Il vicentino Scaroni balla sul gas dell'Eni
Martedi 18 Marzo 2014 alle 22:59 | 0 commenti
 
				
		
		Di Vittorio Malagutti, da L'Espresso n. 11 in edicola
Il numero uno dell'Eni punta alla riconferma promettendo il boom grazie ai nuovi giacimenti. Ma intanto i guadagni del gruppo calano. Mentre sui conti pesa il buco Saipem
 
Se la conferma di Paolo Scaroni alla guida dell'Eni dipendesse unicamente dall'ultima riga del bilancio, la sentenza sarebbe già scritta. Il risultato del gruppo petrolifero nel 2013 è il peggiore degli ultimi dieci anni, di cui nove con Scaroni al timone. Il manager vicentino, che punta a un quarto mandato al vertice, vanta di certo ottimi argomenti da opporre ai critici.
E cercherà di farli valere da qui al prossimo mese, quando il governo di  Matteo Renzi deciderà sulle nomine nelle aziende di Stato. La  recessione, il crollo della domanda di gas, la rivoluzione in Libia sono  eventi negativi che pesano sul bilancio e non dipendono dalle scelte  compiute dall'amministratore delegato. Gli analisti, però, non possono  fare a meno di notare che l'Eni, ormai da qualche anno, viaggia come una  portaerei che non riesce a correggere la rotta.
 Il problema  principale riguarda il settore Esplorazione e Produzione (E&P).  Problema grave, perché queste attività hanno fin qui prodotto ricchi  utili, garantendo la brillante performance del gruppo. Tutto bene, se  non fosse che la redditività di questo comparto nel 2013 ha segnato il  passo (meno 21 per cento l'utile operativo). E mentre petrolchimico e  raffinazione continuano a viaggiare in rosso per centinaia di milioni  l'anno, nell'esercizio appena concluso si sono aperte altre due falle  preoccupanti. Colpita da inchieste penali (tra gli indagati c'è lo  stesso Scaroni) e difficoltà operative di vario tipo, nel 2013 ha virato  in perdita la controllata Saipem, un tempo gioiello dell'impiantistica.  E il settore Gas ed Energia, uno dei punti di forza del gruppo, ha  fatto segnare perdite a livello operativo per quasi 3 miliardi a causa  soprattutto degli onerosi contratti cosiddetti "take or pay" stipulati  negli anni passati con alcuni Paesi produttori, Russia in prima fila.  Per effetto di questi accordi, in parte rinegoziati di recente a  condizioni più favorevoli, Eni è costretta a pagare enormi quantità di  materia prima che però non può rivendere a causa del crollo della  domanda.
Riassumendo: Scaroni ha fin qui cavalcato i profitti  garantiti dall'upstream, cioè, in gergo, la ricerca e produzione di  idrocarburi. Adesso però la performance di questo ramo di attività si  sta indebolendo, mentre gli altri settori restano una palla al piede  oppure lo diventano, come nel caso di Gas ed Energia. Negli incontri con  gli analisti, i manager dell'Eni hanno rilanciato sottolineando  l'importanza delle ultime scoperte, i successi delle esplorazioni che  hanno portato alla localizzazione di ingenti risorse di petrolio e,  soprattutto, di gas. In effetti, su questo terreno il gruppo guidato da  Scaroni non teme confronti con i concorrenti internazionali, staccati di  molte lunghezze.
Un conto però sono le scoperte, un altro la  produzione, un altro ancora i livelli di reddito garantiti da queste  attività. Giacimenti importanti come quello in Mozambico promettono  ingenti profitti in un futuro che però resta difficile da determinare,  almeno per ora. Intanto, il gruppo italiano è già passato alla cassa e  ha rivenduto ai cinesi (Cnpc) una quota dei pozzi off shore nel paese  africano con una plusvalenza di quasi 3 miliardi. Ci vorrà del tempo,  però, perché i pozzi in Mozambico producano gli utili fin qui solo  prospettati dai tecnici. A fare da monito contro i facili entusiasmi  resta la triste vicenda di Kashagan. Nel ricchissimo giacimento del Mar  Caspio, in Kazakistan, l'estrazione a pieno regime è attesa ormai dal  2005, mentre continuano ad aumentare i costi.
Il piano strategico  2013-2016 dell'Eni promette di portare sul mercato entro otto anni il 90  per cento delle risorse scoperte nel quadriennio precedente. Intanto  però i documenti ufficiali segnalano che la produzione del colosso  petrolifero diminuisce. Il traguardo dei due milioni di barili al  giorno, presentato più volte da Scaroni come obiettivo a portata di  mano, non è stato ancora raggiunto. Anzi, l'anno scorso il gruppo si è  fermato a quota 1,62 milioni, in calo rispetto agli 1,7 milioni  registrati nel 2012.
Il dato non è esaltante ma gli analisti invitano  piuttosto a tener d'occhio la redditività. E allora si scopre che negli  ultimi anni i margini di guadagno dell'Eni non sono aumentati, anzi  sono leggermente diminuiti, nonostante l'incremento del prezzo del  petrolio. Vediamo. Nel 2010 gli utili operativi del settore Esplorazione  e Produzione erano pari al 47,1 per cento dei ricavi. Nel 2013 la  redditività lorda era scesa di poco al 46,8 per cento. Nel frattempo  però il petrolio era passato da un prezzo medio di 79,5 dollari al  barile registrato nel 2010 ai 108,7 dollari dell'anno scorso. L'aumento  del 30 per cento delle quotazioni del greggio non ha quindi avuto  effetto alcuno sugli utili della divisione di gran lunga più importante  del gruppo, quella che si occupa, appunto, dell'estrazione di  idrocarburi. Secondo gli analisti la flessione dei margini di guadagno è  in parte da attribuire al cambio di rotta dell'Eni. Ormai la produzione  di petrolio equivale a quella di gas, di molto aumentata negli ultimi  anni. Quest'ultimo però è meno redditizio rispetto all'oro nero per  effetto dei maggiori costi di trasporto e distribuzione.
Insomma, a  quanto pare, il metano non dà una mano al bilancio, ma Scaroni non può  permettersi brutte figure proprio mentre chiede il rinnovo del mandato. E  allora ecco che, comprensibilmente, la strategia di comunicazione  dell'Eni preferisce puntare sugli elevati rendimenti del titolo, con la  performance deludente in Borsa che viene più che compensata dai generosi  dividendi. Sui conti invece l'amministratore delegato annuncia  obiettivi ambiziosi. Un mese fa è stato presentato un piano che prevede  di aumentare il cash flow operativo del 55 per cento entro il 2017.  Impresa complessa, visto che il mercato, come ammettono all'Eni, resterà  «difficile». Scaroni però non può fare a meno cavalcare l'ottimismo.  Tanto più che, forse, non toccherà a lui mantenere promesse tanto  impegnative.
È ufficiale: il profitto sale. Anzi no
 
Quanti sono i profitti dell'Eni? La domanda è legittima visto che i giornali e gli stessi documenti del gruppo petrolifero propongono letture del bilancio differenti l'una dall'altra e dati che a volte appaiono incoerenti tra di loro. Paolo Scaroni parla di «utile netto in crescita rispetto al 2012». Questa - testuale - è la dichiarazione attribuita all'amministratore delegato così come compare nel comunicato stampa 
sul consuntivo 2013.
A ben guardare, però, la versione di Scaroni non coincide con quella ufficiale dell'Eni. Nelle carte aziendali si legge infatti che «la performance del gruppo e dei settori di attività» viene valutata sulla base dell'utile operativo e dell'utile netto "adjusted". Quest'ultimo si ottiene escludendo dal calcolo le partite straordinarie e l'utile (o la perdita) di magazzino. caroni però nella sua dichiarazione si riferisce all'aumento dell'utile netto, in effetti cresciuto del 24 per cento. L'Eni invece sostiene che i parametri 
più affidabili per valutare la performance del gruppo sono altri. E questi segnalano profitti in calo. Utile operativo e utile netto adjusted sono infatti calati nel 2013 di oltre il 30 per cento. 
 V.M. 
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