Quotidiano | Categorie: Interviste, Immigrazione

Mathiaw Ndiaye, il primo senegalese a Schio, e Dieng Bubacar: parlano il Senegal scledense

Di Alessandro Pagano Dritto Domenica 2 Giugno 2013 alle 11:50 | 2 commenti

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Senegalesi, liberiani, marocchini, moldavi, romeni, serbi, bengalesi; in una parola, scledensi, visto che almeno i più giovani tra loro spesso sono nati qui. È un fiume di persone di ogni paese, vestite coi loro vestiti tradizionali, un fiume di parole in lingue tra loro diversissime, quello che da via Pasini gira, a Schio, in via Pasubio e poi raggiunge piazza Falcone Borsellino per partecipare alla prima giornata dell'iniziativa interculturale promossa dal comune, "Schio oltre i confini".

Le strade sono strette, le persone tante, capita di stringersi ai muri per far passare qualcuno e poi rimanere bloccati in questa babele multicolore e multisuono. In piazza Falcone Borsellino posano tutti, ogni gruppo con la propria bandiera: si va dai bambini di pochi anni fino ai quarantenni. Poi ognuno di loro va sul palco che è stato allestito per questi due giorni di interculturalità e si presenta al pubblico.
SchioThiene Più ha intervistato, durante un piccolo intervallo concesso ai gruppi e agli spettatori, due rappresentanti della comunità senegalese scledense: Mathiaw Ndiaye e Dieng Bubacar «Buba» (nella foto da sx Bubacar e Ndiaye).
Mathiaw Ndiaye è il primo migrante senegalese arrivato a Schio: finivano gli anni '80.
Signor Ndiaye, lei è il primo senegalese ad essere arrivato a Schio. Quando?
Sono arrivato a Schio nel 1989, quando ancora qui i migranti erano molto rari. Prima ero stato al sud, a Bari. Dal 1990 altri senegalesi sono arrivati qui da Bari.
Com'è stato l'impatto con la nostra realtà, con Schio?
Io a Schio mi sono sempre trovato bene. Non ho mai avuto problemi con gli scledensi, non ci sono rancori tra le comunità. All'inizio era difficile trovare casa. Un po' perché c'erano meno case, un po' perché c'era anche diffidenza nei nostri confronti. E così si abitava negli alberghi o in alcuni centri di accoglienza. Io per esempio ho abitato per un certo tempo ai Due Mori; ma altri hanno abitato in centri di accoglienza a Poleo, a San Giacomo o in via Don Faccin.
Prima sul palco hanno ricordato con un minuto di silenzio il primo senegalese deceduto qui a Schio. Chi era?
Si chiamava Badara Fall, è morto nei primi anni '90. Lavorava alle fornaci di San Tomio, fu portato all'ospedale, ma fu inutile. Qualcuno allora ritenne che non fu fatto nemmeno tutto il possibile per salvarlo. Facemmo anche una manifestazione, con l'appoggio degli studenti scledensi e dei sindacati. Ora comunque Badara è sepolto in Senegal.
Signor Bubacar, adesso com'è la situazione per i migranti?
Adesso la situazione è migliorata. È già più facile avere una casa. Prima magari facevi due, tre lavori, ma avere una casa era molto difficile. Quello che rimane difficile è avere la cittadinanza. C'è molta burocrazia, e richiede molto tempo. Puoi fare domanda per la cittadinanza dopo almeno dieci anni di residenza; prima devi fare richiesta alla prefettura di Vicenza, poi la richiesta passa alla questura e poi arriva a Roma. A Roma danno il permesso e se tutto va bene puoi andare in comune a fare giuramento. Ma i bambini che nascono qui, nemmeno loro hanno la cittadinanza italiana. E quindi rischiano di non essere né italiani né senegalesi.
Qual è la differenza maggiore che trova tra l'Italia e il Senegal?
È una mentalità diversa, e non riguarda solo l'Italia, ma tutta l'Europa. Qui in Europa tutto è programmato, è programmato il presente, è programmato il futuro. Da noi non è così, siamo più liberi. Anche perché noi abbiamo un concetto più allargato di famiglia. Qui la famiglia è ristretta: padre, madre, figli o poco più. Noi invece per famiglia intendiamo tutti, fratelli, zii, nonni, anche gli amici. Questo fa sì che da noi ci sia più solidarietà, se uno ha bisogno si rivolge a un familiare, se il familiare non può aiutarlo si rivolge a un altro per cercare di risolvere il problema e poi ci riuniamo tutti e ne discutiamo. Quindi anche se c'è crisi, da noi, questo impedisce grosse tensioni sociali. Voi avete uno spirito cartesiano, noi uno spirito ritmico. È difficile da spiegare, ma è così.

Leggi tutti gli articoli su: Schio oltre i confini, Dieng Bubacar, Mathiaw Ndiaye

Commenti

francesco paruta
Inviato Domenica 2 Giugno 2013 alle 12:00

Apprezzabile che Alessandro Pagano usi il "lei" nell'intervista e si rivolga a Mathiaw chiamandolo "signor Diaw". Modalità rispettose che anche giornalisti più blasonati dovrebbero ricordare quando si rivolgono ai migranti, senegalesi o "pakistani" che siano.
boubacar dieng
Inviato Lunedi 3 Giugno 2013 alle 16:08

l'immigrazione è sempre stata un fenomeno molto complicato perche i politici ci fanno cavallo di battaglia . per la sinistra lo stato deve fare che questo fenomeno sia organizatto con delle legge che permettarano ai soggeti di vivere con dignita lavorando e rispettando tutti doveri del paese ospitante ; per la destra l'immigrazione deve essere selettiva ,controlata e frenata perche è un pericolo per la citta.Da 1980 i communi fanno tutto per dare la possibilita ai stranieri d'integrarsi facendo delle feste,incontri ecc... pero non è teoricamente che l'integrazione si fara ;ci vuole atti derivanti dei migranti cio mettere lo straniero al l'inizio et la fine de tutto il processo . Responsabilizare l'immigrato vuole dire darle la possibilita da vedere e sapere la strada chi arriva verso un simbioso de cultura. Bisogna fare partecipare l'immigrato nelle politiche sociale e farle sapere con medium di comunicazione e non per le cronache nere ,metodi che assistiamo nei giornali locali .
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