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Il tanko, il referendum e la questione veneta

Di Citizen Writers Martedi 8 Aprile 2014 alle 14:23 | 0 commenti

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Riceviamo da Ettore Beggiato - La “questione veneta” è ritornata prepotentemente alla ribalta nelle ultime settimane: prima il referendum digitale, poi l’inchiesta della procura di Brescia con ben 24 arrestati, hanno riportato l’attenzione dei mass-media italiani e internazionali sul Veneto; e, secondo diversi commentatori, la crisi economica è stata la molla, il fattore scatenante di quanto è successo.

Non condivido affatto questa lettura. Da sempre il popolo veneto lotta per accrescere il proprio livello di autogoverno, e, a seconda dei momenti storici, l’obiettivo è diverso: indipendenza, autonomia, federalismo, autodeterminazione.

Il 22 marzo 1848, la Repubblica Veneta viene nuovamente proclamata a Venezia in piazza San Marco, e “Viva la Repubblica!” (Veneta, naturalmente), “Viva San Marco” sono gli slogan che caratterizzano quella splendida stagione.

"Quali erano i veri obiettivi dell'insurrezione veneziana?" fu chiesto a Daniele Manin negli anni del suo esilio parigino
"Preferivamo essere una Repubblica indipendente confederata con gli altri stati italiani" la risposta del protagonista principale di quella straordinaria esperienza durata quasi un anno e mezzo, dal 22 marzo 1848 al 24 agosto 1849.

Saltiamo al primo dopoguerra e Luigi Luzzatti, già presidente del consiglio dei ministri, sente la necessità di scrivere al nuovo  primo ministro, Vittorio Emanuele Orlando, il 7 febbraio 1919,  una lettera densa di preoccupazione nella quale descrive il profondo malessere e il senso di ribellione contro il Regno d’Italia che agita la nostra società. La guerra, combattuta in larga parte nel territorio veneto, aveva lasciato devastazioni, distruzioni e profonde ferite nel morale dei veneti.

Luigi Luzzatti denuncia il pericolo che in Italia potesse sorgere “un'Irlanda Veneta, mutando i paesi più patriottici e più sobri nel chiedere, in ribelli della disperazione"

Negli stessi anni il prefetto di Treviso segnala al ministero la possibilità che nel Trevigiano si crei un movimento separatista tendente a staccare il Veneto dall’Italia.

Ed è un parlamentare repubblicano, Guido Bergamo di  Montebelluna (Tv) che denuncia:

“Il governo centrale di Roma, questo governo di filibustieri, di ladri e camorristi organizzati, non si accorgerà di noi se non ci decideremo a far da noi" e ancora "Ora basta! Il problema veneto è così acuto che noi da oggi predicheremo la ribellione dei veneti. Cittadini, non paghiamo le tasse, non riconosciamo il governo centrale di Roma, cacciamo via i prefetti, tratteniamo l'ammontare delle imposte dirette nel Veneto"
"L'unità d'Italia è un non senso" scrive il 15 maggio 1920  "La Riscossa", periodico repubblicano trevigiano, e un anno dopo, il 15 ottobre 1921, si chiede se il Governo andava bene  che "il sentimento autonomista dei Veneti si trasformasse in aperta ribellione ed assumesse carattere nettamente separatista"

Ma anche subito dopo la seconda guerra mondiale ci sono nel Veneto segnali di inquietudine: sono in possesso di un volantino originale dell’associazione “San Marco par forza” nel quale si parla di “Autonomia e Indipendenza di tutte le terre di San Marco” e di una “Confederazione di Repubbliche o Regioni”; non a caso  il 12 giugno 1945 il Ministero dell’Interno, da sempre particolarmente attento a tutto quello che succede nel Veneto, chiede alla Prefettura di Venezia informazioni su “persone  che tendano ad una autonomia integrale del Veneto e alla costituzione di una Repubblica di San Marco”.

Per non parlare dell’insorgenza veneta del 1809 e di tanti altri momenti di rivendicazione  (pensiamo solo ai Serenissimi nel maggio 1997); quello che i commentatori “foresti” ma anche veneti, per la verità, non riescono a capire è la mai sopita aspirazione  del nostro popolo all’autogoverno, la nostra forte, fortissima identità, il nostro riconoscersi in un simbolo, il Leone di San Marco, che è molto di più di una bandiera, e un simbolo, si sa ha varie sfaccettature, ci sono quelle materiali ma ci sono anche quelle invisibili, imperscrutabili…è  questo che a Roma non capiscono, e tutto quello che non si capisce finisce per far paura…


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