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Le parole per dirlo

Di Redazione VicenzaPiù Domenica 24 Marzo 2013 alle 11:33 | 0 commenti

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Di Cristina Bosi per la nuova rubrica "Vita gay vicentina"

Leggendo qua e là, in questi giorni di grandi questioni aperte, politiche economiche e, perché no, religiose, mi sono imbattuta in un'intervista ad un prete un po' particolare, una voce fuori dal coro. Bene, mi sono detta, non sono credente ma sono comunque cresciuta in una famiglia cattolica e, sono sincera: quando mi imbatto in religiosi un po' diversi mi piace, forse mi aiuta a vedere un happy-end.

L'intervista a cui mi sto riferendo è stata fatta a Don Gallo, e tocca vari punti tra cui l'omosessualità. Leggo con un sorriso, mi dico che magari tutti la pensassero così... Ma poi chiude l'articolo questa frase: "Il prete omosessuale - dice Don Gallo - deve poter essere libero di esprimere la sua identità e la sua sessualità, altrimenti si reprime e arriva alla pedofilia". Mi offende terribilmente, mi ferisce: di nuovo l'accostamento omosessuale-pedofilo. Mi sono chiesta se il giornalista avesse magari travisato; ma se, invece, dietro al pregiudizio se ne nascondesse un altro ancora? Penso alle parole, all'importanza di utilizzarne una piuttosto che un'altra, e a come al giorno d'oggi siamo arrivati ad una certa terminologia. Nel XIX secolo non c'erano molti modi per definire gli omosessuali, il politically correct non esisteva: c'era il dialetto, con le sue parole più o meno offensive e grevi, e poi c'era chi voleva dirlo "diversamente", che andava quindi a pescare nella storia, nella cultura greca. All'epoca veniva utilizzato il termine "pederasta". Tratto dal Treccani: "pederastia: tendenza e pratica erotica che nel significato originario del termine è costituita dal rapporto sessuale di un adulto con un adolescente". Ecco, mi sono detta, forse, vista l'età di Don Gallo, è questo che è successo: un uomo di altri tempi si porta dietro un problema linguistico. La questione delle parole è ancora aperta, anzi più che mai oggigiorno, in cui termini antichi si mescolano a neologismi, un linguaggio forbito si ritrova a fianco volgari modi di dire. E così troppe volte l'omosessualità è accostata in modo improprio alla pedofilia, non solo per un deprecabile pregiudizio, ma anche per un errato utilizzo del vocabolario. Perché, a volte, anche un intervento in difesa può trasformarsi in un vero e proprio boomerang, se viene utilizzato un linguaggio non adatto. Porto un altro esempio: l'espressione "utero in affitto", che tanto sentiamo utilizzata, non è nient'affatto amata da chi vive questo tipo di percorso alla ricerca della genitorialità. Più corretto parlare di "gravidanza per altri". Ed il termine "lesbica"? Nel linguaggio volgare si è ridotto ad una parola offensiva, quando in realtà è carica di storia, dell'antica Grecia, dell'isola di Lesbo, delle soavi poesie d'amore di Saffo. Una donna lesbica porta con orgoglio questa definizione. Ed ancora il fastidioso errore che troppi fanno nell'accostare la terminologia riferita alle persone transessuali non al genere della fine della loro transizione, ma a quello dell'inizio: si dice "le transessuali" per definire chi si sta riappropriando del proprio genere femminile, mentre "i transessuali" sono le persone che stanno adeguando il proprio corpo al genere a cui da sempre si sentono di appartenere, che è quello maschile. Si parla, insomma, ancora troppo poco di questi argomenti nei termini e nei modi corretti. La comunità lgbt si sta adoperando per intraprendere un dialogo con la società, ma è anche la stessa società -intesa non solo come cittadini, ma anche come istituzioni e mass media- che dovrebbe mettersi all'ascolto e letteralmente imparare un nuovo linguaggio. Il pregiudizio è figlio dell'ignoranza, cioè della non conoscenza; ed è quindi nelle scuole, dove si cerca di dare conoscenza, che le corrette parole per dirlo dovrebbero essere usate e insegnate. Ciò che sta succedendo a Vicenza grazie al Vicenza Pride sta facendo conoscere una realtà, quella dei gay, delle lesbiche e dei transessuali, che è anche una questione di parole.
Le parole sono importanti, e il rispetto inizia dal loro corretto utilizzo.


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