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Primo Maggio e shopping center: è qui la festa?

Di Citizen Writers Giovedi 1 Maggio 2014 alle 10:05 | 0 commenti

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di Roberto Ciambetti, Assessore regionale Lega Nord
"Piantate in mezzo a una pubblica piazza un palo coronato di fiori, ponetevi intorno un popolo, e otterrete una festa" scrisse Rousseau nel 1758: festa come divertimento, ma anche momento di unificazione sociale e strumento di costruzione civile. Nella festa, religiosa come laica, il popolo celebra la sua identità e celebrando i valori costitutivi della sua comunità riafferma i legami sociali, i vincoli, i sentimenti di solidarietà che uniscono le persone.

Cosa accade quando si mette in discussione la festa? Cosa accade se la giornata della comunità perde il suo valore e si trasforma in un altro da sé? Cosa succede se il palo di Rousseau viene alzato non nella pubblica piazza ma in un shopping center?
Chiediamocelo. Chiediamocelo oggi ricordando che per la Costituzione l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, per cui la celebrazione del 1 maggio, festa del lavoro, non può essere festa di parte bensì valore di tutti. Di tutti? Non proprio.
Le aperture obbligate dei Centri Commerciali dove anche i piccoli conduttori e proprietari di negozi devono sottostare a tempi, ritmi e ricatti abnormi imposti dalla grande distribuzione, prefigurano un nuovo ordine e un nuovo mondo dove al cittadino si sostituisce il consumatore emblema di un diverso modo di abitare il tempo e i luoghi.
Non si può n'dar a far ‘na vasca in una "mall" o in un shopping center: ‘na vasca si fa sul Liston non nei centri commerciali. Eppure proprio nei giorni festivi proprio le grandi mall si sono riempite all'inverosimile di persone impegnate nello window shopping mentre le nostre piazze, luogo delle memorie, si svuotano come nelle metafisiche visioni di De Chirico.
E non sono metafisici, ma stratosferici gli affitti richiesti nei Centri storici e anche antichi locali chiudono i battenti. La contemporaneità è fatta da vuoti. Prima delle piazze, alle botteghe, alle vecchie osterie, s'erano già svuotate le sezioni dei partiti cinghia di trasmissione tra la base e i suoi rappresentanti. Vuoto di autorevolezza. Vuoto di competenze. Vuoto di capacità. Il vuoto più grande è quello di valori e ideali, gli stessi che stavano all'origine e motivavano la festa.
Il processo di delegittimazione della politica è uno, e non l'unico, elemento di questo scenario di vuoti, che segna una fase di omologazione e omogeneizzazione, in cui non solo le culture locali ma i saperi e la scienza vengono relegati in secondo piano.
Il nuovo ordine si celebra nel simulacro del nuovo politico dal volto simpatico, trendy, fashionable, che scambia la rapidità con l'efficienza, che non ha nulla da dire ma lo dice bene e che finisce per essere schiavo di quelle consorterie contro le quali dice di ergersi ma delle quali è succubo e funzionale.
Nel rifiuto della festa, nella sua trasformazione in shopping day, in cui troppi, anche sotto odioso ricatto, sono costretti a sacrificare il giorno di riposo, tornano alla mente i versi di Pasolini, versi che vien fatto di dedicare a coloro che vorrebbero dividere il mondo tra chi va in fretta e chi no, chi pensa di precorrere i tempi e vorrebbe rottamare persone, istituzioni e tradizioni, versi che sono la migliore chiosa alla decisione dei Consiglio regionale del Veneto per l'indizione di un referendum per l'abolizione della deregulation commerciale: "Grazie a Dio si può tornare indietro/Anzi, si deve tornare indietro./ Anche se occorre un coraggio che chi va avanti non conosce."

Leggi tutti gli articoli su: Roberto Ciambetti, Primo maggio

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