Napolitano, "questione morale" e democrazia: lucrò su viaggi UE, ora imita Nerone
Venerdi 25 Luglio 2014 alle 23:30 | 1 commenti
Giorgio Napolitano si schierò fin dall'inizio contro Enrico Berlinguer che, sulla "questione morale" *, esprimeva la posizione ufficiale del Partito Comunista di allora con parole che oggi sono ancora un monito per tutti. Lo osteggiò in ogni maniera, e oggi si capisce ampiamente perchè alla luce degli avvenimenti che hanno contraddistinto e segnano ancora il suo duplice mandato esercitato sempre di più con un'interpretazione a dir poco allargata di quelle che sono le prerogative costituzionali della figura unificante del Presidente della Repubblica.
Napolitano osteggiò Berlinguer da sempre e anche prima del 1969 quando, durante il XII Congresso svoltosi a Bologna, la larga maggioranza dei membri della Direzione del Pci, chiamata a scegliere il futuro successore dell'allora malato segretario, Luigi Longo, espresse un'ampia preferenza piuttosto che per l'attuale bi-presidente della Repubblica, allora quarantaquattrenne, proprio per l'allora quarantasettenne neo deputato sardo, poi rivelatosi il traghettatore del Pci, ai tempi "duri" dell'Unione Sovietica e della Cina di Mao, verso "la sovranità nazionale, la democrazia socialista e la libertà di cultura"**.
Giogio Napolitano, d'altronde, nel 1956 si era segnalato, forse precorrendo il suo concetto attuale di democrazia, per la sua condivisione dell'invasione dell'Ungheria da parte dell'Armata Rossa dichiarando che «ha non solo contribuito a impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma alla pace nel mondo».
E saltando al 2004 Re Giorgio fu immortalato in un video di una tv tedesca praticamente censurato in Italia (da noi pubblicato il 26 dicembre 2011 riprendendolo da La Sberla di Marco Miloni, che l'aveva scovato tre giorni prima, e riproposto ora in copertina) e che mostra, scrivevamo, «un Giorgio Napolitano stizzito nei confronti del cronista germanico il quale gli fa notare la cresta che l'allora europarlamentare lucrava sul rimborso aereo. Più di settecento euro pagati dalla collettività a fronte di un biglietto che ne costava cento scarsi...».
Pochezze sì ma sintomatiche del gusto per il potere che ha guidato l'uomo che si è distinto ultimamente anche per aver deciso al posto del popolo sovrano e da vecchio despota chi nominare premier nelle ultime tre occasioni (Monti, Letta e Renzi) dettando lui l'agenda politica al posto del parlamento in perfetta sintonia col condannato, per questioni milionarie di fisco, Silvio Berlusconi, al di là di baruffe recitate con maestria per il popolo da ammannire e da tenere nell'ignoranza, complice certa stampa che idolatra Giorgio neanche fosse un... dittatore.
Di certo non del proletariato, lui che del comunismo inteso come ideologia ha fatto scempio per un continuo (ab)uso del potere che lo ha condotto a imporre la sua volontà al presidente del Senato, Grasso, e a non ricevere i rappresentanti delle opposizioni, lui che ogni giorno e per ogni sputo spara sentenze o spara, di fatto, contro certe sentenze non gradite a B. o contro certi pm che vorrebbero interrogare Re Giorgio sulla trattativa Stato - mafia.
E' lui la versione moderna di Nerone?
O del Nerone di Ettore Petrolini: bene, bravo...
A lui piace sentirselo dire.
Peccato che così, completando la sua azione anti Berlinguer, uccida l'ultimo patrimonio dell'Italia mettendo al rogo la sua democrazia.
(nel foto montaggio Re Giorgio con Berlusconi, Monti, Letta e Renzi: al centro, in piccolo, la foto con Berliguer su cui avrebbe dovuto puntare, alla grande, per passare alla storia come statista e non come scacchista, ndr)
*«La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico.»
(Enrico Berlinguer, da un'intervista a la Repubblica del 28 luglio 1981)
**Nel 1969 Enrico Berlinguer guidò una delegazione del partito ai lavori della conferenza internazionale dei partiti comunisti che si tenne a Mosca; in tale occasione, trovandosi in disaccordo con la "linea" sovietica, nonostante le pressioni sovietiche rifiutò di sottoscrivere la relazione finale. La presa di posizione, allora "scandalosa", fu memorabile: tenne il discorso decisamente più critico in assoluto fra quelli che mai leader comunisti abbiano tenuto a Mosca, rifiutando la "scomunica" dei comunisti cinesi e rinfacciando a Leonid Brežnev che l'invasione sovietica della Cecoslovacchia aveva solo evidenziato le radicali divergenze affioranti nel movimento comunista su temi fondamentali come la sovranità nazionale, la democrazia socialista e la libertà di cultura...
(Wikipedia)
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