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Il Museo del Gioiello: i mercanti nel tempio. L'accusa di colleghi: favoriti Soprana e Vettori

Di Sara Girombelli Mercoledi 17 Dicembre 2014 alle 23:45 | 0 commenti

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Oggi, mercoledì 17 dicembre, è stato inaugurato, primo in Italia, il Museo del Gioiello. Ed è scoppiato un caso. Situato in un locale comunale sotto la basilica, praticamente accanto alla mostra Tutankhamon, Caravaggio, Van Gogh, questo allestimento si propone di raccogliere le opere dei principali orafi e gioiellieri internazionali, e di mostrare l'evoluzione stessa del gusto nel corso degli anni.

Il problema, sollevato da diversi esercenti delle botteghe storiche di Vicenza, tra cui la più coraggiosa (tale padre, tale figlia) è Silvia Giglioli, figlia di Gianni e titolare di Civico 22, è che all'interno del museo esiste un bookshop che, oltre a vendere libri e gadget sulla mostra come di solito accade per gli store degli altri musei, propone anche una nutrita collezione di gioielli manufatti in vendita.

Un Museo del Gioiello, quindi, che si ripropone di vendere gioielli. Già questo suona un po' strano, considerando che solo nel raggio di poche centinaia di metri dalla Basilica Palladiana esistono più di trenta gioiellerie e quindi la concorrenza è molto alta. Ciò che però gli esercenti lamentano, nello specifico, è che essendo l'iniziativa del museo una iniziativa pubblica, come pure il locale che lo ospita, non capiscono come mai non ci sia stato un avviso o un bando per decidere quali gioiellieri del centro storico avrebbero potuto esporre i propri manufatti e metterli in vendita (e soprattutto per quanto tempo).

A beneficiare di questo spazio espositivo così importante sarebbero, infatti, per quanto riguarda la città di Vicenza, solo tre noti negozi del centro: Soprana e Vettori, insieme a Magal Gioielli (che altri non è che il negozio della figlia di Daniela Vettori). La maggior parte dei negozianti non era a conoscenza di questo spazio di vendita prima di aver visto le teche della vetrina del museo piene di prodotti con tanto di cartellino del prezzo (come si potrà notare dalle foto che abbiamo scattato).
Il bookshop in questione, a detta dei funzionari, non sarebbe gestito né dal Comune né dalla Fiera di Vicenza, ma da una agenzia esterna, la Civita Tre Venezie srl. Tale agenzia, avrebbe detto ai colleghi "non inclusi" il signor Stefano Soprana, ex consigliere comunale e leader di Vicenza Capoluogo, la civica che appoggia Variati, lo avrebbe contattato d'urgenza pochi giorni fa per riempire tre teche con opere sue e lui avrebbe firmato un contratto regolare, senza pagare un affitto per l'esposizione, ma mettendo i suoi manufatti in conto vendita (in questo caso dando un percentuale del ricavato all'agenzia stessa).

Alla richiesta da parte di alcuni esercenti, di vedere questo "contratto regolare" non è seguita risposta, per cui tale contratto non sarebbe mai stato visto da nessuno. In più gli esercenti che sarebbero stati esclusi dall'iniziativa non sanno quanto effettivamente dovrebbe durare tale contratto e se esiste un termine per concedere ad altri gioiellieri di esporre, magari a rotazione, le proprie opere in modo che tutti abbiano un equo ritorno di visibilità e commerciale.
Altra cosa strana che ci è stata fatta notare è che, pochi giorni dopo una richiesta di spiegazioni al museo da parte degli esercenti, le teche dei tre gioiellieri vicentini sono state spostate all'interno del bookshop, non più visibili dall'esterno (come abbiamo potuto constatare oggi, confrontando la vetrina di questa mattina con quella fotografata pochi giorni fa).
La discriminante sulla cui base sarebbero stati scelti determinati negozi piuttosto di altri sarebbe che le opere esposte in vendita debbano avere a che fare con la città di Vicenza, ma anche qui, a parte alcune, la maggior parte sono puri e semplici monili, come quelli che sono venduti, appunto, nei negozi classici, il cui solo nome (tipo quelo di un "anello omaggio al Palladio" e di ) talvolta, e non sempre, finge un legame col "povero" architetto, ormai, dicono gli esercenti "boicottati", ridotto a uno slogan pubblicitario per un tempio dell'arte ora profanato.
Tutto ciò induce questi negozianti, anche dopo un insoddisfacente colloquio informale col capo di gabinetto del sindaco, Maurizio Franzina, a pensare che la mancanza di informazioni riguardo a questi allestimenti e la mancata comunicazione di questa possibilità a tutti i negozianti sia dovuta a una preventiva decisione di chi lasciare che esponga i propri prodotti e chi no.
La titolare di Civico 22, Silvia Giglioli, spiega: "Se avessimo quantomeno saputo che ci sarebbe stata la possibilità di mettere in vendita qualche nostro prodotto a una mostra così pubblicizzata ci avremmo quantomeno provato, invece così siamo semplicemente stati tagliati fuori come al solito. Oltretutto la fascia di prezzo dei gioielli venduti nel bookshop va dai 30 ai 200€, la fascia più concorrenziale per noi che lavoriamo con lo stesso tipo di clientela".
Ovviamente ci rivolgeremo a Stefano Soprana e a Maurizio Franzina per raccogliere anche le loro versioni, che magari confermeranno la loro perfetta buona fede solo ingrigita dalle solite agenzie terze anche se, oltre a Civico 22, anche altre gioiellerie (alcune ci hanno chiesto l'anonimato) tra cui la gioielleria Ageno (di fianco alla mostra), la gioielleria Da Rin (corso Palladio) e la gioielleria Stecco non sapevano di questa possibilità, scoperta poco prima di noi o con noi che glielo chiedevamo.

Che sotto il tetto della Basilica a volte succedano cose poco chiare non siamo di certo gli unici a temerlo. 

Che diventasse il tempio dei mercanti, anzi solo di alcuni di loro, è la denuncia dei mercanti biblicamente cacciati da quel tempio.


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