criminali ramificate, particolarmente attive quanto potenti. I paesi del sudest asiatico  coinvolti nel problema  convergono nell’imporre limitazioni rigide nella concessione di visti insieme ad altre misure restrittive per frenare il traffico di persone. Già da tempo alcuni stati puntano ad affrontare il tema con responsabilità condivisa, tra i territori di partenza, di transito e di destinazione, strategia questa che mi sembra più che corretta e condivisibile.  
Certo, divisioni,  anche profonde, soprattutto  tra Indonesia e Australia, non mancano: ma colpisce il diverso approccio rispetto a quello italiano ed europeo sul tema. Secondo il  rappresentante dell'Unhcr in Indonesia, Manuel Jordão, “Le statistiche evidenziano oltre 300 mila richiedenti asilo nel sud-est asiatico”.  Cifre impressionanti anche se ben inferiori a quelle denunciate dal ministro Alfano che parla di almeno 600- 800 mila immigrati in attesa sulle coste africane del Mediterraneo.  A Jakarta  nazioni con lingue, culture e fedi diversissime tra loro,  stanno cercando di affrontare con pragmatismo il tema. In Europa, la Commissione europea  lesta nell’imporre sanzioni sul calibro dei piselli o sulla curvatura delle banane, draconiana nelle politiche di difesa dell’Euro, tace mentre il governo italiano arranca. A guadagnarci, al momento, sono solo le grandi multinazionali del crimine e dello schiavismo.

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