Luca Di Tolve, cronaca di una "redenzione negata"
Giovedi 21 Agosto 2014 alle 08:43 | 0 commenti
Riceviamo da Donata Rizzi, che si definisce "una giovane credente vicentina» e che ha assistito all'intero intervento di Luca Di Tolve, domenica a Schio", una cronaca/riflessione sull'evento che volentieri proponiamo ai lettori.
«Il vero peccato è approvare il peccato»; queste le parole che mi accolgono non appena entrata nel tendone che ospita il XIII Meeting Internazionale dei Giovani, tenutosi a Schio dal 13 al 17 agosto 2014 ed organizzato dal Movimento Mariano Regina dell’Amore.
È domenica, giorno del Signore e di ideale conclusione del Meeting. L’intervento di Luca di Tolve è il momento culminante della giornata, giusto per finire in gloria un tour de force che si dipana tra veglie di preghiera, adorazioni eucaristiche, pranzi comunitari, concerti, testimonianze di fede e l’esposizione di reliquie di San Giovanni Paolo II (ovvero lo zucchetto e una garza intrisa del suo sangue, trafugata da alcune suore durante l'intervento all'anca cui fu sottoposto all’ospedaleGemelli di Roma). La strada d’accesso è presidiata da un notevole numero di carabinieri e camionette: sta sopraggiungendo il corteo organizzato dal Centro Sociale Arcadia in collaborazione con altri giovani di Schio. L’ordine è di sbarrare loro la strada per impedire che giungano al luogo dove sta per tenersi la comparsata di Luca. Vedo uno spiraglio tra una camionetta e l’altra, dopo un istante di titubanza mi avvicino e passo in silenzio. Sono dentro, mi dirigo con passo sereno verso l’area accoglienza: gadget, sorrisi, un buono sconto per cenare allo stand gastronomico; sembrano giovani aperti e solari. Mi accomodo all’interno del tendone: ospita diverse centinaia di persone, prevalentemente uomini e donne di mezza età , ma non mancano i giovani e i bambini con i loro genitori. C’è l’aria elettrizzata delle grandi occasioni; un video introduttivo presenta l’illustre ospite e le tematiche scottanti che affronterà nel suo intervento. Punto di partenza e in sostanza motivazione addotta per giustificare l’ingombrante presenza di Luca di Tolve in un innocuo meeting giovanile è il concetto della centralità della famiglia definita come tradizionale; ed in effetti anche l’intervento precedente, intitolato “Famiglia matrimonio tra uomo e donnaâ€, ruotava intorno a questo perno. Due i messaggi che risuonano nel video, ribaditi dal presentatore sul palco: «Satana comincia a distruggere l’uomo a partire dalla famiglia» e «Il vero peccato è approvare il peccato». Segue un silenzio carico di attese, poi entra in scena Luca, accolto da fragorosi applausi.
Con tono pacato, permeato da una buona dose di finta cautela, Luca inizia il suo monologo. La sua presenza su quel palco vuole essere una guida in questi tempi di disorientamento collettivo causato dal dilagare delle teorie del gender; il suo sarà quindi un intervento di chiarificazione. Definisce coraggiosi i partecipanti, che hanno superato i subbugli (infatti in lontananza si sente qualche schiamazzo ed un vago rumore di tamburi…) per arrivare al Meeting. Venite ad me omnes, potrebbe aggiungere qualche maligno.
Comincia il racconto della sua storia, la storia di quel Luca che era gay che bene o male tutti hanno conosciuto tramite la canzone di Povia. L’infanzia segnata della sofferenza, i genitori che non si amano, la separazione dal padre, il rapporto morboso instauratosi di conseguenza con la madre… un vissuto abbastanza comune, un triste trascorso da cui i più sono usciti indenni; eppure Luca sostiene di esserne stato irrimediabilmente danneggiato. La mancanza di confronto con una controparte paterna, virile, è una piaga purulenta che lo porta a vedere i suoi coetanei come estranei. Ma precisa immediatamente che nonostante ciò sentiva di essere maschio. A completare il quadro, la madre che lo veste a suo piacimento, provocando la derisione collettiva. È in questa sede che trapela l’unico messaggio veramente positivo dell’intero intervento: il bullismo va condannato ed arginato tramite un’educazione mirata. Luca corregge il tiro e puntualizza sul fatto che la sofferenza non è solamente dei gay, ma di tutti coloro che vengono considerati diversi.
Fine delle buone notizie.
Il racconto riprende: con accoramento ci descrive l’esperienza deleteria avuta con gli psicoterapeuti cui si era rivolto, i quali gli avevano cucito addosso, «come una stella di David» dice lui, il marchio di “omosessualeâ€. Vedendosi etichettare in questa maniera da uno specialista, Luca si sente «autorizzato ad esser gay» e a sprigionare le proprie pulsioni sessuali. Ed è così che finisce all’interno di quel mondo che egli stesso definisce «il Paese dei Balocchi», un mondo che Di Tolve ci dipinge con pennellate cariche di stereotipi che non possono non disgustare il pubblico – anche gay – accorso alla sua conferenza. Sembra fare riferimento alla prostituzione quando riferisce che nell’ambiente gay si è circondato di amici e li «accompagnava»; parla poi della sua infezione da HIV, a suo parere «causata dallo stile di vita omosessuale, sotto questo punto di vista indubbiamente più pericoloso di quello eterosessuale». Luca dischiude agli astanti il Paese dei Balocchi, ma a me sembra più che altro di esser nel bel mezzo della fiera delle banalità .
Continua l’invettiva: motore di tutto è il sesso promiscuo, «incentivato dalla distribuzione gratuita di preservativi, con la scusa dell’HIV». Ma ben presto il buon Luca si rende conto della profonda infelicità che lo circonda: le sue sono delle relazioni brevi, vede morire di AIDS i propri amici, cade in depressione e cerca di colmare il vuoto esistenziale buttandosi nella mondanità più sfrenata; organizza crociere gay e conquista il titolo di “Mr Gayâ€. Finché un giorno non arriva la conversione, ed è qui che Di Tolve, braccia aperte e sguardo adorante al cielo, dà spettacolo di se stessoraccontando alla platea: «Un giorno vidi una corona del rosario sul contatore della luce e sentii una locuzione interiore che mi ordinava: “Prendilo!â€Â».
Intraprende così un percorso catartico fondato su letture agiografiche, pratica della castità , vorace studio del Catechismo della Chiesa Cattolica ed appropriazione dei dettami del Magistero Infallibile.
Strappa al pubblico un entusiasta applauso quando afferma di essere andato a predicare la Divina Misericordia in giro per locali gay.
Dopo aver capito che «l’omosessualità è un peccato», decide di chiedere aiuto alla Madonna, ed ecco il provvidenziale incontro con un amico studente di filosofia che lo introduce alle teorie riparative di Joseph Nicolosi. È l’inizio della fine: Di Tolve si lancia in un’appassionata difesa di Nicolosi, sostenendo la bontà delle sue tesi e dichiarando incostituzionale non intervistare gli ex gay. Si scaglia contro le teorie del gender, che a suo parere «infestano la scuola plagiando le giovani menti». A suo dire infatti «l’omosessualità è causata da abusi e traumi; consiste in un’errata canalizzazione delle pulsioni, nella ricerca nell’altro della propria mascolinità repressa».A sostegno delle teorie riparative propinate da Nicolosi, cita inappropriatamente il disturbo F66 del manuale diagnostico dell'OMS, quando invece l’egodistonia si riferisce a tutti gli orientamenti sessuali.
Da questo momento in poi è una continua cascata di applausi: istantaneo (ed istintivo?) quello che scatta non appena viene nominata Medjugorje; altrettanto sentito quello che segue l’affermazione di aver finalmente trovato «un lavoro normale, da persona normale». Apprendiamo che, nella sua spasmodica ricerca di “normalità â€, Luca trova in Svizzera un pionieristico gruppo di supporto (da lui paragonato agli Alcolisti Anonimi) «di omosessuali ed ex omosessuali che vogliono scoprire il loro potenziale etero». Potenza che diventa atto quando a Medjugorje conosce Teresa, detta Terry.
Ma i miracoli non finiscono qui; tra gli effetti speciali annoverati da Di Tolve compare niente meno che la negativizzazione della propria infezione epatica: «un sieropositivo non può negativizzare l’epatite, ma la Madonna, grazie alle mie preghiere, mi ha fatto anche questo regalo». Allo stesso modo, afferma che «l’omosessualità , per chi vuole, può trovare un’altra via, e credo che la scienza prima o poi riconoscerà tutto ciò». In un crescendo parossistico arriva a declamare che «i gay devono smettere di rompere le scatole a noi cristiani: ci vogliono negare la redenzione». Nel massimo della concitazione finale, un blackout improvviso gli toglie la parola: scattano gli applausi, divisi tra l’incoraggiamento e il sollievo. Una voce si leva isolata, poco dietro di me: «FinalmenteQualcuno ha visto bene», dice.
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