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La montagna protagonista a Valdagno

Di Redazione VicenzaPiù Venerdi 13 Febbraio 2015 alle 08:54 | 0 commenti

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Comune di Valdagno - Si chiama "Passi" ed è la nuova proposta del Cinema Teatro Super, promossa dall'Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Valdagno ed in collaborazione con la sezione cittadina del CAI, Provincia di Vicenza, Regione Veneto e Trento Film Festival.
La rassegna, che prenderà il via il prossimo 27 febbraio, si propone di rinsaldare un legame già forte della città con la montagna, gli appassionati frequentatori ed i nomi che ne hanno fatto la storia.

«Ci fa molto piacere - spiega l'assessore alle politiche culturali del Comune di Valdagno, Michele Vencato - avere ottenuto il sostegno di Provincia, Regione e, ancor più, del Trento Film Festival e poter stringere un legame con questa importante manifestazione di rilievo internazionale vuol dire portare Valdagno al di fuori dei suoi confini, in linea con tutte le iniziative che stiamo oggi proponendo.

Dopo le iniziative realizzate con Provincia Italiana e Fuori Biennale, ora speriamo che anche questa
proposta incontri l'apprezzamento del pubblico e che premi l'impegno comune di tutti gli organizzatori, in primis il Cinema Teatro Super che ha svolto, insieme al CAI, un ruolo fondamentale in questa iniziativa.»

Sette le proiezioni in programma e ad ogni appuntamento in sala non mancheranno nemmeno ospiti speciali. Il biglietto di ingresso per i singoli spettacoli sarà in vendita al costo di 5,50 euro. Tutte le proiezioni si terranno presso il Cinema Teatro Super di Valdagno (Viale Trento, 28) e inizieranno alle 20.45.

Si parte venerdì 27 febbraio con il film "Stelvio, crocevia della pace", di Alessandro Melazzini.
Lo Stelvio è un microcosmo, un mondo sospeso a 3.000 metri dove s'incrociano uomini, tempi, spazi e passioni. Qui correva il confine tra l'Impero Asburgico e il Regno d'Italia, che su quelle vette contrapposero i loro eserciti nei combattimenti della Prima Guerra Mondiale. Attraverso l'intreccio tra interviste, azioni ritmate, momenti di riflessione e squarci paesaggistici, il documentario racconta lo Stelvio dei giorni nostri: cosa rimane di quel passato tragico e glorioso, quali realtà cela e quali possibilità offre, chi lo abita e chi lo frequenta, cosa rappresenta oggi.
Alla proeizione seguirà un breve approfondimento a cura di Riccardo Grotto, storico esploratore.

Il 6 marzo sarà il turno della pellicola di Paolo Bernardi "Asini e scienziati", sulle orme dell'eclettico naturalista Paolo Lioy, il quale, in compagnia di altri 3 scienziati e 2 asini più 100 anni andò alla scoperta delle meraviglie naturali dei Monti Lessini. Il film è stato prodotto con la collaborazione del Museo Naturalistico di Vicenza e mescola sapientemente natura, storia e memoria, in un mix punteggiato anche di molta ironia, tanto da incontrare un grande successo di pubblico e venire presentato a diversi festival, tra cui il Film Festival della Lessinia 2012. In sala saranno presenti il regista e I protagonisti del documentario, da Michele Ferretto della Cooperativa Biosphaera ad Antonio Dal Lago del Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza, e poi Alberto Bottazzi del Museo Civico "D. Dal Lago" di Valdagno e Viviana Frisone del Museo "G. Zannato" di Montecchio Maggiore.

La terza serata è in programma venerdì 13 marzo all'insegna di "Kangchenjunga - I cinque tesori della grande nave", di Paolo Paganin e Mario Vielmo. L'alpinista vicentino, sarà anche in sala per portare la propria testimonianza.
Il documentario racconta la scalata senza ossigeno della terza montagna più alta del mondo: il Kangchenjunga (8.586 m). Dopo un'estenuante salita, Mario Vielmo, per nove volte in cima ad un Ottomila, raggiunge la vetta, mentre gli altri due compagni di cordata, Annalisa Fioretti e Silvano Forgiarini, fanno marcia indietro, riprendendo la via del ritorno al di sopra di Campo 4. Drammatica la vicenda della morte di Bibash, un giovane sherpa di 24 anni, caduto accidentalmente durante la discesa dalla cima. Su 13 in vetta, altre 4 persone non ritorneranno al Campo Base: triste epilogo di una Montagna la cui fama si è fatta appieno rispettare.
A seguire, alle 21.45, verrà proiettata anche la pellicola "Cold", di Corey Richards e Anson Fogel, vincitrice della "Genziana d'argento - Miglior Cortometraggio" al Trento Film Festival 2012.
All'inizio del febbraio 2011 Simone Moro con il kazako Denis Urubko e lo statunitense Corey Richards raggiungono la vetta del Gasherbrum II a 8.035 metri di quota. Si tratta della prima salita invernale e la prima invernale in assoluto in uno dei cinque ottomila del Karakorum pakistano. La spedizione, partita il 27 dicembre dall'Italia, ha dovuto affrontare temperature fino a -50 gradi e forti venti fino a 200 km/h per poter attrezzare la via fino alla vetta. Per Simone Moro è stata la terza prima scalata invernale di un ottomila, dopo lo Shisha Pangma nel 2005 e del Makalu nel 2009. L'esperienza dei tre alpinisti impegnati sul Gasherbrum II, nel cuore di un buio e durissimo inverno, è vista con lo sguardo crudo e onesto di Corey Richards, partecipante, cineasta e fotografo. Il film coglie con efficacia, attraverso le vive parole dei protagonisti, la fatica, i dubbi, le paure e rivela quanto terribile sia stata la discesa che ha esasperato il rischio dell'assideramento e di perdersi.

Il 20 marzo la serata si tingerà di rosso, quello che tradizionalmente caratterizza uno dei gruppi alpinistici più famosi del mondo, gli Scoiattoli di Cortina. A loro sarà dedicato il film "Rosso 70 - Storie e memorie di 70 anni di alpinismo degli Scoiattoli di Cortina" di Francesco Mansutti e Vinicio Stefanello.
Quella del gruppo ampezzano è una storia straordinaria, come dimostra pienamente questo film realizzato con passione, cuore e tecnica registica. I due registi padovani hanno condiviso e realizzato un progetto provenendo da due esperienze professionali, ma già da alcuni anni unite in diversi lavori sull'argomento montagna. Stefanello, direttore editoriale di uno dei portali italiani di montagna più illustri e visitati (planetmountain.com), da tempo è amico del sodalizio dal maglione rosso; nel 2004 curò il sito web per la storica spedizione che riportò 50 anni dopo sul K2, i "figli" del primo salitore della montagna delle montagne, lo "Scoiattolo" Lino Lacedelli.
Da allora l'amicizia con Cortina e gli Scoiattoli è qualcosa di puro, una stima professionale già collaudata con il film dedicato alla guida alpina Angelo Dibona, simbolo delle Guide ampezzane. Con lui anche allora c'era Mansutti che è anche l'operatore del film, il regista tecnico del duo, colui che non arrivando direttamente dal mondo della montagna, ha cercato con quella professionale curiosità classica del regista di scoprire il valore umano e sportivo del gruppo. Il film è bello perchè non appena lo avrete finito di guardare vi coglierà immediatamente la voglia di riguardarlo per carpire i dettagli più poetici e leggendari di una storia e un territorio che solo chi ha avuto la fortuna di conoscere può amare appieno.
Questo "docu-film" regala a tutti la possibilità di diventare amici degli Scoiattoli e delle loro montagne. L'alpinismo è avventura, ma in questo caso diventa anche favola, grazie ad una splendida fotografia di Daniele Gobbin che scolpisce i volti dei protagonisti. Ottima la scelta della colonna sonora che con delicatezza e profondità accompagna lo spettatore accarezzandolo tra memorie in bianco e nero e sorrisi futuristi. Le emozioni sono tante e percorrono magicamente 70 anni di arrampicate, di vita, di Cortina d'Ampezzo, di gente, ma sopratutto d'amicizia, perché oggi come allora il motto di quei dieci "scavezzacollo" che fondarono il gruppo rimane senza dubbio l'immagine più forte e indelebile anche per il futuro: "Tutti per uno, uno per tutti" e il film, per usare un termine tecnico, lo mette a fuoco perfettamente.
Dopo la proiezione ci sarà un breve approfondimento a cura del responsabile della scuola di Montagna della sezione CAI di Valdagno.

A concludere la rassegna, il 27 marzo, ci sarà un nuovo bis di pellicole. Si aprirà la serata con "The waiting game" di Emilio Previtali. Domande senza risposte, una dopo l'altra. Notti insonni, giorni di pianificazione, studio, ricerche e sempre la stessa domanda in testa, sempre. In che parte del mondo si possono trovare aree ancora inesplorate? Dov'è possibile lasciare la prima impronta sulla neve? Dove puoi godere del massimo isolamento? C'è un luogo dove puoi essere te stesso senza compromessi, lontano da tutto e da tutti, contando solo sulle tue risorse? Se cerchi un posto così e vuoi anche il meglio dell'arrampicata, allora non restano molte possibilità.
A seguire verrà proiettato "Verticalmente demodé" di Davide Carrari, con Maurizio "Manolo" Zanolla e Cristina Zorzi. E proprio il noto climber sarà presente in sala come ospite della serata.
«Non è la via più difficile del mondo, è semplicemente la via "sportiva" più difficile che ho scalato. Ha una storia lunga e comincia quando mi sono chiesto la prima volta come potevano essere quei luoghi dove ogni sera andava a morire il sole. Eternit, è nascosta proprio lassù, in un ambiente solitario e dimenticato di queste montagne, piccola e "verticalmente demodé" a metà fra i luoghi, dove sono nato e, quelli dove sono vissuto».
Sono queste le parole con cui Maurizio Zanolla, meglio conosciuto dai più come "Manolo", racconta le proprie motivazioni ed emozioni ritrovando una via che aveva individuato molti anni prima e con cui per molto tempo aveva ritenuto impossibile confrontarsi.

 


Biografia dei relatori
Riccardo Grotto, classe 1977, originario dell'Alto Vicentino, si è laureato in Scienze dell'Educazione nel 2003 con una tesi sulla storia della scuola durante il Fascismo. Oltre ad alcuni saggi per delle riviste, ha collaborato con l'Università Popolare della Comunità Montana Alto Astico e Posina tenendo dei corsi di argomento storico legati al primo Novecento. Nel 2007 è uscito il suo primo libro intitolato "L'altra guèra. La gente e i soldati a Piovene e dintorni prima e dopo il profugato del 1916 e '17". Da anni appassionato esploratore dei luoghi dove si è svolta la Prima Guerra Mondiale sul fronte italiano, l'autore ha trovato spesso in questi siti l'ispirazione per scrivere delle poesie che, attraverso la preziosa collaborazione del musicista Luca Pegoraro, sono diventate delle canzoni inserite nello spettacolo intitolato "Che cosa resta? Senso e Sensi della Grande Guerra".

Mario Vielmo è guida alpina, scala da oltre trent'anni, ma è proprio in Himalaya che ha saputo realizzare al meglio le sue doti alpinistiche. Undici, di cui otto in vetta, gli ottomila scalati da Mario Vielmo: Dhaulagiri (8167 m) nel 1998, Manaslu (8163 m) nel 2000, il Cho Oyu (8201 m) nel 2001 (in solitaria). L' Everest (8848 m) nel 2003, lo Shisha Pangma (8013 m cima centrale) nel 2004. Il Gasherbrum II (8035 m) nel luglio del 2005. Il 24 maggio del 2006 raggiunge il suo settimo ottomila, il Makalu (8463 m), portando in vetta la faccola delle Olimpiadi di Torino 2006, recante un messaggio di pace di sua Santità il Dalai Lama. Il 21 luglio 2007 raggiunge la vetta del suo ottavo Ottomila, il K2 (8611 m), esperienza che l'ha profondamente segnato dalla perdita del compagno di vetta Stefano Zavka. Nel periodo aprile-maggio 2008, parte per il tentativo di scalare l'Everest senza ossigeno dal versante sud, ma l'arrivo improvviso di una bufera di neve lo fa retrocedere e rinunciare a soli 200 metri dalla vetta. Precedentemente aveva tentato il Broad Peak (8047 m), arrivando fno a quota 7500. Poi il Gasherbrum 1 (8068 m), nel 2011, arrivando anche lì a soli 120 metri dalla cima (7930), a causa del rapido peggioramento delle condizioni atmosferiche.

Maurizio Zanolla meglio conosciuto come Manolo (Feltre, 16 febbraio 1958) è un arrampicatore, alpinista e guida alpina italiano. Manolo è uno dei pionieri dell'arrampicata libera in Italia ed è uno dei volti più conosciuti di questo sport nel Belpaese. È stato il primo italiano a salire una via d'arrampicata di difficoltà 8b (Ultimo Movimento in Totoga sulle Pale di San Martino) nel 1986. Ha praticato l'arrampicata in solitaria solo fino all'8a con Masala Dosa in Totoga nel 1992. Non ha mai voluto partecipare alle competizioni di arrampicata.
Manolo ha iniziato ad arrampicare all'età di 17 anni ed ha sempre privilegiato l'arrampicata su placca o sul verticale, piuttosto che sugli strapiombi. La sua evoluzione tecnica passa attraverso l'utilizzo di appigli sempre più piccoli, equilibri molto precari su itinerari con protezioni spesso "psicologiche", enfatizzando così l'arrampicata globale, non solo fisica, ma anche mentale.
Nel 1977 "liberò" la via Cassin alla Torre Trieste (6c) e la Bonatti al Grand Capucin. Nel 1978, in un mese aprì 28 vie, tra le quali I piazaroi, sulla Cima della Madonna alle Pale di San Martino (7b). Alla fine degli anni Settanta apre vie in montagna con gradi e protezioni severi per l'epoca come Lucertola Schizofrenica in Totoga nel 1979 (9 chiodi, fino al 6b) o Supermatita sul Sass Maor nel 1980 (7 chiodi, fino al 6b).
In falesia sale tra i primi al mondo i gradi più alti con Il Mattino dei Maghi (7c+) nel 1981 in Totoga e con Ultimo Movimento nel 1986 (primo 8b italiano). L'8c arriva con la prima salita di The Dream in Val Nona nel 1991 e poi con la ripetizione nel 2001 della via di Rolando Larcher del 1992 L'Arte di Salire in Alto, a Celva. Nel 1998 sale Appigli Ridicolinella nella falesia del Baule, gradata prima 8b e poi 9a dopo la chiusura di due buchi artificiali avvenuta nel 2001. Nel 2006, a 48 anni, sale il suo primo 9a, Bain de Sang nella falesia svizzera di Saint-Loup, via di Fred Nicole del 1993. Nel 2008, a 50 anni, sempre a Saint-Loup sale Bimbaluna, via di 9a+ di François Nicole del 2004.
Nel 1984 realizzò la prima ripetizione della Via attraverso il pesce in Marmolada. Al 1993 risale la prima ascensione della via Nureyev al Sass Maor con chiodatura dall'alto (8a).
In montagna ha aperto e liberato vie lunghe di alta difficoltà come Cani Morti sulle Pale di San Martino con Riccardo Scarian nel 2004 e Solo per vecchi guerrieri sulle Vette Feltrine nel 2006.
Il 24 Agosto 2009 a 51 anni, chioda e libera Eternit la via nata dalla prosecuzione di O ce l'hai... o ne hai bisogno nella falesia del Baule. Il grado proposto è 9a, ma soprattutto per Manolo questa è una via che apre l'arrampicata su placca verticale ad un'altra dimensione.
Schivo, Manolo vive la sua passione per l'arrampicata in maniera personale, filosofica e romantica. È soprannominato "Il Mago".


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