L'e-sperienza di Gaetano Marzotto
Sabato 19 Ottobre 2013 alle 09:04 | 0 commenti
Leggo con "ammirato stupore" l'articolo del Corriere del Veneto (18 ottobre 2013, Primo piano – pag. 2) dal titolo "L'e-commerce di salverà dalla delocalizzazione. L'esperienza di Marzotto". Ebbene, in questo articolo sono riportate alcune "convinzioni" di Gaetano Marzotto (definito "presidente di Pitti Immagine e capofila della quinta generazione dei discendenti di Luigi Marzotto") in tema di produzione e vendita di prodotti.Â
Sono dichiarazioni che ci spiegano come bisogna essere pronti a vendere articoli secondo un modello di acquisto del cliente finale che si basa sempre più d'impulso per soddisfare desideri e non bisogni. Bisogna essere veloci, ci spiega il Marzotto, nel proporre quello che i potenziali clienti vogliono sotto varie sollecitazioni e stimoli. Bisogna essere rapidi nei riassortimenti proponendo colori e forme che siano in linea con il "trend" della moda del momento. Bisogna produrre senza perdere tempo e, allora, farlo in paesi lontani può essere troppo oneroso. Ne va della qualità e della velocità del riassortimento.
Delocalizzare, quindi, non serve, anzi, è penalizzante. Un ragionamento logico che non fa una grinza. Ma, ripeto, stupefacente proprio perché fatto da un personaggio che ha quel cognome illustre. Un cognome che, specialmente dalle nostre parti, ha significato lavoro e sviluppo. Marzotto ha significato questo tempo fa, troppo tempo fa. Ormai è solo un ricordo. Perché da "qualche anno" (o, meglio, da qualche decennio) Marzotto ha fatto gran uso di delocalizzazioni. Ha chiuso reparti e stabilimenti per trasferire altrove la produzione. Lo ha fatto in maniera massiccia e i risultati si vedono alla ex Lanerossi di Schio (oggi un'area produttiva tristemente dismessa) o negli stabilimenti di Valdagno che ormai occupano poche centinaia di lavoratori.
I risultati, per l'occupazione, sono stati disastrosi. Per la ricchezza della famiglia Marzotto, presumo, un "po' meno". Perché le delocalizzazioni a "lorsignori" sono servite a guadagnare di più, tanto di più, contenedo i costi del lavoro (spesso una percentuale ininfluente rispetto ai costi totali di produzione) e, soprattutto, ottenendo finanziamenti pubblici e la possibilità di "spendere meno" in termini di sicurezza del lavoro e inquinamento. Hanno delocalizzato per sfruttare di più e meglio (dal loro punto di vista) quelle che vengono chiamate, con un orribile neologismo, "risorse umane", quelle ambientali e gli "aiuti di stato".
Il web, ci spiega Gaetano Marzotto, salverà la produzione. Ma a cosa si riferisce, se qua da noi la produzione non esiste più e i responsabili di questo sono quella casta di imprenditori miopi e affamati di profitto dei quali lo stesso Marzotto fa parte?
Quanto detto dal capofila dei discendenti del fondatore del gruppo tessile, potrebbe essere la presa d'atto che scelte produttive fatte (le delocalizzazioni e la chiusura degli stabilimenti italiani) sono sbagliate, ma non si nota cenno alcuno di autocritica.
E, allora, sorge il dubbio che siano la premessa per chiedere qualche denaro pubblico per far tornare il lavoro dalle nostre parti.
Ma ci possiamo fidare ancora di "lorsignori"?
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