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L'Espresso: minaccia Jihad, la risata postuma degli ottomani

Di Rassegna Stampa Lunedi 8 Giugno 2015 alle 21:35 | 0 commenti

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LA DISSOLUZIONE di quell'impero, cento anni fa, è la causa remota del caos Mediorientale. Dove, comunque vada, c'è un nuovo ordine da ristabilire

Di Bernard Guetta, L'Espresso n. 22 - 4 giugno
È davvero incomprensibile. Ormai i barbari sono a circa due ore di distanza da Damasco e da Baghdad; controllano la metà della Siria e la maggior parte delle regioni sunnite irachene, territori limitrofi che già formano un nuovo Stato sulla cartina del Medio Oriente; lo Stato Islamico si afferma come mai si sarebbe creduto possibile, eppure agli occhi di Barack Obama tutto ciò non giustifica una revisione della sua politica mediorientale.

Quanto all'Unione europea è del tutto assente, proprio quando questo sconvolgimento mette in pericolo i suoi mercati e le sue periferie.

L'Occidente non è mai sembrato così in ritirata, in declino, indifeso come in questi giorni di fuoco, ma la verità è che non ha altro che soluzioni sbagliate da prospettare, perché questo caos intricato risale al 1916, a quasi un secolo di vicissitudini storiche ininterrotte e tormentate.

Quell'anno Francia e Gran Bretagna decisero che, alla fine della guerra, si sarebbero spartite
i possedimenti in Medio Oriente che facevano parte dell'Impero ottomano, di quel "malato d'Europa" che aveva creduto di poter sopravvivere alleandosi alla Germania e all'Impero austro-ungarico. Il loro patto avrebbe portato, tra altre cose, alla creazione di Siria e Iraq, Paesi che nelle loro intenzioni dovevano restare divisi per poterli governare meglio. In Siria fecero coabitare una maggioranza sunnita con minoranze cristiane, druse, curde e sciite di rito alauita. In Iraq misero insieme una maggioranza sciita e minoranze sunnite, cristiane e curde. Nella fase di decolonizzazione in quei Paesi furono le coalizioni delle minoranze ad assicurarsi il potere: in Siria si strinsero attorno al clan Assad sciiti e cristiani, in Iraq fecero altrettanto con Saddam Hussein sunniti e cristiani.
Servendosi di dispotismo e tortura, queste dittature hanno retto fino a quando l'invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti non ha consegnato il potere nelle mani della maggioranza sciita, e finché le primavere arabe non hanno fatto scendere la maggioranza sunnita per le strade della Siria per chiedere a gran voce la libertà.
Quello è stato l'inizio della Guerra dei Trenta o dei Cento anni nella quale il Medio Oriente entra oggi. Per contrastare l'insurrezione democratica, il clan Assad non ha trovato niente di meglio da fare che svuotare le sue prigioni liberando gli islamisti più esaltati, quelli che poi hanno dato vita allo Stato Islamico riservando tutti i loro attacchi agli insorti democratici, presi tra due fuochi, dai jihadisti e dall'esercito siriano, mentre gli occidentali rifiutavano di aiutarli.

Estromessi dall'esercito iracheno dagli americani, gli ex ufficiali sunniti di Saddam Hussein ben presto hanno messo la loro esperienza militare al servizio dei jihadisti sunniti dello Stato Islamico, del quale non condividono il fanatismo religioso bensì l'ambizione a dar vita a uno stato sunnita a cavallo
di Iraq e Siria. Con la caduta di Ramadi e Palmira questo Stato ormai ha preso forma, mentre gli Stati di Siria e Iraq si sfasciano; mentre i curdi vorrebbero unirsi e affermarsi nei due Paesi, e mentre l'Arabia Saudita, capofila dei sunniti, è impegnata in un braccio di ferro con l'Iran, il paladino nella regione degli sciiti.
Riad e Teheran difendono ciascuno i propri seguaci, in Iraq come in Siria. Il loro conflitto ora si è esteso allo Yemen: la sua vera posta in gioco è il futuro rapporto di forze tra le due correnti dell'Islam.

Cosa possono faregli occidentali in cotanto pasticcio? I bombardamenti aerei della coalizione militare alla quale hanno dato vita con i Paesi sunniti non hanno ostacolato l'avanzata dello Stato Islamico. Anzi, in buona parte si sono rivelati inutili, perché avrebbero dovuto essere seguiti da un dispiegamento di truppe sul terreno; perché l'esercito iracheno ormai è solo apparenza; perché unicamente l'Iran potrebbe e vorrebbe intervenire e i Paesi sunniti non vogliono lasciargli mano libera.
Che fare, quindi, confidare nel regime siriano? Oltre a essere moralmente complicato, oltre al fatto che ciò equivarrebbe a fare affidamento sull'Iran, questo non è più il momento buono, perché il regime sta crollando. Che fare, quindi, decidere una volta per tutte di armare apertamente tutti gli avversari dello Stato Islamico, i curdi di Iraq e Siria, le milizie sciite irachene e le tribù sunnite che non chiederebbero di meglio che sbarazzarsi dei jihadisti, se avessero i mezzi per difendersi dagli sciiti?

Sì, questa potrebbe essere una soluzione e alcuni militari americani di fatto la raccomandano. In questo caso, però, gli occidentali si assumerebbero la responsabilità di accelerare l'esplosione del Medio Oriente e il suo disgregarsi in nuovi Stati identitari. Tutto ciò incute loro paura, ed è comprensibile. Non ci sono ancora arrivati, tuttavia, e mentre la Francia ha scelto di appoggiare gli Stati sunniti, Barack Obama gioca la carta del compromesso nucleare con Teheran, nella speranza che l'Iran spiani la strada a una normalizzazione del suo regime che potrebbe cercare così di pervenire a un accordo nella regione con i sunniti.
I Paesi della coalizione, arabi e occidentali, si incontrano (si sono incontrati, ndr) martedì 2 giugno a Parigi: allo stato attuale delle cose, non resta che aspettarsi la risata postuma dell'Impero ottomano.


Senza frontiere
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