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L'eredità di Martin Lutero: La voce del Sileno anno 2

Di Italo Francesco Baldo Mercoledi 1 Novembre 2017 alle 21:40 | 0 commenti

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A mezzogiorno del 31 ottobre 1517 il frate agostiniano Martin Lutero, Maestro delle Arti e della Sacra Teologia, lettore ordinario di questa disciplina all'Università di Wittenberg, affisse alla porta della chiesa di Ognissanti del castello di Wittenberg, nell'impegno appassionato di chiarire la verità, le proposizioni (95 tesi) in relazione alla Discussione sulla dichiarazione del potere delle indulgenze (Disputatio pro declaratione virtutis indulgentiarum). L'affissione fu pubblica, pare dopo che le tesi erano state inviate a diversi vescovi tedeschi, affinché, secondo l'uso medioevale, chi non potesse presentarsi personalmente a discuterle, data la lontananza, lo potesse fare per iscritto.

La questione era tipicamente religiosa e nell'ambito morale, ossia quelle delle indulgenze (emissione parziale o totale delle pene temporanee inflitte in espiazione dei peccati) che fin dai primi tempi la Chiesa cristiana concedeva a coloro che invocavano i martiri. Da Bonifacio VIII anche a coloro che si recavano a Roma e ciò fu permesso nell'indizione del primo Giubileo 1300. Tale prassi doveva essere accompagnata dal pentimento mediante il sacramento della confessione, la comunione eucaristica e la preghiera, accompagnato anche da opere di carità. Tutto ciò si dice "lucrare" l'indulgenza, che non si riferisce al solo denaro, ma al pagamento con opere spirituali, compresa l'elemosina, per ottenere appunto l'indulgenza. Nacquero delle discussioni sulla validità di questa prassi penitenziale e le discussioni sono ancora e in corso a dire il vero. (cfr. B. Sesboüé, La questione delle indulgenze : una proposta alla Chiesa cattolica, a cura di F. Strazzari, Bologna, EDB, 2017)
La Chiesa Cattolica ne stabilì sempre la validità e la ribadì anche nel Concilio di Trento (1545-1563), convocato proprio per riformare la Chiesa, dopo la divisione operata da Lutero e altri riformatori (U. Zwingli, Calvino, ecc. ecc). Papa Paolo VI nel 1967 regolò., in tempi recenti, definitivamente la concessione delle indulgenze con il "Indulgentiarum doctrina et usus" che è ripresa dal Catechismo della Chiesa Cattolica, II, 10, n. 1471 -1498. La formula è ben comprensibile: "spatium verae et fructuosae poenitentie".
Il frate M. Lutero suscitò la questione della cosiddetta vendita delle indulgenze, che consisteva nel versare un'elemosina in denaro per ottenere l'indulgenza, quando il papa Leone X la indisse per i territori della Germania. Il pontefice aveva nominato commissario per la vendita delle indulgenze l'arcivescovo di Magonza Alberto di Brandeburgo (Hohenzollern),(1490-1545) il quale si servì del frate domenicano Johann Tetzel (1465-1519), un frate domenicano, che agiva su commissione del prelato e conduceva la vendita con piglio non sempre consono all'atto penitenziale che si richiedeva. Oltre a ciò non risultava certo gradita in particolare ai teologi, al clero, oltre che ai fedeli, il fatto che il denaro fosse destinato per metà al rifacimento della basilica romana di San Pietro e per l'altra all'arcivescovo per saldare il debito che aveva contratto con i banchieri Fugger di Auigusta per pagare alla Sede Apostolica la dispensa dal divieto del cumulo dei benefici ecclesiastici (l'Hohenzollern era infatti già arcivescovo di Magdeburgo e vescovo di Halberstadt.
Non piacque molto questa prassi e M. Lutero lo disse apertamente, raccogliendo lo scontento, ma soprattutto dandone una problematicità teologico-morale, fondata, su passi biblici.
Le 95 tesi, brevi, sono proposizioni da discutere e chiarire. In esse si ha modo di cogliere quale sia, fin dalla prima la prospettiva religiosa del frate: "Il Signore e maestro Gesù Cristo, dicendo: «Fate penitenza, etc.», volle che tutta la vita dei fedeli fosse un sacro pentimento." Una chiara visione che oggi diremo, con solita poco conoscenza, "medioevale", dove l'uomo dipende interamente da Dio e per l'espiazione del peccato originale e degli altri deve condurre vita di penitenza. Questa non è, seconda tesi, quella sacramentale "cioè confessione e soddisfazione, che si celebra per il ministero dei sacerdoti)." Ossia non è mai la Chiesa, il papa, la gerarchia a poter condonare le colpe, ma solo Dio "quando si entrerà nel regno dei cieli."
Ne segue che le modalità per ottenere l'indulgenza sono tutte rifiutate: Purtroppo la predicazione non sempre consona, affermava che si otteneva l'indulgenza per un'anima del purgatorio, "cioè confessione e soddisfazione, che si celebra per il ministero dei sacerdoti). appena una moneta avesse tintinnato nella scatola delle elemosine (tesi 27). Ben altra sosteneva il teologo tedesco la vita dei cristiani: infatti, "si devono esortare perché s'impegnino a seguire il loro capo Cristo attraverso pene, mortificazioni e tormenti. E così confidino di entrare in cielo piuttosto attraverso molte tribolazioni che per la sicurezza della pace" (tesi 94 e 95).
Una questione di teologia morale, una delle molte che nelle accademie si facevano e che vivevano spesso solo il tempo della loro pubblicazione e discussione. Talora servivano per una migliore definizione, cosa che avvenne proprio per le indulgenze con il già ricordato Concilio di Trento con Decreto di riforma generale. Sessione XXV (3-4 dicembre 1563), cap. XXI.
Nei mesi successivi alla pubblicazione Lutero rafforzò la propria visione della penitenza per il cristiano (Sermone sull'indulgenza e la grazia, del 1518) e la questione divenne un po' più importante, tanto che il papa stesso intervenne nel giugno 1520 con una bolla, Exurge Domini, con la quale minaccia la scomunica al frate agostiniano entro sessanta giorni se non ritratterà, ma Lutero briucia la bolla papale e a questo punto il 3 gennaio 1521 il pontefice lo scomunica (bolla Decet romanum pontificem). Un atto, quello papale quasi dovuto, di fronte all'aperta d ribellione di un frate. A Roma si valutò la questione come "una bega tra frati" e non se ne comprese l'importanza. A dire il vero non sarebbe stata così rilevante se non si fossero innestate altre e ben più pericolose faccende, prima fra tutte la diffusione della dottrina sulle indulgenze e la negazione del valore gerarchico della Chiesa, ma accanto l'appetito dei principi tedeschi nei confronti delle proprietà ecclesiastiche. Venendo meno il valore della gerarchia, veniva meno anche il valore del sacerdozio e di tutto ciò che esso comportava, anche il possesso di terreni, boschi, castelli, ecc. A far detonare la questione fu dapprima la rivolta dei cavalieri che intendevano riaffermarsi di fronte agli eserciti mercenari; guidati da Franz von Sickingen ed Ulrich von Hutten furono sconfitti nel 1523, Sarà però la guerra dei contadini a partire dal 1524, che si estese in tutti i territori tedeschi fino al Tirolo meridionale ad evidenziare e rafforzare la prospettiva luterana. I principi procedettero ad una vera e propria campagna militare contro i ribelli guidati da T. Müntzer, che preso fu giustiziato con molti suoi compagni il 27 giugno 1525. I contadini e i loro capi speravano nell'aiuto di Lutero, ma il riformatore si schiera e cavalca contro i contadini a fianco dei principi e pubblica Contro le bande di contadini omicide e ladre. È l'atto di vera nascita della Chiesa luterana sempre affiliata al potere politico, come teorizzò anche G.F. Hegel, almeno fino all'età del totalitarismo nazionalsocialista. Interessante sulla vicenda lo scritto di F. Engels, La Guerra dei contadini, Roma, Editori Riuniti, 1976, che paragona Lutero alla borhesia capitalistica dell'Ottocento. Nelle analisi di proprio il protestantesimo è alle origini del capitalismo moderno (cfr. M. Weber, L' etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni, 1973).

 

Nel frattempo Lutero approfondisce la propria visione religiosa che si impernia in due capisaldi. Il primo la dimensione del singolo fedele di fronte a Dio, senza la necessità di una chiesa che intermedi. Basta la lettura singolare della Bibbia, che Lutero tradurrà, ma non è la prima traduzione in una lingua volgare come spesso si narra. Il secondo è che l'uomo non è libero, il suo destino è già stabilito da Dio e solo l'intervento divino lo ha già salvato a dannato.
, Il grande umanista Erasmo da Rotterdam, che pure qualche dubbio coltivava sulla dottrina delle indulgenze, interviene sul secondo caposaldo con un celebre scritto: De libero arbitrio. Sulla scia delle elaborazioni patristiche, in particolare Sant'Agostino, ribadisce che l'uomo è libero entro il disegno divino e che la salvezza è opera del fedele ed egli non è supinamente dominato da Dio. Lutero risponderà con uno scritto De servo arbitrio, dove, come vedremo contesterà proprio Erasmo il cui servizio alla chiesa fu sempre quello di predicare l'unità e la concordia, che sole danno la pace (cfr. Pace e Guerra, Roma, Salerno, 2004 a cura dello scrivente).
L'importanza dello scritto luterano si mostra in tutta la sua prospettiva proprio oggi ed insieme alla visione dell'uomo, singolo di fronte a Dio e al mondo nella fede, costituisce la grande eredità del riformatore.
Non seguiremo le altre vicende di Lutero, dopo l'abbandono dell'abito religioso, il matrimonio con l'ex suona Kataharina von Bora, la continua predicazione, e la pubblicazione di molti scritti. Man mano anche le forze politiche, tra cui principalmente l'imperatore Carlo V d'Asburgo, si rendono conto dell'impossibilità di una pacificazione tra Lutero e Roma. La Confessio Augustana, redatta dall'umanista Melantone (1497-1560) nel 1530 sembra calmare le acque insieme con la pace religiosa di Norimberga nel 1532, che però consente di fatto solo il rafforzamento di coloro che ormai son detti i protestanti, perché nel 1529 aveva protestato per l'abolizione dell'accordo del 1526 tra evangelici e cattolici da parte della Dieta, convocata a Spira.
Lutero chiude la propria vita nel 1546, di fatto rifiutando l'ultima possibilità offerta per una pacificazione, ossia la convocazione, voluta fortemente dall'imperatore Carlo V, di un Concilio, appunto quello di Trento, che era stato anche previsto si adunasse a Vicenza.
Oggi, in occasione dei 500 anni dalla affissione delle 95 tesi, si cercano più gli elementi che possano avvicinare la chiesa cattolica e quella luterana. Già il cardinale J. Ratzinger su incarico del papa Giovanni Paolo II contribuì alla possibilità di incontro con la redazione in comune con esponenti della chiesa luterana della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione del 31 ottobre 1999. Un atto importante sulla via dell'ecumenismo, ma che non sembra trovare ulteriori possibilità, alle quali comunque operano diversi esponenti delle due chiese, pur con l'opposizione dei cosiddetti tradizionalisti cattolici, che confondono spesso il formalismo con la sostanza, o in altri termini l'ars celebrandi con la lex credendi.
Il tempo e la buona volontà porteranno, si spera, buoni frutti.
Ma è tempo di riflettere sui due capisaldi della prospettiva luterana
Lutero propone una visione dell'uomo totalmente dipendente da Dio, come singolo, nemmeno la preghiera, considerata solo come richiesta, può aiutare il destino dell'uomo (cfr. Piccolo catechismo: "La volontà di Dio, buona e piena di grazia, si compie certo anche senza la nostra preghiera". L'uomo colloquia con Dio attraverso le Sacre Scritture, unica vera fonte della sua relazione con Dio. Pur conservando la chiesa luterana anche riti come la celebrazione eucaristica, ma non secondo il dogma cattolico, tuttavia questi atti non hanno influenza determinante sulla vita di ciascun credente. Infatti nel De servo arbitrio afferma che: "non sappiamo affatto né quel che può fare la nostra volontà né quel che può fare la misericordia di Dio". L'uomo non può comprendere il suo destino, deve affidarsi a Dio e operare nella comunità nel miglior modo possibile, ma nemmeno questo può essere garanzia di una destinazione salvifica. La Salvezza è data da Dio e nelle accentuazioni delle chiese e sette riformate Dio salva chi vuole Lui e nessuno può pensare diversamente. Dobbiamo distinguere tra ciò che intendiamo umanamente per forza di Dio e opere all'uomo compete di onorare la volontà di Dio, che mai cessa, come quella umana. Infatti, nessuno potrà perfezionarsi, "lo crederanno gli eletti e pii figli di Dio". Su tutto "la prescienza" di dio, che non va mai celata. Se viene celata, altrimenti "molti sarebbero fuorviati da una falsa opinione e presunzione" e non perverrebbero alla grazia e all'amore. Proprio la consapevolezza della prescienza di Dio, aiuta gli uomini. L'aiuto è la consapevolezza della prescinza, occorre ribadirlo, perché per Lutero "tutto quello che facciamo non lo facciamo per libero volere, ma dobbiamo farlo, e così deve avvenire" (p.42 De servo arbitrio, Roma, Doxa, 1930) e con chiarezza afferma (p.65):"la liberà volontà per sé stessa non può nulla se non diventare peggiore e 8come dice la Scrittura e i Salmi) cadere nell'inferno."
Certo agisce prepotente la paura della dannazione in Lutero e chi è credente lo deve avvertire in se stesso e quindi agire di conseguenza, pur non sapendo quale sarà il suo destino. L'uomo presume di essere libero, come fece Giuda, ma Cristo sapeva che sarebbe stato tradito da Giuda, ed inoltre la volontà stessa di Giuda, opera di Dio che con la sua volontà la muoveva, come anche ogni altra cosa" sapeva che la volontà di Giuda si sarebbe mossa al tradimento (cfr. p,101). Così era stabilito che Giuda tradisse non per sua volontà.
Proprio qui si pone il secondo caposaldo della dottrina luterana. Se il singolo non teme Dio, non vi crede, allora incurante del timore della prescienza di Dio, fa quello che fa, credendo di essere libero di farlo. Non riconoscere l'assoluta sovranità di Dio nel destino umano, porta l'uomo a quella visione di libertà negativa, che Danilo castellano, già professore all'Università di Udine, ha ben teorizzato in diversi scritti.
La libertà negativa fonda l'esistenza contemporanea. Essa ha abbandonato il timore della prescienza, considerando che contro di essa nulla può l'uomo, pertanto può compiere quello che in ogni momento della sua vita "vuole". Compare così una visione razionalistica dell'essere umano, pensato come singolo ente isolato a libero sovrano di se stesso e del mondo (Cfr. D. Castellano, Razionalismo e diritti umani, Torino, G. Giappichelli, 2003 p.46). Tutto ciò non solo afferma l'assoluta realtà del singolo, ma ciò gli consente anche di negare qualsiasi forza coercitiva esterna. La stessa legge di uno Stato non può condizionare la volontà del singolo, perché tutto quello che esiste, esiste perché posto dal singolo stesso. Il filosofo M. Stirner ne L'unico e la sua proprietà con chiarezza ha individuato il fondamento di questa concezione (cfr. il mio La solitudine dell' "uomo". La fine della possibilità del diritto, "Acta Histriae",15 (2007),1, pp. 87-102).
Non Dio, come affermava Lutero "ha su di noi e su tutte le creature ogni buon diritto e perfetta autorità per fare ciò che vuole" (Lutero, p.101), dato che l'unica vera volontà libera è la Sua. Se nego Dio, esisto solo Io e la mia volontà è volontà assoluta.
Lutero non a caso al termine del suo saggio contro la libertà dell'uomo afferma che con la sola fede possiamo rapportarci a Dio:" tutto ciò. Dice san Paolo, che è fuori dalla fede non è giustificato davanti a Dio." Ma la giustificazione davanti a Dio non è opera dell'uomo, come la volontà di giuda, ma deriva dalla prescienza di Dio, pertanto nulla può l'uomo se non abbandonarsi a Dio e alla sua volontà qualunque essa sia, anche quella della dannazione.
Ma se escludo Dio, come è facile constatare nella nostra epoca, allora l'arbitrio del singolo diviene assoluto e poco importa che "se non è tra i credenti, è già giudicato, cioè condannato davanti a Dio" (Lutero, p.158), perché chi non crede non ha fede e quindi non pone né dio né la sua prescienza a guida della sua vita. Così con Stirner: "La mia causa non è né divina né umana; non è né il vero, né il buono, né il giusto, né il libero: è ciò che è mio: essa non è generale, ma unica, come io sono unico" e "Io assicuro la mia libertà contro il mondo in ragione di quanto essa mi rende padrone del mondo, qualunque sia il mezzo che mi offre per conquistarlo e farlo mio: persuasione, preghiera, ordine categorico o anche ipocrisia, astuzia ecc." (M. Stirner, L'unico e la sua proprietà, Milano,1922, p.53 e p. 220).
Così se nel mondo della fede luterana o da questa forma derivata la dimensione morale è almeno considerata come tempra per le relazioni sociali e statuali, se essa difetta o manca non vi è nemmeno una morale improvvisata, ma solo azioni che l'io stabilisce per se: ego sum lex et quod mihi placuit lex est.(cfr. il mio La solitudine dell' "uomo". La fine della possibilità del diritto, "Acta Histriae",15 (2007),1, pp. 87-102.
Perciò, se il mio destino è stabilito, perché debbo necessariamente preoccuparmi se la mia azione sia bene o male bene? Nulla mi invita a ciò se non il mio volere, ma se il mio volere cui non importa la prescienza e non ha fede, allora io posso fare tutto quello che intendo fare secondo l'occasione di tempo e di luogo. Io ne solo l'arbitro, non già perché libero, ché la libertà autentica è consapevolezza del bene, ma perché nessuno può obbligarmi a compiere ciò che non voglio, e se anche so che la volontà potesse essere predestinata, se non credo poco m'importa.
Nasce così attraverso l'accentuazione della predestinazione, come affermava Lutero, l'assolutezza dell'io e la sua libertà come volontà del mondo di operare quello che vuole operare, senza chiedersi effettualmente l'esito delle azioni, che invece colui che è libero si chiede, dato che dal libero arbitrio scaturisce l'effettiva costruzione del bene.
clip_image006 Ben chiarisce la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione: "Secondo la concezione luterana, l'uomo è incapace di cooperare alla propria salvezza, poiché, in quanto peccatore, egli si oppone attivamente a Dio e alla sua azione salvifica. I luterani non negano che l'uomo possa rifiutare l'azione della grazia. Quando essi sottolineano che l'uomo può solo ricevere la giustificazione mere passive, negano con ciò ogni possibilità di un contributo proprio dell'uomo alla sua giustificazione, senza negare tuttavia la sua personale e piena partecipazione nella fede, che è operata dalla stessa parola di Dio".
Per l'uomo senza Dio o considerato solo come Io assoluto, vince sempre e solo l'Io.
Certo Lutero non pensava a questi esiti, ma proprio dalla sua concezione emergono queste attuali prospettive, ma non possiamo non considerare che proprio l'assolutizzazione della prescienza divina, ossia la negazione del libero arbitrio, il dono più grande che Dio fece all'uomo, dice Dante, quando si congiunge con l'assolutizzazione dell'io che nega Dio o a Dio è indifferente, porta a dominio della volontà secondo quando le accade in questo o in quel luogo e tempo, inseguendo ciò che "piace" piuttosto di ciò che è buono.


Coordinatore de "La voce del Sileno" Italo Francesco Baldo
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