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La nostra scuola: ancora riforme? Ahimè

Di Italo Francesco Baldo Domenica 14 Settembre 2014 alle 09:32 | 0 commenti

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Inizia l'anno scolastico ed è consuetudine parlare di questo importante avvenimento. Lo vorremo fare non con i consueti "auguri", ma con critica speranza che non si sia come sempre di fronte all'ennesimo tentativo di cambiare perché tutto resti come prima o peggio di prima. Dal 1969 in poi nella scuola italiana sono state tentate riforme di ogni tipo, da quella generale a quella sperimentale, da quella democristiana fino a quella di origine comunista e quella di Forza Italia.

Nessuna è mai riuscita nel suo intento: quello di dare all'Italia repubblicana una scuola moderna ed efficiente, capace di uscire da quell'impianto neoidealista, che già a Giuseppe Bottai andava stretto. La scuola italiana è comunque figlia di Giovanni Gentile, che con i suoi allievi ha aperto alla visione che nel presente si realizza sempre lo spirito di un'epoca. Questa si è andata consolidando a partire dalla contestazione del 1969, quando quella del 1968 si politicizzò e divenne momento di conquista del potere, avendo esponenti che uscivano soprattutto dalla borghesia, per una ipotetica ed utopica rivoluzione, fatta in nome e per conto degli operai, i quali avrebbero comunque continuato a lavorare e basta. In realtà quella rivoluzione fu un'immagine teoretetica, che con il cambiamento della società aveva poco o nulla a che fare. In quegli anni l'on. Gui di Padova tentò un cambiamento e così pure l'on. Sullo. Gli studenti contestatori di allora lo bocciarono. Il Partito Comunista Italiano, dopo il Convegno di Frascati del maggio 1970, propose una legge di riforma, che è stato l'impianto al quale ha attinto l'on. Berlinguer. Le prospettive di riforma scolastica del defunto partito comunista non riuscirono che a portare ai provvedimenti urgenti per le università, dove, senza concorso, divennero cattedratici diversi personaggi, che oggi non ricordano più quella fortunata circostanza. Provvedimenti quelli che consentirono l'infeudamento politico-ideologico delle università, ma nulla produssero a livello della scuola superiore. Nel frattempo la scuola andava avanti con i famosi Decreti Delegati del 1974 con i quali si affidava la gestione della scuola ai genitori ovvero alla cosiddetta società reale. Nacque l'illusione che i partiti, attraverso i genitori, avrebbero cambiato la scuola, ma, in realtà, fu l'inizio di una burocratizzazione mastodontica e di scontri politici, anziché di riflessione su che cosa insegnare di valido per la vita e su come insegnare bene. Il docente doveva essere controllato per le sue scelte politiche e su come le divulgava, non perché sapeva la matematica o la lingua greca. La prima domanda che ancor oggi si fa sui docenti è la seguente: "è di sinistra?", dato che la destra notoriamente non è in grado di fare o pensare nulla. Un capitolo a parte poi lo meritano i docenti di filosofia, che emulavano il grande Suslov, ideologo in URSS, o si sentivano continuatori di don Milani o seguaci di Toni Negri. Qualche cosa comunque si mosse e con la riforma dei Programmi della Scuola Media del 1979 vi fu il primo tentativo di portare nella scuola stessa il concetto di programmazione educativa. Ben presto questa diventò il mezzo con il quale ogni docente faceva quello che voleva, affermando di "lavorare" per gli alunni, in realtà facendo quello che gli pareva e senza più nessun controllo, dato che i Presidi non potevano né possono nulla nei confronti di chi dovrebbe pur essere sottoposto ad una qualche forma di controllo del suo operato. Veniva e viene invocata la libertà di insegnamento, ma questa non trovava (e non trova) sbocco in metodi adeguati a quel determinato gruppo-classe, mentre più semplicemente tutto si risolveva nell'insegnare quello che il professore per la sua parte politica riteneva opportuno. I tentativi della on. Falcucci, che ripristinò i concorsi e cercò di tagliare la strada all'inserimento, senza esami, dei docenti, fu combattuto con una violenza assoluta da parte dei docenti, gli ex sessantottini, nel frattempo divenuti professori, e dei sindacati. L'ultimo serio tentativo di riforma fu compiuto dall'on. Brocca, ma peccava di sperimentalismo e di gigantismo perchè il vero tentativo era quello di burocratizzare ciò che si pensava dovesse essere l'insegnamento. Mancava, come sempre, una vera definizione di che cosa dovesse essere la scuola. Negli anni Novanta, a parte i tentativi discreti e fischiati del ministro Rosa Russo Jervolino, non ancora accettata pienamente dalla sinistra, nulla sembrò realizzarsi. Intervenne con uno sciagurato provvedimento il ministro D'Onofrio, che, cancellando gli esami di riparazione, portò all'affermazione che per farsi bocciare, bisognava proprio mettercela tutta. La cronaca delle riforme più recenti non meriterebbe menzione alcuna, perché è prevalsa la scelta di costruire contenitori, mentre i contenuti sono proprio opzionali e relativi a quanto poco sanno gli insegnanti: nei contenitori tutto può andare bene, anche il non insegnare, essendo questo un contenuto, pare! Della riforma Berlinguer ricorderemo solo l'emanazione di centinaia di Decreti legge, di Circolari, di chiarimenti e di norme, che hanno portato a termine, ma non poteva essere altrimenti per un seguace dei soviet, il processo di assoluta burocratizzazione. Ogni scuola è divenuta autonoma, perché è capace di incartarsi da sola. In ogni caso di Berlinguer ci resterà la famosa giornata del "vieni avanti creativo", in cui tutti gli studenti di una scuola, complici i docenti, che aliteranno lo spirito, nell'orario prestabilito, inizieranno ad essere creativi. Genitori e autorità pubbliche spenderanno denari pubblici, sottratti a miglior destinazione, per far godere, come vorrebbe Vasco Rossi? Purtroppo anche oggi c'è aria di riforme, di patto educativo, mai che si parli di istruzione, compito della scuola, affidatole dalla Costituzione della Repubblica Italiana all'art.30. Se vado in un ospedale so che lì dovrebbero, spero, curarmi. Se entro in una scuola non so se lì mi insegneranno a leggere, scrivere e far di conto, oppure a essere creativo a comando, o a costruire categorie problematiche sulla globalizzazione o a parlare del pacifismo di Einstein durante l'ora di Fisica. L'unica buona fortuna è che comunque ci sono stati molti docenti che non si sono lasciati irretire dalle sirene della politicizzazione e che in ogni caso hanno istruito, anche se, purtroppo, non hanno avuto molta voce in capitolo. Rileggendo la cronaca di tutti i tentativi di riforma della Scuola Superiore Italiana viene il fondato sospetto che si agisca come quei nobili codini del settecento francese che chiedevano le riforme, ma guai se queste fossero state effettivamente messe in atto. Speriamo non ci voglia un Robespierre per spezzare via tutto ciò!

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